Parigi, Théâtre de la Ville: “Aringa Rossa” di Ambra Senatore

Paris, Théâtre de la Ville
“ARINGA ROSSA”
Coreografia Ambra Senatore
Musica originale Igor Sciavolino
Musiche Claudio Monteverdi, Igor Stravinsky, Fausto Amodei, Caravan Palace, Brian Bellot
Costumi Roberta Vacchetta
Luci Fausto Bonvini
Danzatori Caterina Basso, Romain Bertet, Francois Brice, Claudia Catarzi, Matteo Ceccarelli, Pieradolfo Ciulli, Elisa Ferrari, Simona Rossi, Ambra Senatore
Parigi, 11 Febbraio 2015

Aringa Rossa è uno di quei titoli che hai sulla punta della lingua mentre guardi lo spettacolo di Ambra Senatore, ma non ti viene. Vuoi perché non conosci il termine tecnico, vuoi perché ti crea quella sensazione nello stomaco che non riesci a materializzare con parole altrettanto convincenti. Eppure è quella roba lì, la Red herring che idiomaticamente descrive il depistaggio narrativo, un depistaggio di movimenti, corpi e parole.
Il linguaggio corporeo della Senatore è fedele ai suoi lavori precedenti tanto che inizialmente il pubblico fatica a trovare la novità, lo stimolo creativo che dovrebbe rendere il lavoro interessante. Per continuare il parallelo con la letteratura, Aringa Rossa è una climax, di energia, di significati e di interazione. I danzatori in scena sono nove, gli abiti quotidiani, dai colori tenui, a donare una dimensione atemporale in bilico tra fiaba e realtà. La compagnia alterna piccoli assoli a ‘riassemblaggi’ che percorrono il palco come uno sciame, prediligendo forme sospese e ondeggianti, giocando sui tempi, input e risposte, ascolti e geometrie. Si ode a tratti il suono di qualche goccia, dello scorrere d’acqua, della pressione tesa al massimo di un bollitore, non si comprende, si segue il flusso apparentemente senza alcun significato narrativo.
A tratti il confine tra palco e pubblico viene valicato da brusche e inaspettate cadute dal palco. Sono danzatori che rotolano verso il proscenio e sembrano non accorgersi dello scalino scenico fino al momento di quel tonfo sordo accolto dalle divertite risa degli astanti. E’ una bolla teatrale che lentamente si espande a catturare il pubblico impegnato a seguire masse di sguardi alla ricerca dell’incomprensibile, di qualche reazione tra le poltrone. Alcuni oggetti compaiono sulla scena a giustificare i suoni iniziali e a suggerire una dimensione familiare: il bollitore, una scopa cattura polvere, dei palchetti usati come sedie o come strumenti per riuscire a pulire anche quell’angolino lassù. La parola confonde e spiega in un rapporto di umorismo e incomprensione che lo spettatore deve completare unendo punti disposti senza cronologia. Uno scambio di battute nel banale incontro tra due personaggi viene ripetuto, copiato, riproposto, esasperato e sperimentato sul pubblico creando degli spassosi ritornelli a cui lo spettatore non può che partecipare. E’ la stessa Ambra Senatore che gioca in platea con uno spettatore, copiando con caricaturale fatica lo sketch che due colleghi stanno proponendo sul palco. Quasi al termine i danzatori si raggruppano sul fondo e svelano la verità di tutti quegli indizi e depistaggi, collocandoli ordinatamente in quello che sembra un ritrovo tra amici dove il rovesciamento di un bicchiere scatena improbabili conseguenze.
Il finale è decretato di nuovo dal pubblico, è uno spettatore che interviene reiterando uno dei leitmotiv, il simbolo del pubblico come interprete, come destinatario e mittente di una comunicazione in bilico tra danza e teatro.   Anche se questo teatro potrebbe essere più curato nella parola: le battute recitate dai danzatori sono spesso poco scandite e quindi di difficile comprensione per il pubblico internazionale, a complicare uno spettacolo che già per natura necessita di profonda attenzione. Foto Viola Berlanda