Bari, Teatro Petruzzelli: “Simon Boccanegra”

Bari, Teatro Petruzzelli, Stagione lirica 2019
SIMON BOCCANEGRA”

Melodramma in un prologo e tre atti, libretto di Francesco Maria Piave con aggiunte e modifiche di Arrigo Boito
Musica di
Giuseppe Verdi
Simone LUCA SALSI
Amelia LIANA ALEKSANYAN
Gabriele Adorno GIUSEPPE GIPALI
Jacopo Fiesco  ROBERTO SCANDIUZZI
Paolo Albiani  GIANFRANCO MONTRESOR
Pietro  ALESSANDRO ABIS
Capitano dei balestrieri  STEFANO PISANI
Un’ancella di Amelia  MARTA CALCATERRA
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore Jordi Bernàcer
Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Regia, scene Arnaud Bernard
Costumi Marianna Stránská
Disegno luci Patrick Méeüs
Bari, 3 febbraio 2019
La stagione 2019 del Teatro Petruzzelli è iniziata proponendo per la prima volta a Bari una delle opere più complesse di Verdi, il Simon Boccanegra nella versione scaligera del 1881. L’allestimento è nuovo in coproduzione con l’Opera di Losanna (dove è andato in scena a giugno scorso) e il Teatro Nazionale Sloveno di Maribor. La regia di Arnaud Bernard, ideatore anche delle scene, nell’accentuare la dimensione politica, già esplicita nel libretto di Piave ispirato al dramma di Gutiérrez, ha assegnato un’atmosfera brechtiana al melodramma e ha concepito l’impianto scenico come un claustrofobico ingranaggio pieno di ruote dentellate, argani, tiranti, passerelle e ponti levatoi allusivi alla morsa attanagliante del potere. Lo scontro stratificato presente nel dramma originario, che opponeva patrizi e plebei, guelfi e ghibellini, vendicatori mossi da arrivismo sociale o dal senso dell’onore, è stato semplificato dal regista all’homo homini lupus; il conflitto si è ridotto tra esseri umani incapaci di perdono e alimentati dal solo odio. Una visione cupa quella di Bernard, in tutto allineata a quel pessimismo che professò Verdi nel 1881 con alle spalle gli ideali infranti del Risorgimento. La staticità della scena, realizzata magistralmente da Jean-Luc Reichenbach, dominata da colori plumbei rappresentava un ulteriore livello simbolico riferibile all’immobilità della lotta per il potere. Solo la marina sullo sfondo, sempre cangiante grazie al gioco di luci retro illuminanti, offriva un elemento di ariosità, connesso a quel mare che per il protagonista era l’unica dimensione liberante. Suggestiva l’idea di lasciare aperto il sipario mentre ancora il pubblico prendeva posto a sedere e di raffigurare parte dell’antefatto dove agiva con la piccola Maria, frutto dell’amore tra Simone e Mariàna (la figlia di Jacopo Fiesco), poi divenuta Amelia. La sagoma del giovane Simon Boccanegra riecheggiava le tele di Caspar David Friedrich e forniva allo spettatore uno spiraglio sul vero animo del corsaro nobile di cuore e non di nascita; una visione romantica del tutto congrua con lo spirito del dramma spagnolo che diede lo spunto a Piave e Verdi per la creazione del melodramma. Una certa cupezza avevano anche i costumi della giovane e brava , caratterizzati da cromatismi tenui e da fogge che solo in parte riproponevano le vesti trecentesche dell’ambientazione. Regista e costumista hanno forse mancato di caratterizzare in senso nobile Gabriele Adorno che in questo allestimento aveva fattezze piratesche e sguaiate, incongrue con lo spessore aristocratico del personaggio. Straordinaria l’interpretazione offerta da un cast preparatissimo nel quale si è distinto il baritono Luca Salsi nei panni del protagonista: perfetto il dominio delle dinamiche (in particolare i pianissimo nella tessitura acuta), così come la dizione, l’emissione, il fraseggio, il dosaggio dei volumi, ma soprattutto la resa attoriale di un personaggio così complesso e sfaccettato. Di squisita omogeneità, brunita ma duttile la splendida voce di basso di Roberto Scandiuzzi che ha saputo conferire al suo Jacopo Fiesco una mescolanza tra superbia e grandezza d’animo. Bello anche il colore del soprano Liana Aleksanyan che brilla nel registro acuto e che fraseggia con piena padronanza; molto buona la sua arte scenica mai manierata o caricata, specialmente nei momenti in cui Amelia si frappone tra gli avversari del padre. La cantante armena ha dimostrato un equilibrio impeccabile nel caratterizzare l’eroina che agisce nel Boccangra come autentico deus ex machina. Davvero encomiabile la prova del tenore Giuseppe Gipali nella parte di Adorno: la voce è uniforme e, pur prediligendo la zona acuta, si offre omogenea nei registri, ricca di armonici, squillante ma mai invadente o caricata. L’affiatamento di questi quattro interpreti negli ensembles ha inverato momenti di pura bellezza sonora. Ottima anche la prova del baritono Gianfranco Montresor nelle vesti di Paolo Albiani, mai come in questo caso paragonabile al personaggio di Jago. Il cantante lo ha infatti interpretato calcandone il lato demoniaco e calcolatore. Molto buone le parti di fianco con particolare menzione per il basso Alessandro Abis (Pietro), dotato di volume importante e di ottima dizione. A costo di ripetersi ad ogni recensione non ci si può esimere dall’elogiare il coro preparato da Fabrizio Cassi che stupisce ad ogni nuova produzione per la qualità artistica raggiunta e per la continua maturazione, qui evidenziata dalla assoluta uniformità e compattezza, garantita anche nei piani dinamici più evanescenti o nelle sezioni da dentro le quinte. Buona ma migliorabile nella sezione degli ottoni la prova dell’orchestra guidata con precisione dal giovane direttore spagnolo Jordi Bernàcer.