Bruxelles, Théâtre La Monnaie: “Tamerlano”

Bruxelles, Théâtre La Monnaie – Stagione 2014/2015    
“TAMERLANO”
Dramma per musica  in tre atti, HWV18. Libretto di Nicola Francesco Haym
Musica di Georg Friederich Händel
Tamerlano CHRISTOPHE DUMAUX
Bajazet JEREMY OVENDEN
Asteria SOPHIE KARTHÄUSER
Andronico DELPHINE GALOU
Irene ANN HALLENBERG
Leone NATHAN BERG
Orchestra “Les Talens Lyriques”
Direttore Christophe Rousset
Regia Pierre Audi
Scene e costumi Patrick Kimmonth
Luci Matthew Richardson
Produzione Théâtre La Monnaie /De Nationale Opera (Amsterdam)
Produzione originale Drottningholms Slottsteater (Stockholm)
Bruxelles, 6 febbraio 2015

Dopo il successo del Fierrabras di Schubert, il Théâtre La Monnaie propone al suo pubblico un’altra opera scarsamente rappresentata, il Tamerlano di Händel, in una produzione originariamente allestita al Drottningholms Slottsteater di Stoccolma nel 2002. Come a Stoccolma, il Tamerlano è presentato in questi giorni sul palcoscenico della Monnaie insieme ad un’altra opera di Händel, Alcina, che si avvale della stessa regia e direzione d’orchestra. Il piccolo teatro di Stoccolma, un gioiello del barocco, dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità nel 1991, impartisce ai registi direttive precise quanto alla necessità di rispettare l’aura storica dei luoghi, e il risultato di tali direttive è quel che si vede sulla scena della Monnaie in questi giorni. Questo Tamerlano è una produzione che si fa apprezzare per sobrietà, eleganza e buon gusto, che sostanzialmente rispetta libretto e contesto dell’opera senza ricorrere a barocchismi stucchevoli e anacronistici. Una buona dimostrazione di come sia possibile allestire un’opera rispettandone lo spirito e la struttura originale e al contempo rendendola più vicina a un sentire contemporaneo.  Colpisce piacevolmente l’intelligenza e la misura con cui sono stati studiati regia, scene, costumi e luci, che si combinano con equilibrio felice e rendono lo spettacolo visivamente piacevole e interessante dal punto di vista teatrale. La regia è affidata al franco-libanese Pierre Audi, che ha voluto soprattutto mettere in risalto la caratterizzazione emotiva dei personaggi, gli intimi dissidi e i complessi rapporti che li legano, con una gestualità essenziale ma estremamente curata nei minimi movimenti. Le scene di Patrick Kimmonth, che riprendono quelle originariamente pensate per il piccolo teatro svedese, sono di una scarna semplicità. Un colonnato stilizzato rappresenta, in prospettiva, la sala del palazzo di Tamerlano, e lascia il posto, nella parte finale dell’opera, al palcoscenico nella sua più elementare struttura. Risaltano magnificamente in tanta essenzialità i costumi, sempre di Kimmonth, di foggia settecentesca ma con una ricercata purezza di linee, mai eccessivi, dai colori che diventano via via più intensi con l’avvicinarsi del dramma finale. L’elemento che unisce e dà vita ed emozioni a scene e costumi sono le luci di Matthew Richardson, che offre una prova veramente magistrale. Le luci accentuano la vena intimista voluta dalla regia, illuminano i personaggi come a volerne scandagliare la psicologia, con giochi di luce radente, contrasti e chiaroscuri molto suggestivi. Non vi è alcun eccesso, alcun elemento fuori posto fra movimenti dei cantanti sulla scena, costumi e luci; la fusione è pressoché perfetta, e danno all’allestimento quell’aura di introspezione che la avvicina a noi. Non valgono a inficiare una valutazione sostanzialmente positiva certe scelte di regia forse meno indovinate come l’elemento umoristico, da opera buffa, di un Leone con acciacchi di schiena, o la deriva ideologica della rappresentazione del potere come meschino e miserabile, perché Tamerlano non è il fiero, autoritario guerriero che ha vinto tutti i nemici e vuole ora decidere di destini e amori di tutti, ma un omuncolo che arriva a strisciare sul palcoscenico. Come a volte accade negli allestimenti operistici, non si vede propriamente la necessità o il valore di tali sfumature, a fronte di una costruzione scenica già di per sé solida e valida. L’orchestra Les Talens Lyriques, diretta dal suo creatore Christophe Rousset, si dimostra all’altezza della sua fama di insieme strumentale di alto livello specializzato nel repertorio del diciottesimo secolo. Accompagna i cantanti con precisione e naturalezza, anche se a volte con un vigore drammatico che coglie di sorpresa. Se nell’overture l’esecuzione poteva sembrare un po’ meccanica, guadagna spessore e rotondità nel prosieguo dell’opera. Anche la compagine vocale offre una prova complessivamente di buon livello, con una dizione generalmente molto chiara e ben articolata da parte di tutti gli interpreti. Jeremy Ovenden nel ruolo di un intenso, drammatico Bajazet è, in certi momenti, fa prevalere l’interprete sul cantante, in particolare nella grande scena della morte mostra il suo non comune carisma interpretativo. La voce è potente, sicura nell’emissione, ma in certi momenti tende ad eccedere in veemenza ed aggressività. Ann Hallenberg stilisticamente inappuntabile, dispone di uno strumento che colpisce per la potenza dell’emissione e la luminosità del timbro, anche se talvolta un po’ soffrire nella tessitura grave. Anche La Hallenberg è una dominatrice della scena e infonde al personaggio di Irene una naturale regalità. Interessante anche la Asteria del soprano Sophie Karthäuser, cantante dotata di una vocalità morbida, precisa e raffinata nel fraseggio, delicata nei vocalizzi e molto espressiva nel rendere un personaggio tormentato dai dilemmi interiori e diviso negli affetti. Molto riuscito, in tal senso, il duetto con l’Andronico di Delphine Galou, “Vivo in te”, dove le due cantanti mostrano un perfetto equilibrio timbrico fondendosi mirabilmente. La Galou, per parte sua, ha una voce di velluto che pur mostrandosi un po’ in deficit di volume, sa “legare” e “portare” con stile e musicalità ed espressiva nelle pagine elegiache o pateticheà. Lascia un po’ perplessi il Tamerlano di Christophe Dumaux, che, pur essendo molto abile a calarsi nella parte del cattivo fatuo e volatile, debole e meschino nella particolare lettura di questo allestimento, si mostra assai debole sul piano vocale: esile, quasi esangue nel volume, vocalizza però correttamente e comunque canta con una certa grazia e dolcezza. Corretto il Leone di Nathan Berg. Qualche applauso a scena aperta per Sophie Karthäuser, Delphine Galou e Jeremy Ovenden, e applausi convinti e cordiali al termine dell’opera. Foto Bernd Ulhig