“Carmina Burana” di Mauro Astolfi al Regio di Parma

Parma, Teatro Regio, Parma Danza 2017
“CARMINA BURANA”
coreografia e set concept Mauro Astolfi
musica Aleksandar Sasha Karlic, Carl Orff, Antonio Vivaldi
Interpreti Maria Cossu, Mario Laterza, Giuliana Mele, Alice Colombo, Giovanni La Rocca, Giacomo Todeschi, Caterina Politi, Fabio Cavallo, Serena Zaccagnini
>Spellbound Contemporary Ballet
Scene Stefano Mazzola
Costumi Sandro Ferrone
Luci Marco Policastro
Parma, 6 maggio 2017

O Fortuna velut luna… stutus variabilis”. Cangianti e volubili come la luna siamo noi in eterna lotta per la vita che vogliamo essere il più possibile ebbra di sentimenti e non odiosa e monotona, perché la potenza e la gloria cui bramiamoci sfuggono.
Inizia col classico tono cupo (sottolineato da uno scroscio di pioggia battente), carico di funesti presagi, “Carmina Burana” coreografata dalla compagnia di Mauro Astolfi: una tavola imbandita di “carne tremula”, cioè di corpi pregni degli istinti più bassi e nobili dell’essere umano.
Spettacolo da subito godibile, a suo modo fedele alle famose liriche dei secoli XII e XIII, in cui la musica gioca una parte importante, proprio perché ambienta le vicende a cui assistiamo, che stanno tra il goliardico e lo scabroso, e ci fa ancora una volta amare quella danza che sa restituire l’emozione al di là del gesto, quand’esso drammatizza. Sono addirittura canzoni, quelle che sentiamo, ad argomento satirico, conviviale, parodistico, quindi a sfondo erotico e moralistico quand’è di condanna verso gli atteggiamenti troppo licenziosi del clero. Probabilmente quella croce rossa ricamata sul petto delle ballerine ha il significato non di crociata contro il male ma di lettera scarlatta, di peccato da espiare, insomma.
Nella Carmina Burana della Spellbound Contemporary Ballet, un gruppetto affiatato di danza-attori mette in scena un “convivium voluptatis” di esperienze d’amore e di battaglia, come in una sorta di Odissea, infatti presi dall’affannosa ricerca della conoscenza, stavolta non introspettiva, ma dell’altro. Ottime le coordinazioni del corpo di ballo che sembraun’orchestra di maestranze nella prova generale ognuna del proprio strumento: quando invece i corpi “risuonano” l’uno sull’altro, si ripiegano e si lanciano sopra un tavolone poi innalzato a totem cui si arrampicano come fosse una cuccagna. Nessuno spazio agli assoli, ma un continuo girotondo, forse un po’ ridondante, di ampie coreografie con entrate e uscite rigorosamente in sincrono. L’apparente confusione nella prossemica è invece cifra stilistica di Astolfi che in “Carmina”, da dieci anni a questa parte, continua la sua ricerca di nuovi linguaggi della rappresentazione. Così, le litanie ludiche (bello l’innesto della Dixit Dominus – Dominus a dextris tuis, vivaldiana), sono aliene dal denunciare l’infermità, la rozzezza e la sporcizia dei corpi, bensì prodighe nel liberali e nel goderli in giochi di ruolo già visti in racconti didascalici simili (vedi: “Il giardino delle delizie”di Marie Chouinard ), qui ambientati in una buia taberna. Nel ritmo vivace e progressivo delle coreografie i vizi capitali di lussuria e gola prendono la scena il tempo dinarrarci quanto la carne sia debole e che non si avvera l’assunto per cui “il ritmo del corpo, la melodia della mente e l’armonia dell’anima creano la sinfonia della vita” (B.K.S. Iyengar), bensì che tutto debba finire rinchiuso in un andito segreto, quel grande armadio ingombrante sul palco: l’umano refugium peccatorum. Spettacolo con atto unico di un’ora, coi suoi begli applausi tra le scene e ben cinque minuti finali di ovazioni tutte ampiamente meritate. (foto Roberto Ricci)