Christoph Willibald Gluck (1714-1787):”Orfeo ed Euridice”

Opera in tre atti su libretto di Ranieri de’ Calzabigi (versione di Vienna, 1762). Grace Bumbry (Orfeo), Anneliese Rothenberger (Euridice), Ruth-Margret Pütz (Amore). Leipzig Gewandhaus Orchestra, Vaclav Neumann (direttore), Leipzig Radio Choir, Horst Neumann (Maestro del Coro). Registrazione: Lipsia, Heilandskirche, ottobre 1966. T.Time: 99’17. 2 CD Brilliant Classics 94703     

La Brilliant Classics ripropone in un nuovo riversamento in CD questa registrazione dell’”Orfeo ed Euridice” di Gluck realizzata nel 1966 per i tipi Berlin Classics e affidata alla direzione del boemo Vaclav Neumann alla guida della Leipzig Gewandhaus Orchestra e ad un cast di cantanti all’epoca in fase di affermazioni fra cui il mezzosoprano americano Grace Bumbry nel ruolo del cantore trace.
Come sempre quando si viene a trattare delle opere di Gluck, e specie di questa, va detta qualche parola sulla versione scelta.Com’era prassi all’epoca si opta per la versione italiana edita da Ricordi per una ripresa scaligera del 1889 e che pur essendo la meno fedele agli spartiti originali mescolando in modo abbastanza spregiudicato la versione viennese del 1762 con elementi del rifacimento parigino del 1774 riadattati alla lingua italiana e alla voce di mezzo-soprano e quella che di fatto ha monopolizzato l’esecuzione del capolavoro gluckiano fino a tempi relativamente recenti. Rispetto alla versione Ricordi canonica va riscontrata la presenza di alcuni tagli tanto nei lunghi ballabili dell’atto III quanto – e in modo più doloroso – nella seconda scena dell’atto II con il taglio della deliziosa aria di Euridice “Questo asilo di placide calme” assente nella versione viennese ma abitualmente eseguita.    Orchestra tradizionale, lontana da quelle sonorità più prossime alla scrittura originale cui oggi siamo maggiormente abituati in questo repertorio la Leipzig Gewandhaus è però compagine di straordinario livello capace di esprimere un suono di pienezza e luminosità non comuni e che negli anni trascorsi nulla ha perso in campo di suggestione sonora. Alla guida di questo complesso troviamo Vaclav Neumann, figura centrale della cultura musicale boema del secondo dopoguerra fondatore del Quartetto Smetana e per trent’anni direttore della Filarmonica Ceca. Il direttore opta per una direzione rigorosa, di classica purezza ma al contempo punta ad esaltare al meglio la qualità del suono che l’orchestra è in grado di produrre. Sul piano espressivo si nota sempre una grande attenzione al passo teatrale della vicenda e all’occasione una capacità di abbandonarsi alle emozioni che spesso solo i grandi direttori di tradizione slava riescono ad avere con tanta naturalezza, esemplare al riguardo il gioco dinamico del duetto del III che evidenzia al meglio le contrastanti tensioni dei due personaggi. Il giudizio decisamente positivo risulta parzialmente oscurato solo delle scelte editoriali e specie dai tagli precedentemente ricordati.  Pur molto positiva la prova del Leipzig Radio Choir diretto da Horst Neumann non raggiunge i medesimi livelli dell’orchestra soprattutto per una mancanza di naturale idiomaticità con il fraseggio italiano.

Sul piano vocale protagonista assoluta è Grace Bumbry nel ruolo en-travesti di Orfeo; la cantante americana è ritratta qui al massimo dei propri mezzi vocali – non sono passati troppi anni dal 1961 in cui si rivelò sulla scena internazionale come Venus nel “Thannauser” a Bayreuth e si è negli stessi mesi del “Don Carlo” inciso per la Decca con la direzioni di Solti. La natura vocale della Bumbry è quella di un mezzosoprano acuto, quasi sopranile per certi elementi ma riesce comunque a venir a capo con sicurezza della tessitura spesso contraltile di Orfeo, un contralto però neoclassico e settecentesco privo di quelle improvvise discese nel settore grave di certi ruoli rossiniani o del primo Ottocento e quindi più abbordabile anche da una vocalità come quella della Bumbry.  La voce ampia, sontuosa, di splendido colore e timbratissima in tutta la gamma colpisce immediatamente l’ascoltatore; l’interprete è di contro decisamente più generica cosa per altro non insolita nella Bumbry la cui tendenza a appoggiarsi principalmente sulle qualità vocali è riscontrabile in molte interpretazioni. In lei si nota l’assenza di una naturale propensione all’astratta sublimità della retorica neoclassica – quella che negli stessi anni trovava nella Verrett interprete insuperata – e una tendenza a risolvere il personaggio con la sola pienezza del canto ma fortunatamente essendo questo di rara qualità l’interpretazione risulta ancora pienamente apprezzabile in quest’ottica interpretativa.    Anneliese Rothenberger è un’Euridice ottimamente cantata e di una sincerità espressiva che non può lasciare indifferenti il che rende ancora più doloroso il taglio dell’aria del II atto. Ad un orecchio italiano risulta evidente qualche difetto nell’articolazione della frase e qualche inflessione di pronuncia troppo tedesca, specie nei recitativi. Discretamente cantato ma forse un poco lezioso per il gusto odierno l’Amore di Ruth-Margret Pütz.