Como, Teatro Sociale: “Così fan tutte”

Como, Teatro Sociale, Stagione Lirica 2016/17
“COSÌ FAN TUTTE”
Dramma gioco in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart 
Fiordiligi GIOIA CREPALDI
Dorabella VICTORIA YAROVAYA
Ferrando MATTEO MEZZARO
Guglielmo PABLO GÁLVEZ
Despina BARBARA MASSARO
Don Alfonso ANDREA PORTA
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coro OperaLombardia
Direttore Gianluca Capuano
Maestro del coro Giuseppe Califano
Regia Francesco Micheli
Scene e luci Nicolas Bovey
Costumi Giada Masi
Training e Laboratori teatrali Eleonora Moro
Coproduzione Teatri OperaLombardia
Como, 4 ottobre 2016
Trasformazioni. Questo il fil rouge della Stagione Notte 2016/2017 di OperaLombardia, inaugurata ufficialmente con Così Fan Tutte al Teatro Sociale di Como. ‘Le fronde mobili, l’aure incostanti, han più degli uomini stabilità!’, canta cinicamente Despina nel primo atto. Quale titolo migliore dell’ultimo capitolo della trilogia Mozart / Da Ponte avrebbe potuto inaugurare una rassegna che racconta il cambiamento continuo, il travestimento, la maschera e la naturale volubilità dell’essere? E il tema della trasformazione non sta solo intrinsecamente racchiuso nell’opera, ma anche nella chiave di lettura che il regista Francesco Micheli sceglie per portarla in scena. L’amore, i soldi, la seduzione, i ruoli, le scelte, il gioco. E se Mozart con Così avesse inventato il primo reality show della storia? Realizziamolo. Ecco il concept di Micheli, niente di meno, niente di più. Il talent “La scuola degli amanti”, per la regia di Don Alfonso con il supporto di Despina e due assistenti di scena, va in onda su un set tv e diventa lo squallido gioco al massacro di due coppie sotto l’occhio morboso del pubblico tra gestacci, “pietre mesmeriche” falliche, spogliarelli e drag queen. Ed è così che l’opera lirica prende quasi una piega musical–cabaret, incastonandosi nel mondo contemporaneo del varietà e dell’intrattenimento televisivo, con tutte le volgarità che di fatto gli appartengono.  L’allestimento, affidato allo scenografo Nicolas Bovey che firma anche le luci, è semplice e funzionale. Sulla scena dominano inizialmente riflettori, americane sospese e un ampio fondale raffigurante un mare in tempesta, in un bel tessuto che a seconda delle luci e del movimento regala effetti visivamente suggestivi (ad esempio il lievissimo ondeggiare durante il terzetto “Soave sia il vento” restituisce un’interessante sensazione “liquida”, come se grandi lacrime stessero scivolando sul telo. Quando poi lo show ha ufficialmente inizio il palco si riempie di grandi volumi grigi che fungono da gradinate per il pubblico, composto da quaranta (bravissimi!) giovani non professionisti selezionati e preparati da Eleonora Moro in diversi mesi di laboratori teatrali, per diventare parte attiva dello spettacolo. Al grigio anonimato degli spalti si contrappongono coloratissimi arredi pop-kitsch che allestiscono il set di quadro in quadro, nelle cui semplificatissime linee vintage si racchiude l’unico riferimento visivo al contesto originario. La stessa logica cromatica è ripresa nei costumi ben studiati da Giada Masi, con i quaranta ragazzi sempre in grigio e un’esplosione di colori, parrucche sgargianti e maglie con provocanti grafiche pop per i protagonisti impegnati nelle varie prove del reality. Particolarmente riuscita è la scena all green su cui si aprono le note del Finale “Ah, che tutta in un momento”, tra arredi bagno, accappatoi e quaranta paia di guanti di gomma, tutto in perfetto pendant con un’assatanata Despina-infermiera.Ma tre ore di spettacolo sono parecchie, e se con lo spogliarello di gruppo che nella scena appena descritta chiude il primo atto strappando un sorriso nel delirio generale, il secondo atto va in caduta libera con un carosello di trovate improbabili, rivelando di fatto la sostanziale superficialità di una simile lettura registica.  La debolezza – a parere personale – di questo tipo di produzioni non è la trasposizione temporale o l’estrazione dal contesto storico, che i più conservatori potranno condannare a prescindere ma che chi scrive ritiene assolutamente valida se in grado di fornire allo spettatore spunti ulteriori, senza inciampare in briglie filologiche troppo strette alla lunga ripetitive. La labilità dello spettacolo non è la provocazione in sé, quanto l’ossessiva e puntuale traduzione del libretto nella monoculare ottica del regista, togliendo di prepotenza allo spettatore – o comunque mettendolo in seria difficoltà con esagerati impulsi e distrazioni – il gusto di interiorizzare e trarre dall’opera la propria personale lettura, su tutti i piani possibili. Ma se dell’allestimento potremmo discutere all’infinito, il giovanissimo cast regala grandi soddisfazioni sotto tutti i punti di vista, senza se e senza ma. Nessuno in scena si risparmia a livello attoriale e interpretativo, assecondando perfettamente anche le richieste più trash di Micheli con una vitalità, un’ironia e un entusiasmo davvero contagiosi. A questo si accompagna una prestazione vocale complessivamente eccellente, che onestamente anche da sola potrebbe benissimo valere lo spettacolo. Gioia Crepaldi si disimpegna perfettamente in uno dei ruoli più ostici nella storia dell’opera, dando voce a Fiordiligi con un’apparente facilità che quasi impressiona. Salti di ottava, decima, dodicesima? Niente paura. Da quel canto di sbalzo in “Come scoglio” ai filati di “Per pietà, ben mio, perdona”, la sua bella voce di soprano lirico è sempre a fuoco, ben appoggiata su tutta l’ampia linea vocale e modulata con morbidezza, gusto ed espressiva musicalità. Una prestazione vocale difficile da dimenticare. Altrettanto brillante la Dorabella di Victoria Yarovaya, la cui voce chiara e i centri ben timbrati le permettono di non soccombere di continuo sotto la vocalità della sorella, come purtroppo spesso accade. Travolgente in “Smanie implacabili” (nonostante qui il direttore stacchi un tempo esageratamente frenetico, quasi ingestibile), il mezzosoprano abbina alla salda tecnica una spiccata personalità interpretativa, maggiormente in risalto nell’aria “È amore un ladroncello”. Matteo Mezzaro, già ascoltato con piacere su questo palco in altro ruolo mozartiano (Fracasso, “La Finta Semplice”), non possiamo che apprezzarlo ancora di più ritrovandolo dopo tre anni nei panni di Ferrando, con lo stesso talento e una buona dose di sicurezza in più. Certo, margini di miglioramento ci sono sempre e il vizio di portare la voce troppo indietro nelle incursioni in acuto sembra ancora irrisolto (e l’esecuzione dell’”Aura Amorosa”, ingolata in più punti, ne risente parecchio). Per il resto, con una linea di canto precisa e ricca di colori unita al naturale bel timbro, il tenore si porta a casa un’ottima performance valorizzata anche da una notevole disinvoltura scenica.  Chiudendo il quartetto degli amanti arriviamo al primo dei due artisti selezionati per questa produzione tramite l’ultimo Concorso AsLiCo: Pablo Gàlvez, classe ’87. Il giovane baritono impersona un ottimo Guglielmo, con voce non troppo brunita ma dal timbro gradevolmente omogeneo in ogni registro. Sempre elegante nel fraseggio e fluido nel legato (memorabile in questo senso il suo “Non siate ritrosi”), Gàlvez fa sfoggio anche di una dizione molto curata, aspetto che considerate le origini ispaniche non è – come si sa – così scontato. Altro ruolo assegnato tramite Concorso AsLiCo è la Despina della straordinaria Barbara Massaro, di cui una volta scoperta l’età (22) si rimane increduli per la maturità scenica e vocale che dimostra sul palco. Numerose le folli cadenze e variazioni concessele da Capuano nelle due arie “In uomini, in soldati” e “Una donna a quindici anni”, proposte in quantità esagerata ma pur sempre ben risolte dal soprano con sovracuti e picchiettati brillanti, a corredo di un fraseggio incisivo e voce sempre ben proiettata e squillante. Infine credibile ed efficace l’ambiguo personaggio di Don Alfonso regista-presentatore, ben impersonato da Andrea Porta. La voce non è meravigliosa e il timbro non è certo preziosissimo, ma un fraseggio espressivo, la giusta intesa con gli altri interpreti e la magnetica presenza scenica sono ingredienti più che sufficienti incassare un meritato successo. Incalzante ed energica come l’atmosfera che regna sul palco, la direzione di Gianluca Capuano alla guida dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano è fresca, vivace, senza tuttavia togliere spazio o valore alle tinte più drammatiche senza le quali l’opera verrebbe totalmente snaturata. Il Maestro, cui è affidato anche l’accompagnamento al clavicembalo, delinea una lettura variegata e mai noiosa, con l’unica pecca di esagerare talvolta con i tempi – o troppo rapidi o eccessivamente dilatati – forse a voler sottolineare con maggior enfasi la doppia natura del dramma giocoso.  Buona anche la prova del Coro di OperaLombardia (diretto da Giuseppe Califano), spesso impegnato in coreografie anche piuttosto articolate di cui citiamo quella relativa all’iniziale “Bella vita militar”, con tute mimetiche e grandi lettere nelle mani di ciascuno, che andranno a comporre parole random come FUN FUN FUN o un COSÌ FAN TUTTI democraticamente al maschile. Al calare del sipario ovazioni per tutti. I giovani spettatori Under30 della Prima cui abbiamo assistito sono entusiasti e – indipendentemente dal come e aldilà di qualsiasi polemica di gusto – se si è raggiunto lo scopo di rendere più appetibile l’opera lirica agli occhi del pubblico di domani, chapeau per OperaLombardia che un passo importante l’ha davvero fatto e su questa strada continuerà sicuramente a farne. Foto Alessia Santambrogio
Si replica a Pavia (Teatro Fraschini, 14 e 16 ottobre), Brescia (Teatro Grande, 21 e 23 ottobre) e Cremona (Teatro Ponchielli, 28 e 29 ottobre, 1 novembre).