Concerto di Julian Prégardien

Firenze, Teatro Goldoni, 80° Festival del Maggio Musicale Fiorentino (1933-2013)
Julian Prégardien tenore
Michael Gees pianoforte
Robert Schumann: Liederkreis op. 24 (Heine)
Franz Liszt:  5 Lieder su testi di H. Heine: Morgen steh’ ich auf und frage / Im Rhein, im schönen Strome / Du bist wie eine Blume / Anfangs wollt’ich fast verzagen / Vergiftet sind meine Lieder
Hugo Wolf: 6 lieder su testi di E. Mörike: Lied eines Verliebten / Der Tambour / Jägerlied / Lied von Winde / Heimweh / An die Geliebten
Franz Schubert: Auf der Bruck (E. Schulze), Jagers Abendlied (J.W. Goethe), An mein herz (E. Schulze), Du liebst mich nicht (A. von Platen), Der Zwerg (M. von Collin), Meeres Stille (J.W. Goethe), Auf dem Wasser zu singen (F. L. zu Stolberg), Im Abendrot(C.G. von Lappe), Willkommen und Abschied (J.W. Goethe)
Firenze, 15 maggio 2013
Il debutto al Festival del Maggio Musicale Fiorentino del tenore Julian Prégardien si è svolto in un Teatro Goldoni non certo gremito di pubblico, per il quale, tuttavia, val decisamente la pena di citare il luogo comune del “pochi ma buoni”. Resta tuttora in me la solita delusione di vedere che il mondo del Lied in Italia viene sempre seguito da un numero di persone così tanto meno numeroso rispetto a tutti gli altri repertori da concerto: cosa trattiene gli stessi che gremiscono le sale di un recital di pianoforte o di un programma per quartetto d’archi a venire a sentire questa musica sublime? Una specie di divisione (assurda) tra mondo della musica strumentale e quello della musica vocale? Non ci sono risposte. Neppure alla domanda perché delle centinaia studenti di canto e musica vocale da camera del conservatorio o delle scuole di musica della regione ne fossero presenti solo un paio, nonostante le numerose facilitazioni e sconti che il Maggio Musicale sta generosamente offrendo loro.
Gli ascoltatori presenti hanno seguito il bel concerto con grande attenzione e concentrazione, stimolati in questo dall’interpretazione intensa, densa di colori e ricca di dinamiche del perfetto duo Prégardien-Gees. È vero che nutro qualche personale perplessità su talune scelte stilistiche operate dai due artisti, ne parlerò in dettaglio più avanti. Tuttavia, riuscire a creare per ogni singolo brano un vero e proprio mondo di sfumature e dettagli tra testo poetico e musica, e riuscire a farlo passando da stili così diversi, è un’impresa difficile e perigliosa nella quale gli interpreti di questa sera sono usciti vittoriosi, nonostante qualche piccola (inevitabile) difficoltà. Il tenore Prégardien, nella sua ricerca di varietà sia nella tavolozza di colori vocali che nella gamma di sfumature nella dizione del testo ha preso molti “rischi”, perché in qualche modo arrivava a sacrificare anche la buona impostazione tecnica, che decisamente possiede, a servizio talvolta di “divagazioni” verso suoni ed emissioni non proprio ortodosse: e ha finito per “pagare il conto” quando la voce ha faticato a reggere alcuni passaggi più difficili, anche se la sua giovane tempra e la grande esperienza, per ora, lo hanno tenuto sempre in salvo. Anche il pianista Gees si è preso la sua bella dose di rischi e qualche rara volta la tastiera del pianoforte non ha reso alcuni di quei suoni delicatissimi che cercava di ottenere. In ogni caso, in tutti i brani in programma ho ammirato la profonda lettura del testo poetico in rapporto alla musica, la resa di tutti i diversi registri interpretativi e degli stili, in una qualità di articolazione e dizione dei versi da parte di chi può, da madrelingua, esserci soltanto di ispirazione e modello.
Il bellissimo ciclo di Lieder, o Liederkreis, pubblicato come op.24 da Schumann, raccoglie nove poesie di Heinrich Heine. La lettura della poesia di Heine, talvolta aspra, petrosa, essenziale e asciutta, da parte di Schumann si risolve musicalmente in due momenti precisi, che ritornano in maniera frequente: la parte più precisamente dedicata alla melodia vocale e il postludio pianistico. Spesso, quest’ultimo vera e propria voce del “poeta” Schumann (ricordiamo l’ultimo brano dell’op.15 per pianoforte, “Der Dichter spricht”, il poeta che parla…): così all’interno di quasi ogni Lied troviamo una specie di doppia conversazione, la prima tra poeta (autore dei versi) e musicista, la seconda tra ascoltatore e poeta (autore della musica). E quest’ultimo anche in una convinta “re-interpretazione” di quanto espresso dal primo… Per il duo canto-pianoforte si tratta di una interessante sfida. Creare prima il colore della poesia illuminata dalla musica e poi fare risplendere la poesia intrinseca della musica stessa. Il duo Prégardien-Gees ha portato a termine con estrema maestria questo compito in quanto capaci di un’ottima resa dei colori, dell’intreccio delle frasi, dei percorsi armonici del discorso musicale di Schumann. Il mio appunto va invece su un uso troppo disinvolto e arbitrario della pratica della “variazione”. Se può essere accolta, da un lato, l’iniziativa di introdurre qualche elemento di ornamento dalla libera iniziativa dell’interprete, specie in un Lied strofico (come nel quarto numero “Berg’ und Burgen” che consta di quattro strofe identiche), mi chiedo per quale ragione rovinare l’efficacia e l’estrema sintesi del brevissimo ma intenso ottavo numero “Anfangs wollt ich fast verzagen” con fioriture del tutto non necessarie. Anche nel terzo numero “Ich wandelte unter den Bäumen”, costruito su una forma soltanto apparentemente strofica, l’aggiunta di numerose appoggiature e note di volta e passaggio ha reso più difficile seguire la chiarissima ed espressiva resa del testo pur nell’ottima articolazione di Prégardien. Nonostante questa mia riserva, ho molto ammirato la perfetta coesione cameristica del duo, la comunicazione tra i due interpreti e in particolare l’esecuzione del quinto Lied “Schöne Wiege meiner Leiden”, uno dei più bei brani del compositore renano, in cui Prégardien ci ha dato grandi momenti di bel fraseggio sostenuti dal delicato suono di Gees.
Il gruppo di Lieder di Liszt si collegava direttamente al ciclo schumanniano, restando nello stesso ambito poetico, la poesia di Heine. Nel grande catalogo di composizioni di Liszt la musica vocale non è esigua, da quella corale a quella da camera: a mio avviso molto del Liszt migliore si ascolta proprio nei suoi Lieder, nonostante l’importanza ovvia ed indiscussa della sua musica pianistica. Forse perché costretto ad operare dentro una struttura più semplice e contenuta offerta dalla forma poetica originale, un compositore, a cui non sarebbero certo mancate le tentazioni alla fioritura di grande respiro, resta dentro l’efficacia di gesti vocali e fraseggi molto semplici, essenziali, immediati, in certi casi quasi degli ariosi drammatici di derivazione operistica. Infatti, il duo Prégardien-Gees si è mantenuto qui molto più aderente alla partitura e ha reso con musicalità e espressività cinque brani molto diversi tra di loro. Sono riusciti molto bene i primi tre Lieder in cui era necessario un sostegno vocale leggero e impostato sui colori delicati e in cui la parte pianistica ha una funzione più classicamente di accompagnamento e descrizione. La voce di Prégardien è apparsa, invece, un poco stanca nel quarto e quinto brano, quelli con la scrittura più drammatica e lacerata, quasi “verista”: il giovane tenore non ha avuto l’energia e il sostegno vocale sufficienti per gestire con agio queste frasi così drammatiche e il pianoforte, quindi, è apparso molto più presente ed efficace.
All’inizio della seconda parte del concerto abbiamo sentito un gruppo di sei Lieder di Hugo Wolf dalla raccolta sui testi di Mörike. L’interpretazione dei Lieder di Wolf da parte dei due artisti è stata molto convincente (nonostante le arbitrarie fioriture della linea vocale, pure qui in un’atmosfera musicale così fortemente influenzata dalla poetica wagneriana..! Mah…): il fraseggio di Wolf richiede al canto e al pianoforte la capacità di sostenere sia linee rarefatte quasi minimaliste, sia grandi slanci ed energiche declamazioni, tutto servendosi di una gamma di colori che si estremizzano in chiaroscuri sia nel forte che nel piano. Del gruppo ho trovato particolarmente riusciti da parte del tenore Prégardien “Lied der Winde”, “Heimweh” e “An die Geliebte”, data la sua grande bravura a gestire le mezze voci nel settore acuto e la capacità di narrazione intensa e diretta del testo. A Gees va il merito di aver suonato particolarmente bene “Lied eines Verliebten” e “Der Tambour”: nel primo il pianoforte ha una parte da vero protagonista con una bella frase al basso che Gees ha saputo “cantare” con ottimo fraseggio; nel secondo la parte strumentale ha narrato molto bene – ora con potenza orchestrale, ora con diafana delicatezza – i sogni ad occhi aperti del povero tamburino lontano dagli agi domestici e dai manicaretti della mamma.
Con Franz Schubert e nove dei suoi più bei Lieder il duo ci ha regalato le emozioni più profonde e toccanti della serata. Dall’energico slancio giovanile di un “Auf der Bruck” davvero coinvolgente (nonostante le troppe variazioni e ornamentazioni usate da Prégardien in un Lied che sembra strofico ma che non lo è affatto) a un’ottima versione di “Jägers Abendlied” (solo in questo brano, con la sua forma strofica classica, ho trovato pertinenti le variazioni) fino a due brani di fraseggio molto drammatico “An mein Herz” e “Du liebst mich nicht”. Ma i momenti più intensi e commoventi sono stati un’esecuzione perfetta e tesissima della grande ballata “Der Zwerg”, una impressionante tenuta di suono e di fiato nel famoso “Meeres Stille” e una dolcissima versione del Lied “Auf dem Wasser zu singen”, lasciato alla sua disarmante e perfetta semplicità, senza ornamentazioni arbitrarie, semplicemente molto ben cantato e suonato. Il concerto si è chiuso (forse per una momentanea distrazione del pianista) con l’energica cavalcata finale di “Willokommen und Abschied”: ma, per nostra fortuna, gli artisti hanno recuperato come primo bis “Im Abendrot” presente nel programma. Qui, infatti, Prégardien ci ha incantato con le sue dolci mezze voci e Gees con la qualità del suo profondo fraseggio. Anche il secondo bis è stato schubertiano, “Wanderers Nachtlied” (Über allen Gipfeln ist Ruh) ed è stato altrettanto bello ed emozionante del primo.