Cronache del MITO: Yuri Temirkanov e Federico Colli

Torino Milano – Festival Internazionale della Musica, VII Edizione – MITO Settembre Musica, Torino, Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto 
Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo
Direttore Yuri Temirkanov
Pianoforte Federico Colli 
Sergej Rachmaninov: Terzo Concerto per pianoforte e orchestra in re minore op. 30
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Quinta Sinfonia in mi minore op. 64
Torino, 10 settembre 2013

Yuri Temirkanov e la sua “sua” Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo tornano ospiti di MITO con due concerti, il primo al Teatro degli Arcimboldi di Milano, il secondo al Lingotto di Torino, molto attesi sia per il repertorio scelto sia per la prima collaborazione con il giovane e talentuoso pianista Federico Colli, vincitore del prestigioso Concorso di Leeds nel 2012; comune il brano solistico, mentre varia il repertorio dell’orchestra (Sheherazade di Rimskij-Korsakov in Lombardia, la V Sinfonia di Čajkovskij in Piemonte).
Redingote bianca e immancabile foulard rosso al collo: così si presenta Federico Colli sul palcoscenico dell’Auditorium del Lingotto per eseguire il Concerto n. 3 di Rachmaninov sotto la direzione di Temirkanov. Nell’Allegro ma non tanto sia il pianista sia il direttore mantengono un volume sonoro piuttosto tenue, tanto che più evocativo dello strumento solista risulta il corno, accompagnato dagli attutiti colpi del timpano (un cuore pulsante appena inquietante, che rende ragione delle indicazioni espressive di Rachmaninov per l’avvio). Soltanto con il secondo tema l’enfasi ha il sopravvento, ma le note pianistiche paiono accavallarsi un po’ troppo convulsamente, in contrasto con la dirittura impeccabile dell’orchestra; e poi la risonanza del pianoforte di Colli è unicamente metallica. Poco più nitida la resa del virtuosismo solistico nell’Intermezzo (Adagio), anche se perdura il contrasto con l’orchestra ieratica di Temirkanov. Nel Finale (Alla breve) si apprezza meglio la tecnica di Colli, anche se la prosodia condotta in parallelo tra pianoforte e orchestra ha qualche piccolo inciampo. L’ultimo tema, tutto arpeggiato, è sussurrato da Colli con un effetto assai suggestivo, sebbene le sonorità restino metalliche e pungenti; sull’altare della geometria tecnica e dell’esercizio delle dita sono del tutto sacrificati i colori e il calore che dovrebbe incendiare certe frasi. Il Rachmaninov di Colli non è per nulla retorico, o peggio hollywoodiano (aggettivo che la critica si compiace sempre di richiamare per il terzo concerto); ma non esprime neppure quel tormento tardo-romantico che dovrebbe essere una delle carature espressive del compositore. Al calore è preferito il freddo di una sonorità nuda e percussiva; e l’unico colore percepibile è il bianco della redingote del pianista.
Il pubblico di MITO apprezza moltissimo l’esibizione di Colli, che concede due bis significativi: la Danza della fata Confetto dallo Schiaccianoci (viatico alla seconda parte del programma), eseguita con dolcissimo manierismo e pregevoli sfumature (quelle che in Rachmaninov mancavano) e un corale bachiano nella trascrizione per pianoforte, staccato a ritmo vertiginoso, e tradotto in un esercizio ai limiti estremi dell’eseguibilità. La duplice scelta è eloquente: i picchiettati metallici della danza čajkovskijana confermano la tipologia di avvicinamento interpretativo al precedente concerto; l’inflessibile sistema di accenti e di figurazioni geometriche di Bach fa esclamare all’ascoltatore, semplicemente, che tout se tient.
Tornato sul palcoscenico senza bacchetta, Temirkanov dà a mani giunte l’attacco della V Sinfonia di Čajkovskij, conferendo subito una sfumatura dolente all’oboe che porge il tema del destino nell’Andante – Allegro con anima. Sulla V ha scritto recentemente Giorgio Pestelli: «chi pensa di conoscerla già, se rifà la prova con Temirkanov e i suoi si troverà di fronte una cosa del tutto nuova» («La Stampa», 1. settembre 2013). È esattamente così. Risuona nuovissima la fanfara di tromboni e tuba nel cuore del movimento, con qualcosa di indefinibilmente bruckneriano, tanto differente dal carattere garrulo di legni e flauti: un contrasto umorale che prelude alla lettura esistenziale della sinfonia. Nel finale ancora il timpano, concepito come cuore pulsante dell’organismo musicale dagli accenti inediti di dolore e di disperazione. L’Andante cantabile, con alcuna licenza è come un dialogo tra gli archi rasserenati e la voce sempre dolente del corno; ma quando nasce il nuovo tema del destino l’orchestra s’impenna e sembra assestarsi su una condizione di gioia. Con Termirakanov ciascun segmento musicale può comunque assumere inaspettato valore (ossia umore); e infatti il movimento si chiude con un anelito minaccioso degli ottoni. Un enigmatico sorriso del direttore, lanciato a entrambi i lati dell’orchestra, precede l’attacco del Valzer. Allegro moderato: tutto appare sognante e cullante, ma le sardoniche sottolineature degli ottoni increspano – al solito – le certezze dell’ascoltatore; davvero mai uditi prima alcuni effetti della tromba, che disegna strutture nuove all’interno dell’impianto ben noto. Il composito Finale. Andante maestoso – Allegro vivace si apre con un controllatissimo terremoto, parallelo alle frasi assertive del celebre motivo: è quella forza fremente che distrugge ogni certezza, ma con il sorriso sfingeo del direttore Temirkanov. Persino la coda, anziché limitarsi al trionfale completamento della sinfonia con un po’ di legittima grandeur, è ritmata da un timpano e una tuba deflagranti, ossessivi, quasi maniacali.
È l’apoteosi dell’entusiasmo, quella che il pubblico vive al termine dell’esecuzione, con voglia inesauribile di festeggiare Temirkanov e la sua orchestra; i quali regalano l’ultima Zugabe della serata, attaccando la più poetica delle Enigma Variations di Edward Elgar (Nimrod); la pura intensità degli archi è luce di speranza, finalmente senza incertezze: anche il direttore vi si abbandona beato.  Foto Gianluca Platania