Dalla banda all’orchestra di fiati un “nuovo mondo” da scoprire. Intervista al direttore Lorenzo Della Fonte

Lorenzo Della Fonte, nato a Sondrio nel 1960, oltre ad aver conseguito tre diplomi di Conservatorio (Clarinetto, Strumentazione per Banda e Musica Jazz), ha studiato direzione d’orchestra in Italia e all’estero con Jo Conjaerts, Henk van Lijnschooten, Robert Reynolds, Gianluigi Gelmetti, Eugene Corporon, Jan Cober, Andreas Spörri. Dal 1987 si è dedicato completamente alla Banda e all’Orchestra di Fiati, guadagnandosi un importante e riconosciuto ruolo nel mondo fiatistico italiano e internazionale come direttore, compositore, trascrittore, ricercatore e didatta. In ciascuno di questi campi Della Fonte è assai noto come profondo innovatore ed è considerato una delle massime autorità in Italia per quanto riguarda la Banda. Vincitore del Primo Premio dell’edizione 2000 del Concorso Internazionale per Direttori d’Orchestra “Prix Credit Suisse” di Grenchen (Svizzera), dal 1994 al 1998 è stato direttore principale della Civica Orchestra di Fiati di Milano, unica formazione professionistica nel suo genere in Italia, gruppo con il quale collabora tutt’ora come direttore ospite. Con questa Orchestra ha tenuto, sino ad oggi, 45 concerti in importanti manifestazioni musicali in Italia e all’estero. Attualmente dirige ( dal 1991,) l’Orchestra di Fiati della Valtellina, complesso che ha acquisito un importante ruolo nel mondo bandistico italiano e con il quale, oltre ad aver inciso compact-discs, ha dato numerosi concerti in Italia . Dirige inoltre stabilmente dal 1992 la Società Filarmonica di Arogno (Svizzera), dal 2000 il Soli Wind Ensemble (gruppo che riunisce strumentisti di alto livello provenienti da tutta Italia), mentre dal 1999 al 2003 ha guidato l’esperienza dell’unica orchestra di ottoni professionale italiana, la Festival Brass Band di Aosta, con la quale ha rappresentato il nostro Paese nei più importanti festivals del settore. Dal 2009 è fondatore e direttore dei Fiati Filarmonici di Torino e nello stesso anno ha assunto, per concorso, la direzione della Banda Rappresentativa della Federazione dei Corpi Bandistici della Provincia di Trento. È il direttore di Banda italiano più richiesto all’estero grazie ad una intensa e proficua attività come direttore ospite, iniziata già nel 1992, con prestigiose Orchestre di Fiati in Giappone, Germania, Canada. Svizzera, Olanda, ecc.. È docente di Direzione e Composizione per Orchestra di Fiati presso il Conservatorio “G. Verdi” di Torino.
Altre notizie sul maestro Della Fonte si possono leggere sul suo sito personale:
Maestro Della Fonte, quando è nata la sua passione per la musica? 
Mi rendo conto adesso che fin da bambino ero attratto dalla musica. Tutti guardavamo in tv “La Freccia Nera” o “Robinson Crusoe”, mitici sceneggiati della “TV dei Ragazzi” RAI di fine anni Sessanta. Io ero affascinato dalle colonne sonore e per me le sigle di apertura e chiusura erano altrettanto importanti quanto le avvincenti storie di Stevenson o Defoe. I miei amici non prestavano alcuna attenzione a queste musiche; ciò mi sembrava molto strano… dovevo farli star zitti perché per loro la puntata iniziava dopo la sigla. Ancora adesso ricordo a memoria tutti i passaggi di quei commenti musicali.
E per la banda? 
La mia formazione musicale, come quella di tanti musicisti italiani, è iniziata in banda. In paese era l’unica possibilità. Del resto mio padre era, a sua volta, maestro di banda.
C’è stato un evento che è stato determinante nella scelta di questa carriera musicale? 
Si: la perdita del lavoro di docente alle scuole medie! Insegnavo già da cinque anni (pur con contratti annuali) quando nella mia provincia dimezzarono le cattedre di Educazione Musicale, accorpando molti istituti periferici sulle montagne; i precari rimasero ovviamente fuori. Una banda a 15 km da casa mia mi chiese di dirigerla e, rimasto senza lavoro, accettai senza eccessivo entusiasmo. Mi resi conto che, pur col diploma di Conservatorio, non sapevo nulla di direzione. Così mi iscrissi al primo corso tenuto in Italia dal maestro olandese Conjaerts e scoprii che dirigere mi interessava davvero, mi piaceva e mi riusciva. Da lì iniziai a frequentare diversi corsi e maestri, migliorandomi e facendomi conoscere anche all’estero. Nel frattempo ripassavo l’inglese del liceo e studiavo il tedesco. Nonostante tutto io credevo ancora che avrei fatto l’insegnante di scuola media per tutta la vita.

La sua famiglia l’ha incoraggiata? 
Si, sempre. Ho già detto che mio padre è stato direttore di banda a sua volta pur in tempi in cui i maestri non avevano diplomi di Conservatorio. Certo, forse si aspettavano anche loro una tranquilla vita da insegnante. Ma, ripeto, non è stata una mia scelta: mi ci sono trovato quasi senza volerlo.
Lei vanta un’intensa attività direttoriale in Italia e all’estero. C’è un evento nella sua lunga carriera al quale è particolarmente legato? 
Sono stato invitato all’estero per la prima volta nel 1994, in Canada. Ero alla mia prima esperienza, e il freddo mese di febbraio di Saskatoon me lo ricorderò sempre, come è rimasto indelebile nella mia memoria anche il ricordo del repertorio di sola musica italiana che portai e del calore con cui fui accolto all’Università del Saskatchewan. 17 anni e 15 Paesi esteri più tardi, nel 2011, ho diretto per la prima volta in Giappone, dove alla Senzoku University ho ritrovato lo stesso spirito di allora.

Ricorda il suo debutto in qualità di direttore? 
Si, ma preferirei non parlarne! Ho nascosto la videocassetta di quel concerto per essere sicuro di non vederla più. Non fu una grande esecuzione e non certo per colpa della banda, ma mia; non sapevo, infatti, ancora dirigere bene!
Sbaglio o la banda, che nell’Ottocento, quando ancora non c’erano i dischi, era l’unico strumento per far conoscere le arie d’opera in trascrizione presso un largo pubblico, è ritenuta ingiustamente, almeno in Italia, una sorella minore dell’orchestra sinfonica ed è forse meno diffusa rispetto ad altre realtà come l’America? C’è, secondo lei, un modo per diffondere meglio la cultura dell’orchestra di fiati? 
Si, purtroppo è ancora così… a causa soprattutto dei media, che presentano la banda come un gruppo che suona solo canzoni e marcette, oltretutto quasi sempre male. È raro vedere in televisione concerti seri di orchestre di fiati, mentre nel circuito delle radio, per la verità, qualcosa si ascolta di tanto in tanto. In America la banda non ha la nostra tradizione legata a processioni, feste patronali; per tale ragione ha potuto svilupparsi come orchestra educativa, legata alle scuole di ogni ordine e grado. Dalle elementari alle università, infatti, non c’è scuola negli USA che non abbia almeno una e, a volte, anche più bande. Si può ben dire che tutti gli Americani abbiano suonato nella banda in almeno una delle scuole frequentate. Questa capillarità fa in modo che il repertorio sia in costante crescita e che negli Stati Uniti i più grandi compositori “seri”, come Corigliano, Adams, Daugherty non disdegnano di scrivere per orchestra di fiati. Cosa che manca quasi del tutto in Italia.
Dalle sue parole mi sembra di capire che la vecchia cattedra di Strumentazione per banda è inadeguata alla conoscenza e allo studio delle possibilità che offre l’Orchestra di Fiati  grazie anche al nuovo repertorio straniero. Secondo lei si potrebbe fare qualcosa a livello didattico nei Conservatori per migliorare l’Orchestra di fiati in Italia? 
C’è già più di qualcosa: il nuovo ordinamento con l’attivazione di trienni e bienni ha fatto finalmente entrare lo studio della direzione come disciplina curriculare. Manca forse una storia della letteratura specifica e sarebbe auspicabile come punto di partenza che tutti i Conservatori avessero un’orchestra di fiati, affidata ad uno specialista, conoscitore del repertorio originale.
In Sicilia c’è ancora una fiorente tradizione bandistica. Come ha trovato l’orchestra di fiati del Conservatorio Corelli? 
Direi eccellente. I ragazzi sono ben preparati, molto motivati e seri. Ho potuto lavorare molto bene, circondato da un’atmosfera serena e collaborativa. Il concerto è stato straordinario, nonostante la complessità e difficoltà di brani come Terspichore di Margolis o la trascrizione del balletto Romeo e Giulietta di Prokofiev. Credo che si debba ringraziare anche i responsabili del Conservatorio, dal direttore Nicoletti agli insegnanti.

Quali sono le composizioni per orchestra di fiati che lei preferisce dirigere? 
Sono conosciuto per il mio lavoro di divulgazione del repertorio originale dei grandi autori sia storici, come Holst e Grainger, che contemporanei. Nei miei concerti non mancano, inoltre, le trascrizioni dei capolavori sinfonici, soprattutto di fine Ottocento e del Novecento. Non amo molto, invece, le esecuzioni di brani lirici adattati per banda. Questa era una necessità del tempo passato, oggi questa necessità è venuta meno ed è giusto che la banda trovi un proprio repertorio. Inoltre l’opera lirica è troppo bella e peculiare per venir eseguita in modo superficiale.
Andando sul personale, ci può descrivere la sua giornata ideale? 
La giornata-tipo non esiste. Io viaggio spesso; principalmente insegno in Conservatorio (Torino) e una mia settimana non è mai uguale a un’altra. Quando sono a casa, studio e lavoro, ovvero compongo musica e preparo trascrizioni o arrangiamenti. Mi piace molto leggere, adoro la letteratura italiana (e siciliana!) e credo che questo sia il mio unico hobby. Il resto è studio: le partiture sono complesse e richiedono molto tempo perché possano entrare bene nella testa e nel cuore.
Viaggia spesso per lavoro. La casa le manca e cosa le manca? 
Mi manca la mia famiglia, mia moglie, i miei figli. Sono abituati a vedermi poco, ma è sempre difficile. A volte progetto di ritirarmi a suonare l’organo in qualche chiesetta di paese per non andare più via, ma non ci riesco. Non mi manca certo la casa in quanto edificio o arredamento e nemmeno la mia pur bella Valtellina; non sono per nulla legato alle cose.
Ha un sogno nel cassetto che le piacerebbe realizzare? 
Mi piacerebbe vedere finalmente la banda capita, creduta dai media, dagli amministratori, dal pubblico come quella che veramente è: l’orchestra del nuovo millennio che non ha nulla da invidiare all’orchestra sinfonica, anzi è addirittura più ricca di colori e timbri. Non lo dico io, ma è stato scritto da musicisti del calibro di Hindemith e Grainger.