“Die Zauberflöte” al Teatro Massimo di Palermo

Teatro Massimo – Stagione Lirica 2015
“DIE ZAUBERFLÖTE” (Il Flauto magico)
Opera tedesca in due atti KV 620. Libretto di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Sarastro ANDREA MASTRONI
Tamino PAOLO FANALE
Regina della notte CORNELIA GOETZ
Pamina LAURA GIORDANO
Le tre dame ANNA SCHOECK, CHRISTINE KNORREN, ANNETTE JAHNS
Papageno MARKUS WERBA
Papagena LAURA CATRANI
Monostato ALEXANDER KRAWETZ
Tre Geni EMANUELA CIMINNA, FEDERICA QUATTROCCHI, RICCARDO ROMEO
Oratore/Primo sacerdote ROBERTO ABBONDANZA
Secondo sacerdote/Primo armigero CRISTIANO OLIVIERI
Secondo armigero VICTOR GARCIA SIERRA
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Massimo
Direttore Gabriele Ferro
Maestro del Coro Piero Monti
Maestro del Coro di voci bianche Salvatore Punturo
Regia Roberto Andò
Scene e luci Gianni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Allestimento del Teatro Massimo di Palermo e del Teatro Regio di Torino
Palermo, 27 ottobre 2015

Ha avuto tutta l’aria di una grande festa l’ultima recita de Il flauto magico, andata in scena lo scorso 27 ottobre al Teatro Massimo di Palermo: il ritorno a casa di un allestimento vincente – nato a Palermo quattordici anni fa – ha dato vita ad uno spettacolo che ha coinvolto senza resistenze il pubblico festoso ed eterogeneo che affollava il teatro. Quello descritto nell’opera è un mondo fantastico fuori dal tempo, un contesto fiabesco e sognante che ha bisogno tuttavia di riferimenti sicuri e indiscutibili per far muovere nella direzione giusta le azioni dei personaggi, e in cui si ricorre talvolta a riti austeri voluti da severe divinità (quelle egiziane di Iside e Osiride) così come la musica ricorre alle certezze armoniche del mondo tonale racchiuse in schemi chiusi e compiuti in se stessi, alla stregua di formule magiche. In questa atmosfera ci immergiamo da subito con tutti noi stessi, e ci sembra che anche l’Orchestra del Teatro Massimo – ridotta, nella lettura filologica di Gabriele Ferro, all’ensemble classico di pochi elementi, e portata allo stesso livello della scena – ne faccia parte. Ne sono segno tangibile, ad esempio, i rimandi simbolici tra l’azione sulla scena e la scansione dell’orchestra all’inizio del secondo atto, in cui i rintocchi dei corni e le lunghe pause coronate sorreggono il ritmo dell’azione.
Ma se questa marcata corrispondenza tra ciò che avviene sul palcoscenico e la musica suonata dall’orchestra rientra nell’intenzione di mostrarci un mondo parallelo in se stesso compiuto, ben lontano dal nostro o da quello coevo ai creatori dell’opera – rinunciando così a qualsiasi esplicito riferimento a rituali massonici ed esoterici, nonché a retroscena psicologici (chiavi di lettura di molte interpretazioni odierne e passate) – risulta allora un po’ forzato quel continuo valicare il confine tra realtà e finzione che i personaggi mettono in atto percorrendo lo spazio oltre il palcoscenico. E finisce perfino col disturbare la continuità dell’azione quella comicità esasperata di Papageno, protagonista assoluto di questo allestimento, per cui ogni pretesto è buono per coinvolgere il pubblico, ora ammiccando al siciliano Nero d’Avola nella scena del vino, ora baciando le ‘ragazze’ e le ‘donnine’, oggetto dei suoi desideri, in platea (“Ein Mädchen oder Weibchen wunscht Papageno sich!”). Il nostro giudizio sembra però non trovare riscontro in quello della maggioranza del pubblico che ride di gusto e ricopre di ovazioni il suddetto personaggio – interpretato comunque da un eccellente Markus Werba – sia durante le sue performances che alla fine dello spettacolo. Si rivela quindi ancora una volta efficace agli occhi dello spettatore questa regia di Roberto Andò, che celebra quel mondo magico e fiabesco racchiuso nel libretto di Schikaneder conducendovi per mano i suoi personaggi e lasciandoli poi galleggiare nella superficie dell’apparenza, proprio come Mozart riesce a tenerli sospesi con la sua musica. Una musica evanescente che apre le porte ad un’altra dimensione, la stessa che si palesa immediatamente ai nostri occhi. A rendere concreta questa interpretazione contribuiscono ancora, come nel 2001, le scene di Gianni Carluccio – che in questa ripresa dell’allestimento si occupa anche delle luci – e i costumi di Nanà Cecchi. Come extraterrestri solcano il cielo su una navicella i tre fanciulli vestiti d’argento, dalle voci algide ma rassicuranti, interpretati dai solisti Emanuela Ciminna, Federica Quattrocchi e Riccardo Romeo del Coro di voci bianche del Teatro Massimo, mentre alberi animati trovano il loro posto sulla scena e uccelli d’ogni specie popolano l’aura mistica di Papageno. Particolarmente spettacolare la scena sesta del primo atto in cui compare per la prima volta la Regina della notte Cornelia Goetz, soprano specialista del repertorio di coloritura e già collaudata in questo ruolo. Il suo ingresso in scena è una vera e propria apparizione: preannunciata da un tuono, la regina Astrifiammante sbuca dall’oscurità della notte e avvolta in un occhio di nubi e luminosa in volto intona la sua prima aria (“Zum Leiden bin ich auserkoren”). Alla bellezza della resa scenica non corrisponde tuttavia un’esecuzione del tutto convincente: la voce risulta un po’ appiattita, soprattutto nel registro basso, e dà luogo ad acuti un po’ freddi e a vocalizzi non troppo sciolti. La performance è però salvata dalla buona interpretazione dell’aria del secondo atto (“Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen”) in cui i vocalizzi appaiono più sciolti e le note sovracute acquistano maggiore corposità. Un piacevole intreccio timbrico – che trova il suo riscontro visivo nei coloratissimi costumi realizzati da Nanà Cecchi – è quello prodotto dalle voci delle tre dame, interpretate dai tre soprani tedeschi Anna Schoeck, già Pamina e Papagena tra il 2007 e il 2012, Christine Knorren, recentemente protagonista a Palermo di Feuersnot di R. Strauss e Annette Jahns, artista poliedrica e soprattutto, come qui è stato facile constatare, abile attrice teatrale. Voce molto adatta al ruolo è quella della Pamina di Laura Giordano, il cui timbro delicato ma espressivo si distende con dolcezza nelle parti più impegnative. Molti applausi riceve nel duetto con Papageno del primo atto (“Bei Männern, welche Liebe fühlen”), svolto interamente oltre le quinte, alle spalle del direttore d’orchestra, a scapito dei moltissimi turisti (prevalentemente tedeschi) che affollavano la piccionaia e che, non riuscendo a vedere, non hanno potuto godere appieno del bel momento. Applausi convinti anche al Tamino di Paolo Fanale, cantante palermitano dalla voce tenorile brillante e cristallina e interprete mozartiano di successo. L’unico appunto è sulla dizione tedesca che necessita forse di una maggiore padronanza della lingua. Molto efficace risulta il contrasto con la voce profonda e morbida del basso Andrea Mastroni, un Sarastro perfettamente addentro alla figura posata e autorevole, solare, del personaggio. Il vortice mozartiano degli eventi raggiunge infine il suo culmine nel duetto tra Papageno e Papagena, interpretata da Laura Catrani, bravissima attrice in grado di gestire con padronanza il palcoscenico e, al tempo stesso, di governare la propria voce, ponendosi in perfetto equilibrio con lo sfavillante suo amato Papageno nel celebre duetto finale. Buone le performances delle figure minori, tra cui spicca un divertente quanto inquietante Monostatos: l’interpretazione di Alexander Krawetz ne esaspera la mimica così come la vocalità. Un po’ debole infine il Coro del Teatro Massimo, diretto come sempre da Pietro Monti, spesso sovrastato dall’orchestra nei momenti culminanti della partitura. Foto Rosellina Garbo & Franco Lannino