Felice Romani (1788-1865) e i suoi melodrammi: “Alina, regina di Golconda” di Gaetano Donizetti (1828)

Quel Romani che tutto promette, nulla mantiene; gli ho scritto, non rispose, scelse soggetto, e non troppo mi piacque – Basta; io vado fra giorni a Genova, e sconvolgerò, Cielo, Mare e Terra”. G. Zavardini, Donizetti. Vita-Musiche-Epistolario, Arti Grafiche, Bergamo, 1948, lettera n. 38.
Con queste parole, affidate a una lettera indirizzata a Simone Mayr il 2 febbraio 1828, Gaetano Donizetti si lamentava della lentezza di Felice Romani che avrebbe dovuto scrivergli il libretto di Alina, regina di Golconda, ma che evidentemente tardava perché impegnato in altri lavori. In effetti Romani fu il protagonista assoluto di quella stagione di primavera del 1828, la prima nel nuovo Teatro Carlo Felice di Genova, dal momento che dovette anche riscrivere molte parti del vecchio libretto di Domenico Gilardoni, Bianca e Fernando, seconda opera di Bellini, che il compositore catanese aveva deciso di riproporre in una nuova versione per l’inaugurazione del nuovo teatro genovese avvenuta immancabilmente il 7 aprile di quell’anno. Donizetti, che per la serata inaugurale aveva composto un inno reale su testo di Romani in onore dei Savoia presenti a teatro, manifestò una certa irritazione, in una lettera indirizzata al padre il 28 febbraio sempre di quell’anno, non solo perché l’impresario Bartolomeo Merelli gli preferì Bellini probabilmente perché reduce dal successo scaligero con il suo Pirata, ma anche per il libretto di Alina definito pasticcione:
“Qui non vi è troppa opinione di me, il fiasco dell’opera di Milano [Il borgomastro di Sardaam] che piacque tanto a Napoli: forse è meglio. Il libro [Alina] però è pasticcione vero e ditelo al M.° Mayr, che Romani mi ha servito come va” (Ivi, lettera 39).
Nonostante le lamentele di Donizetti, l’opera, andata in scena il 12 maggio 1828 al Carlo Felice alla presenza della famiglia reale e con un cast di ottimo livello, nel quale figuravano Serafina Rubini (Alina), Carolina de Vincenti (Fiorina), Giovanni Battista Verger (Seide), Antonio Tamburini (Volmar), Giuseppe Frezzolini (Belfiore), Antonio Crippa (Hassan), ebbe un notevole successo come ricordato da Emilia Branca che riportò la favorevole recensione pubblicata su «La Gazzetta di Genova»:
“Agli augusti suffragi delle LL. MM. si unirono le acclamazioni del pubblico, e gli autori e i cantanti furono ripetutamente chiamati sulla scena, ma il poeta non volle comparire. Tutti i pezzi dello spartito, e specialmente i concertati con coro, provano la somma perizia del giovane compositore lombardo, e brilla in tutti una certa festività gioconda di pensieri che sempre scuote e piacevolmente trattiene” (E. Branca, Op. cit., pp. 138-139)
Nell’articolo veniva esaltato anche il libretto, per il quale il poeta genovese si era ispirato alla novella del cavaliere de Boufflers, La reine de Golconda, in un passo, un po’ campanilistico, che Emilia Branca, innamorata com’era del marito, non mancò di citare:
“Trattandosi di un melodramma scritto dal nostro Romani, il dire che i versi ne sono armoniosi, eleganti, sparsi or di gentili, or di sublimi pensieri, sarebbe un ricantare le lodi che tutta Italia tributa a questo poeta delle grazie e dell’armonia. Ma un merito singolare gli appartiene in quest’opera per l’arte con cui seppe superare le molte difficoltà del soggetto, e pel modo ingegnoso con cui riuscì a intesservi una finzione che punto non nuoce alla storia, ma bensì la ravviva col grato prestigio d’un interesse drammatico” (Ibid.)
L’opera e il libretto

Ouverture

Alina Es. 1L’opera è preceduta da un’ouverture che presenta la tradizionale struttura formale con un’introduzione più lenta e di carattere drammatico e solenne di cui è protagonista un tema marziale dal ritmo puntato; alla cupa introduzione in tonalità minore (re minore) si contrappone l’Allegro in forma-sonata che si distingue per una scrittura brillante sia nel primo tema (Es. 1) che DoniAlina Es. 2zetti avrebbe utilizzato nell’ouverture dell’Anna Bolena che nel secondo (Es. 2) nel quale ritorna il ritmo puntato dell’introduzione in un contesto estremamente più leggiadro e meno drammatico.
Atto primo
Nel magnifico padiglione indiano della regina Alina, che, catturata dai pirati e condotta nel regno di Golconda, è diventata moglie del re, un leggiadro coro introduttivo di schiave, oltre a tesserne le lodi ed esaltarne la bellezza, la esorta a prendere un nuovo marito, essendo rimasta vedova. Alina, nella belcantistica cavatina, Che val ricchezza e trono, conclusa dalla brillante cabaletta Perché non trovo, si mostra insoddisfatta della sua vita, in quanto il trono non riesce a darle quella felicità che può venirle soltanto dall’amore per un precedente innamorato che qui non viene nominato. Subito dopo, Alina, esortata da Hassan, grande ufficiale di corte, a rivelare il nome del futuro sposo e, quindi, re, si produce in un’amara considerazione sulla vanità del suo amore (Vana d’amor memoria) piena di pathos reso da quel sincopato che Donizetti avrebbe usato in seguito, in una forma più matura, nel sestetto della Lucia di Lammermoor.

Un brillate coro di Grandi che tributano doni e fiori alla regina (Salve, o sole) saluta Alina e nel frattempo introduce il suo pretendente ufficiale Seide che nel cantabile (Se valor, disprezzo e fede) di acceso lirismo le dichiara il suo amore. Incalzata dal coro, la donna, pur mostrando qualche titubanza, sta per rivelare il nome del prescelto, quando un colpo di cannone produce un repentino cambiamento di scena. Hassan informa in presenti che, in qualità di ambasciatore recante un messaggio di pace dalla Francia, è giunto Ernesto Volmar, il vecchio amante di Alina che, naturalmente, esulta, mentre Seide esprime, nella brillante stretta, tutto il suo disappunto per il nuovo ostacolo che si oppone alle sue eventuali nozze con la regina di Golconda.
Nel successivo recitativo secco Alina manifesta a Fiorina, prima delle schiave e sua confidente, tutte le sue ansie per l’imminente incontro con Volmar che fa il suo ingresso in scena insieme con Belfiore. Questi non è altri che il marito di Fiorina, donna originaria della Francia anch’essa rapita dai pirati. Nel brillante duetto (Bel paese, ciel ridente) i due personaggi appaiono magistralmente caratterizzati in modo diverso; Belfiore, la cui parte tradisce in modo spiccato la sua vocalità da basso buffo soprattutto nella cabaletta Ah! Dal dì che mi venne rapita, appare leggero e frivolo nel manifestare i suoi sentimenti essendo poco fedele all’antico legame con Fiorina, mentre Volmar, la cui parte è intrisa di accenti patetici, si mostra ancora profondamente innamorato della sua Alina. Nel successivo recitativo secco Belfiore e Volmar, accolti con tutti i favori a corte, incontrano le antiche amanti che non si fanno riconoscere immediatamente dai due uomini. Alina, anzi, volendo mettere alla prova l’amore di Volmar, decide di nascondersi tra le sue schiave dissimulando così la sua condizione di regina. Gli equivoci, generati dal comportamento delle due donne, trovano la loro espressione nel raffinato quartetto (Ho inteso), all’interno del quale spicca, per l’ordito contrappuntistico per nulla artificioso ma quasi spontaneo nella bellezza delle melodie, il cantabile Insiem si consultano, in cui Alina e Fiorina si prendono gioco dei loro antichi amanti che, dal canto loro, appaiono storditi. Nel tempo di mezzo (Deh! Mi scopri il tuo sembiante!), anche questo di elevata fattura contrappuntistica, i due uomini chiedono alle loro interlocutrici di togliere il velo, ma vengono interrotti da Hassan il quale annuncia loro che la regina li attende. Le due coppie si lasciano con la promessa di rivedersi presto nella brillante cabaletta Sì, ragazza, a te d’appresso, che si distingue, anche questa, per la raffinata scrittura contrappuntistica. Nel successivo recitativo secco Seide manifesta ad Hassan la sua gelosia perché ha compreso che Alina gli preferisce un altro uomo e sfoga tutta la sua furia nel recitativo (E fia ver) della belcantistica aria Dunque invan mi lusingai, nella quale mostra tutta la sua delusione. Subito dopo fanno il loro ingresso i Grandi (tempo di mezzo: Entrano i Grandi) che fungono da pertichino e sostengono Seide nei propositi di vendetta espressi nella cabaletta (Vi leggo, magnanimi).
Alina Es. 3Un leggiadro coro di Baiadere, nel quale viene esaltata la bellezza di Alina, dà l’avvio al Finale del primo atto nel quale Volmar, che offre alla regina pace e amicizia, è colpito dalla voce della donna; gli sembra, infatti, di riconoscere quella di Alina che, ancora una volta incalzata dai presenti, rivela il nome del suo sposo indicando Volmar e lasciando tutti sorpresi. Qui inizia lo splendido concertato Tace sorpreso e attonito (Es. 3), che ricorda, sia per la situazione scenica che produce un momento di stasi dell’azione sia per la tonalità e la struttura ritmica caratterizzata dall’adozione del tempo composto, Freddo ed immobile del Finale del primo atto del Barbiere di Siviglia di Rossini. Al suo interno si registra la reazione sorprendente di Volmar il quale, essendo ancora innamorato di Alina e non avendola ancora riconosciuta nella regina, intende rifiutare lo scettro di Golconda. Nel tempo di mezzo (Cavalieri! Ebben tacete?) Volmar, sfidato da Seide che intende opporsi a queste nozze, risponde con atteggiamento valoroso sostenuto dai suoi soldati francesi. Tutti si promettono vendetta nella brillante stretta conclusiva (Sì, l’onore d’un trono oltraggiato).
Atto Secondo
La ripresa del secondo tema dell’ouverture introduce il recitativo accompagnato iniziale nel quale Seide ribadisce i suoi propositi di vendetta ad Hassan nel cui aiuto confida. Nel frattempo Fiorina e un brillante coro di donne rivelano di aver fatto bere ai due ospiti francese un sonnifero per realizzare un loro piano nel far loro credere di trovarsi ancora in Provenza e di aver sognato fino a quel momento. Per portare a compimento questo piano è stato realizzato un giardino in stile provenzale come si apprende nel recitativo secco successivo nel quale Alina invita Fiorina a travestirsi.

Una breve introduzione orchestrale interamente costruita su un disegno di tre note serve da ambientazione alla scena successiva nella quale Volmar, coricato sopra un sedile di verdura, si sveglia a poco a poco e non comprende cosa gli stia succedendo; vede, infatti, perfettamente riprodotto il villaggio della Provenza e il boschetto in cui era solito incontrarsi con Alina. Il beato sogno dell’uomo, che crede di essere ritornato al tempo felice dei suoi amori con Alina (cantabile: Oh! Come dolce all’anima), è avvalorato dalla presenza di un gruppo di villani e villanelle che intonano un coro di carattere bucolico nel cullante andamento di 6/8. La gioia di Volmar si fa incontenibile quando scorge sul ponte una villanella che si rivela essere Alina (tempo d’attacco del duetto: Sei pur tu). I due amanti ritrovano i tempi del loro amore nel dolcissimo cantabile Non rammenti nel quale Alina ricorda il dono dell’anello fattogli da Volmar. Alla fine i due amanti, ritrovatisi, decidono con risolutezza di restare insieme nella brillante cabaletta, Restiamo, o mio bell’idolo.
Anche per Belfiore è stata costruita una scena particolare; l’uomo viene condotto addormentato all’interno di una misera capanna dove si desta a poco a poco, mentre Fiorina imbastisce la recita cantando una canzone ben nota al marito. L’uomo non comprende ciò che sta avvenendo e il coro, intervenuto, gli fa credere che l’ambasciata e Golconda erano stati semplicemente dei sogni. La realtà, così mistificata dalla messa in scena di Fiorina, si rivela un incubo per Belfiore che era stato ben felice di essersi liberato della moglie, come si apprende nella sua aria da basso buffo, Questa strega, che mostra delle scoperte influenze rossiniane. Nel successivo recitativo secco Fiorina, però, rivela la verità a Belfiore dicendogli che si trova in Golconda e che è effettivamente capitano, anche perché spera in un suo aiuto contro una rivolta capeggiata da Seide contro Alina.
Dopo una tetra introduzione orchestrale, i Bramini pronunciano una sentenza contro Alina, di cui è portavoce Seide al quale la donna con alterigia manifesta il suo disprezzo per lo scettro e la sua volontà di partire. La donna è fermata da Seide che, nel tempo d’attacco del duetto (Io t’amo), le dichiara il suo amore ancora una volta rifiutato da Alina alla quale Seide risponde che è trattenuta come prigioniera nella cabaletta (Prigioniera in queste mura). Volmar, conosciuta la verità sull’identità di Alina, ritorna con le truppe francesi e sgomina quelle di Seide, riportando sul trono la donna che, felice anche per l’affetto del popolo e per la fortunata soluzione della sua vicenda umana e sentimentale, si produce nel belcantistico rondò Finale Sull’ali dei sospiri.