Felice Romani e i suoi melodrammi: “Il Turco in Italia” di Gioachino Rossini

Dramma buffo in due atti, libretto di Felice Romani. Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 14 agosto 1814.
Primi interpreti:
Filippo Galli (Selim)
Francesca Maffei Festa (Fiorilla)
Luigi Pacini (Geronio)
Pietro Vasoli (Prosdocimo)
Giovanni David (Narciso)
Adelaide Carpano (Zaida)
Gaetano Pozzi (Albazar)
“Nell’autunno dello stesso anno 1814, Rossini compose per la Scala il Turco in Italia: si attendeva un’opera che facesse riscontro all’Italiana in Algeri. Galli, che per diversi anni aveva mirabilmente interpretato la parte del bey nell’Italiana, ebbe l’incarico di interpretare la parte del giovane Turco che, sospinto dalla tempesta, sbarca in Italia e s’innamora della prima bella donna che il caso gli fa incontrare”.*

Con queste parole, Stendhal, nella sua Vita di Rossini, inizia il resoconto della prima sfortunata rappresentazione del Turco in Italia che, andato in scena per la prima volta il 14 agosto 1814 alla Scala sotto la direzione di Alessandro Rolla con Filippo Galli nella parte di Selim e Giovanni David in quella di Narciso, fu accolto freddamente dal pubblico che, attendendosi qualcosa di nuovo, rimase quasi offeso dalla scelta del Pesarese di riproporre un soggetto simile a quello dell’Italiana in Algeri. Lo stesso Stendhal, a conclusione del capitolo dedicato al Turco in Italia:
“L’orgoglio nazionale era ferito. Affermarono che Rossini aveva copiato se stesso. Ci si poteva permettere tale libertà con i teatri dei piccoli centri; ma per la Scala, il primo teatro del mondo, andavano ripetendo con enfasi i buoni milanesi, bisognava fare qualcosa di nuovo. Quattro anni dopo, il Turco in Italia, fu ridato a Milano e accolto con entusiasmo”.
Per la verità anche il libretto, il secondo scritto da Romani per Rossini se si attribuisce al poeta genovese quello dell’Aureliano in Palmira, o il primo, nel caso in cui questo venga attribuito ad un altro autore, non è proprio originale. Romani, infatti, rielaborò, seguendo una prassi abbastanza comune all’epoca, il libretto del Turco in Italia scritto dal poeta ufficiale dell’elettore di Sassonia, Caterino Mazzolà, per Franz Seydelmann. L’opera, andata in scena al Kleines Kurfürstliches Theater di Dresda il 22 gennaio 1788, aveva goduto di un discreto successo, tanto da essere ripresa l’anno seguente a Vienna al Burgtheater. Il libretto, secondo una prassi abbastanza comune per l’epoca, era stato messo in musica da altri compositori e, in particolar modo, dall’allievo e amico di Mozart, Franz Xaver Süssmayr, e da Francesco Bianchi nel 1794; Romani, invece, lo rimaneggiò per adattarlo ai tempi e al contesto italiano non solo apportando delle modifiche a livello drammaturgico, ma anche a livello testuale. A livello drammaturgico, infatti, è possibile notare sia la modifica dell’ordine delle scene sia la riduzione degli assoli a favore dei pezzi d’insieme, mentre sul piano lessicale il poeta decise di eliminare la parola «eunuco», abbastanza frequente nel testo di Mazzolà, ma sentita come espressione di una pratica deplorevole dal pubblico italiano dell’epoca. A livello testuale, infine, si osserva una riduzione del numero delle citazioni dotte a volte semplificate; è questo il caso della citazione tratta dall’Ars poetica di Orazio che ripresa in latino nel libretto di Mazzolà (neve minor neu sit / quinto productior actu /fabula) diventa più leggera in quella di Romani: Ma un atto è poco a un Dramma, e Orazio dice / che minor di cinque esser non può).
Dopo la sfortunata prima Il Turco in Italia trovò un immediato riscatto, l’anno dopo, il 7 novembre 1815 al Teatro Valle di Roma, mentre alla Scala fu riabilitato ben sette anni dopo e non quattro, come ricordava Stendhal. Sempre nell’Ottocento l’opera varcò in confini italiani per affermarsi sui palcoscenici del Théâtre Italien di Parigi (23 maggio 1820), del Her Majesty’s Theatre di Londra (19 maggio 1822) e del Park Theatre di New York il 14 marzo 1826 con Maria Malibran, Manuel Carcia Senior, Manuel Garcia Junior, rispettivamente padre e fratello del celeberrimo soprano. In Italia l’opera fu rappresentata con una certa regolarità fino al 1830, anno in cui vide la prima al Regio di Parma (6 febbraio), mentre nel Novecento si è imposta nei cartelloni grazie alla ripresa al Teatro Eliseo di Roma nel 1950 con Gianandrea Gavazzeni sul podio e un cast d’eccezione nel quale figuravano la divina Maria Callas, il tenore Cesare Valletti, il baritono Mariano Stabile e i bassi Franco Calabrese e Sesto Bruscantini.

L’Opera

Turco in Italia Es. 1 (2)L’opera è preceduta dalla celeberrima e brillante ouverture, formalmente costruita secondo la struttura tipica delle sinfonie rossiniane con un Adagio iniziale a cui segue l’Allegro in forma-sonata. Nell’Adagio, dopo l’esposizione della concisa ed incisiva cellula tematica (Es. 1) sulla quale si basano due dei temi dell’Allegro, la calda voce del corno si produce in un lirico assolo, mentre l’Allegro si apre con un tema grazioso ed elegante, che per il caratteristico ritmo puntato (Es. 2), scaturisce dalla cellulaTurco in Italia Es. 2 (2) tematica dell’Adagio sulla quale si basa anche il brillante secondo tema, esposto alla dominante, la maggiore (Es. 3). Un terzo tema ironico affidato alla tromba conduce al crescendo, derivato dal secondo tema. Dopo una breve ripresa degli elementi tematici dell’Adagio in sostituzione dello sviluppo, la sinfonia si conclude con la vera e propria ripresa dell’esposizione dell’Allegro seguita da una travolgente e brillante coda.

Primo atto

Turco in Italia Es. 3 (2)Su una spiaggia, nei pressi di Napoli, un gruppo di zingari inneggia agli aspetti positivi della propria vita, intonando un coro che si apre con un verso, Nostra patria è il mondo intero tratto dal Talismano di Goldoni, che, già citato da Mazzolà, è mantenuto da Romani. Solo Zaida, un tempo schiava e promessa sposa di Selim, ma oggi zingara, manifesta un tormento interiore (Hanno tutti il cor contento / Sol la misera son io) che musicalmente viene espresso attraverso patetiche appoggiature discendenti. Nel bel mezzo di questa festa zingaresca giunge il Poeta, personaggio che, già inserito con funzione metapoetica in Mazzolà, è ripreso da Romani. L’uomo, che vorrebbe scrivere un dramma buffo, ma è in crisi d’ispirazione, cerca qualche spunto nella vita zingaresca e in quel momento giunge anche Geronio, un uomo debole con il vizio di farsi predire il futuro dagli zingari, come si apprende nel recitativo secco Ah! Se di questi zingari l’arrivo. Geronio, nella sua cavatina Vado in traccia d’una zingara, esprime il desiderio di trovare una zingara che gli sappia predire il futuro e soprattutto se riuscirà a sanar il cervello di sua moglie; resta, tuttavia, deluso e si arrabbia quando le zingare gli predicono che rimarrà sciocco e gonzo, le caccia in malo modo. Musicalmente la cavatina è un tipico brano per basso comico con una grande abbondanza di ribattuti che imitano il parlato.
Nel successivo recitativo secco (Brava! Intesi) si apprende, tramite la conversazione tra il Poeta, Zaida e lo zingaro Albazar, che la donna, nata alle falde del Caucaso, era finita nel serraglio del principe turco Selim Damelec, il quale, essendosi innamorato perdutamente di lei, aveva manifestato l’intenzione di sposarla. Alcune calunnie delle rivali dell’Harem, secondo le quali Zaida sarebbe stata infedele, fecero non solo fallire il progetto matrimoniale, ma indussero Selim a condannare a morte la donna che fu salvata da Albazar. Venuto a conoscenza della visita in Italia di un principe turco, il Poeta promette a Zaida di fare qualcosa affinché la donna si possa riconciliare con il suo vecchio promesso sposo.
Accompagnata da alcune amiche, entra immediatamente in scena Fiorilla che manifesta subito il suo carattere volubile nella cavatina dalla struttura tripartita, Non si dà follia maggiore, nella quale afferma che è una follia amare una sola persona. Su un accompagnamento orchestrale ondulante che rappresenta le onde del mare e preceduto da un coro Voga, voga, nel quale sono ravvisabili, pur nella diversa tonalità, echi mozartiani derivati dalla scena del convitato di pietra del Don Giovanni, si avvicina alla riva un battello proveniente da una nave che appare subito a tutti di origine turca. Dal battello scende Selim il quale, dopo aver esaltato in una scrittura ornata e solenne l’Italia nella cavatina Cara Italia, dà vita a un duetto con Fiorilla in cui i due personaggi mostrano di essere attratti reciprocamente. Torna sulla scena il Poeta che, nel recitativo secco Della zingara amante, riflette sul soggetto del suo dramma e in quel momento è raggiunto da Narciso, cavalier servente di Fiorilla che non perde occasione per manifestare la sua gelosia e poco da Geronio, disperato perché ha visto la moglie con un Turco. Le riflessioni del Poeta sul soggetto affidate al successivo terzetto (Un marito – scimunito!), nel quale appare un’altra citazione mozartiana, questa volta da Così fan tutte, fanno infuriare Geronio e Narciso che si sentono offesi.
La scena si sposta negli appartamenti di Don Geronio elegantemente arredati, dove Fiorilla offre un caffè a Selim il quale non perde occasione per corteggiare la donna (Recitativo: Olà, tosto il caffè) che nel successivo quartetto Siete Turchi, non vi credo, in un astuto e civettuolo gioco delle parti, si mostra ritrosa. Al quartetto partecipano anche Geronio, sempre più disperato e Narciso, amante deluso, sul quale l’ironia di Rossini si esercita attraverso una scrittura da tenore amoroso particolarmente sarcastica. Dopo aver riflettuto insieme con il Poeta, sempre più impegnato nella scrittura del dramma, sulla follia di aver sposato una donna giovane, Geronio nel successivo duetto (Per piacere alla signora) cerca di affrontare la moglie che, mettendo in campo tutte le astuzie femminili simulando nel cantabile (No, mia vita, mio tesoro) di provare un sincero affetto per rimproverarlo aspramente nella cabaletta (Con marito di tal fatta).
Nel recitativo secco, Ho quasi del mio dramma, il Poeta, citando Orazio in una forma rielaborata (ma un atto è poco a un dramma, e Orazio dice / che minore di cinque esser non può) informa il pubblico di aver ormai quasi completato l’orditura del dramma e nel frattempo introduce il Finale del primo atto, aperto, come da tradizione, da un coro di Zingari (Gran meraviglie) intercalato dall’intervento di Zaida che si offre per predire il futuro. Nel tempo d’attacco (Per la fuga è tutto lesto), la donna, dopo essersi fatta riconoscere da Selim, gli confessa di amarlo ancora, mentre Narciso e Fiorilla, in una scrittura ironicamente da opera seria, meditano sulle loro pene d’amore in due splendidi e speculari cantabili che arricchiscono dal punto di vista formale il Finale. Fiorilla, meditando sulla sua condizione, apre il concertato (Ah! Che il cor) nel quale tutti i personaggi esprimono a parte i loro sentimenti. Nel tempo di mezzo (Vada via, si guardi bene) le due rivali sono protagoniste di un alterco, mentre gli uomini nella stretta del Finale (Quando il vento improvviso) cercano di fare da pacieri.
Secondo atto 
Seduto al tavolo di una locanda, Geronio apprende dal Poeta che proprio lì ci sarebbe stato un convegno amoroso tra Fiorilla e Selim
che, appena sopraggiunto, propone nel duetto, D’un bell’uso di Turchia, a Geronio di vendergli la moglie secondo le usanze turche, ma il rifiuto di quest’ultimo conduce ad un alterco tra i due che nella marionettistica cabaletta (Ed invece di pagarla) per l’eccesso di ribattuti, si sfidano a duello. Mentre il Poeta medita sul suo dramma, Fiorilla con il suo seguito inneggia all’amore in un clima di festa; la donna ha organizzato un incontro per costringere Selim sarebbe stato costretto a scegliere tra lei e Zaida, anch’ella invitata, ma le indecisioni del principe turco offendono entrambe. Rimasto solo con Fiorilla, il principe nel successivo duetto Credete alle femmine, dopo un’iniziale lamentela sulla natura femminile, riconquista la donna con la quale nella cabaletta Tu m’ami lo vedo scambia le tipiche promesse d’amore. Nel frattempo don Geronio, che attende inutilmente la moglie, manifesta le sue preoccupazioni al Poeta il quale, mentre continua a prendere appunti per il suo dramma gli rivela i piani di un presunto rapimento e gli consiglia di vestirsi da gorilla per cercare di evitarlo. Alla conversazione assiste di nascosto Narciso che a sua volta manifesta il proposito di vestirsi da turco per rapire Fiorilla in un’aria da opera seria costruita secondo il principio della cosiddetta solita forma. Al breve recitativo accompagnato Intesi: Ah! Tutto intesi seguono, infatti, il cantabile Tu seconda il mio disegno, nel quale si rivolge all’amore, il tempo di mezzo Se il mio rival e la cabaletta Ah sì la speme. L’intervento di Narciso mette in ansia il Poeta il quale teme che l’uomo possa pregiudicare la riuscita del dramma; nel frattempo promette ad Albazar, sopraggiunto, di dargli una parte importante nel suo dramma, ma lo zingaro nell’arietta, Ah sarebbe troppo dolce, manifesta la sua gioia nel poter servire il dio d’amore.

In una sala illuminata per la festa in maschera un coro inneggia ad Amore, mentre Fiorilla è inquieta per il ritardo di Selim, anche perché le maschere, in cui si presentano i personaggi, creano tutta una serie di equivoci; Fiorilla è corteggiata da Narciso, travestito da Turco, mentre Zaida, che si era travestita da Fiorilla su consiglio del Poeta, è oggetto delle avances di Selim il quale, ingannato dal travestimento, crede di corteggiare Fiorilla suscitando la gelosia di Zaida. Gli equivoci causati dai travestimenti trovano il punto culminante nel bellissimo Quintetto Oh! Guardate che acidente!, all’interno del quale emerge il raffinato cantabile eseguito a cappella Deh raffrena. Alla fine Fiorilla fugge con Narciso e Zaida con Selim, mentre Geronio resta da solo sulla scena disperato. L’uomo è aiutato, però, dal Poeta che prima gli consiglia di scrivere una finta lettera di ripudio nei confronti della moglie e poi gli dice che non deve più temer nulla dal Turco che si è riappacificato con Zaida e sta partendo per la Turchia. È lo stesso Poeta a recapitare la lettera alla donna che, lettala su un accompagnamento degli archi, mostra tutto il suo sconforto di donna costretta a tornare nella sua famiglia d’origine dopo aver perduto l’onore nel Recitativo accompagnato ed aria (I vostri cenci) costruita anche questa secondo il principio della solita forma. Al recitativo iniziale seguono, infatti, il cantabile Squallida veste, il tempo di mezzo Caro padre, madre amata, nel quale intervengono in qualità di pertichino il coro e il poeta, e la cabaletta L’infelice che opprime sventura. Se il Poeta è felice perché il suo dramma è ormai compiuto nel migliore dei modi, Fiorilla sulla spiaggia cerca un battello che la possa condurre a Sorrento dalla sua famiglia. È spiata da Geronio che le si avvicina per riconciliarsi con lei nel Finale nel quale si ricompone la serenità familiare.