Ferrara, Teatro Comunale: “Die Entführung aus dem Serail”

Lirica_Teatro Comunale di Ferrara WOLFGANG AMADEUS MOZART DIE ENTFÜRUNG AUS DEM SERAIL Personaggi e interpreti Selim Bruno Praticò Konstanze Jeanette Vecchione-Donatti Blonde Daniela Cappiello Belmonte Martin Piskorski Pedrillo Marc Sala Osmin Manfred Hemm direttore Francesco Ommassini Orchestra Regionale Filarmonia Veneta Coro del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia maestro del coro Francesco Erle regia Roberto Driver scene e costumi Guia Buzzi luci Roberto Gritti computer graphics Lorenzo Curone coproduzione Opera Company of Philadelphia, Teatri e Umanesimo Latino spA, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara

Teatro Comunale “Claudio Abbado”, Stagione lirica 2017
“DIE  ENTFÜHRUNG AUS DEM SERAIL”
Singspiel in tre atti su libretto di Christoph Friedrich Bretznev, rielaborato da Johann Gottlieb Stephanie il giovane.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Selim BRUNO PRATICÒ
Konstanze
JEANETTE VECCHIONE-DONATTI
Blonde
DANIELA CAPPIELLO
Belmonte
MARTIN PISKORSKI
Pedrillo
MARTIN SALA
Osmin
MANFRED HEMM
Orchestra Regionale Filarmonia Veneta
Coro del Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia
Direttore Francesco Ommassini
Regia Robert Driver
Scene e costumi  Guia Buzzi
Luci Roberto Gritti
Coproduzione Opera Company of Philadelphia, Teatri e Umanesimo Latino Spa, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara
Ferrara, 12 febbraio 2017
Assistendo al Ratto dal serraglio trevigiano in trasferta ferrarese, vengono in mente quegli allestimenti d’altro secolo in cui un Del Monaco poteva permettersi di cantare Don José in italiano e la Carmen di Irina Archipova gli rispondeva in russo. A tanto non si giunge nell’odierna messinscena mozartiana, ma il senso di straniamento è pressoché il medesimo. Perché il Singspiel si fa in due lingue: parti cantate tutte in tedesco, dialoghi (assai scorciati) in italiano. Verrebbe da dire che siffatta esigenza è dettata da maggioranza di voci nostrane in cartellone, in realtà il cast è quanto di più global si possa immaginare: due soli Italiani, fra cui Bruno Praticò (qui nel ruolo parlato di Selim, il migliore per doti sceniche della compagnia). Per il resto, pronuncia e inflessioni assai perfettibili. Incoerenza estetica che però non cozza con la regia leggiera, leggierissima nei contenuto di Robert Driver. Il film muto proiettato a fondo scena in corso d’ouverture fa presagire una rilettura meloesoticospionistica dell’opera in stile Casablanca. Invece niente, tutto converge in una narrazione di primo grado, fiabesca e lineare, fatta dei costumi sgargianti di Guia Buzzi, di andirivieni di scale rotanti, di videoproiezioni maldestre nella resa. Quel che si poteva guadagnare in piglio narrativo con siffatta regia e con dialoghi in italiano si stempera assai nella concertazione di Francesco Ommassinni, a capo di una Filarmonia Veneta assai migliore negli archi che nei fiati. Il direttore veneziano  si dimostra più interessante nelle premesse che negli svolgimenti: i tempi veloci sono staccati con scolastico brio, gli attacchi delle arie elegiache vibrano di fraseggi preziosi ma a forza di ritenuti non scritti e pause coronate il ritmo teatrale s’arresta. Ha il merito però di ben servire le voci – e quanto ce n’è bisogno. Giovane e bello, Martin Piskorski: il Tamino del recente Flauto magico all’Accademia della Scala fa capolino qui in ruolo ben più impervio. Magnifico timbro scuro e squillo eroico non bastano per venire a capo d’un Belmonte:  troppi suoni forzati, occasionalmente in gola e nel naso, inficiano la prova. E nella terza aria spunta qualche stecca, segno di esuberanza giovanile e di un mezzo vocale cospicuo che va meglio dosato. Anche Jeanette Vecchione-Donatti ha grande grinta nell’affrontare “Marten aller Arten” ma scarsa precisione. Peggio: in una gemma come “Traurigkeit” non varia in dinamiche e indulge in un vibrato che tradisce emissione non proprio morbida. Più a suo agio è Daniela Cappiello nei panni di Blonde, impiega onesto legato e i sopracuti sono tutti a fuoco. Quasi sempre efficiente ma piccola assai è la voce di Marc Sala, prestante Pedrillo. A sopresa, un veterano dei teatri austrotedeschi come Manfred Hemm dipinge un Osmin di tradizione, tonante in basso, poco aggraziato in alto, gigione ma neanche troppo e ritmicamente approssimativo in più d’un punto. Soprani fisserelli, tenori poco sonori: i giovani del Coro del Conservatorio di Venezia sono rimandati a fine studi. A recita conclusa, impossibile non fare paragoni almeno col recente allestimento bolognese  (un terzo Ratto coronerà la stagione scaligera a giugno nella storica messinscena di Strehler). Nel capoluogo emiliano s’apprezzava un serio (financo serioso) lavoro di regia e una riscrittura forse arbitraria ma assai coerente dei dialoghi. Mancavano i valori illuministi che permeano la partitura? Anche qui non si son palesati. Non sempre è facile trovar la misura fra il cervellotico e il semplicistico. I tanti bimbi presenti in sala però han gradito, e questo non è poco. Foto Marco Caselli Nirmal