Georg Friedrich Händel (1685 – 1759): “Ottone re di Germania” (1723)

Opera in tre atti su libretto di Nicola Francesco Haym. Max Emanuel Cenčić (Ottone), Ann Hallenberg (Gismonda), Lauren Snouffer (Teofane), Pavel Kudinov (Emireno), Xavier Sabata (Abalberto), Anna Starushkevych (Matilda). Il pomo d’oro, George Petrou (direttore). Registrazione: Villa San Fermo, Lonigo, Vicenza, 22 giugno/ 2 luglio 2016. T.Time: 203′ 15 3 CD Decca 483 1914.

Ottone” è stato uno dei successi più luminosi e duraturi di Händel in Inghilterra. Rappresentata per la prima volta a Londra nel 1723, l’opera è stata più volte ripresa negli anni successivi (1726, 1727 e 1733) secondo una prassi, non certo abituale per il teatro barocco, che, però, costituisce una testimonianza del trionfo riscosso alla prima.
L’idea di allestire un’opera sulle nozze di Ottone II con la bizantina Teofane venne al compositore in occasione di una visita a Dresda dove nella sua funzione di impresario del King’s Theater si era recato per scritturare alcuni cantanti di gran pregio attivi sulla piazza sassone. L’ascolto della “Teofane” di Antonio Lotti in scena nella capitale sassone deve aver colpito profondamente il maestro spingendolo a mettere in musica questo soggetto.
La genesi dell’opera non fu tra le più serene e i furiosi scontri fra compositore e cantanti, specie con Francesca Cuzzoni, nuova a Londra ma diva acclamata e capricciosa su tutti i palcoscenici europei, riempirono i giornali dell’epoca.
Nonostante queste difficoltà Händel riuscì a realizzare uno dei suoi massimi capolavori. Opera di dimensioni monumentali – il numero di arie è il maggiore di tutti i titoli inglesi del compositore – costruita attorno ad alcune delle voci più illustri degli inizi del XVIII secolo – alla prima parteciparono il Senesino (Ottone), la già citata Cuzzoni (Teofano), Margherita Durastanti (Gismonda), Gaetano Berenstadt (Adalberto) e Anastasia Robinson, la futura intepretete di Cornelia del “Giulio Cesare in Egitto” (Matilda) – presenta anche alcune delle musiche più autenticamente ispirate di Händel.
In contrasto con il soggetto potenzialmente eroico il clima dominante dell’”Ottone” è quello elegiaco e patetico. Pochi sono i brani scopertamente virtuosistici e per di più affidati a ruoli non di primissimo piano come Matilda ed Emireno mentre solo nelle riprese furono aggiunte arie prevalentemente di bravura per il protagonista. A prevalere è, invece, un raffinato gioco di variazioni sulla poetica degli effetti che, se forse attenua l’impegno vocale dei cantanti, di contro mette in primo piano le capacità espressive e interpretative. Questa fusione di grandiosità di impianto,  di spettacolarità della vicenda – è fra le opere più ricche d’azione di quel tempo –, di intimità espressiva e di altissima ispirazione melodica crea un prodotto dal fascino irresistibile.
Musicista e impresario di se stesso e dei suoi prodotti, Max Emanuel Cenčić fa rivivere in sé una figura sostanzialmente barocca. Il sopranista è, infatti, l’anima di questa produzione che permette di apprezzare pienamente il capolavoro händeliano in quella che è forse la migliore esecuzione disponibile. A voler essere pignoli la parte di Ottone è fin troppo grave per Cenčić con conseguenti tracce di affaticamento ma la tecnica è prodigiosa, il controllo sul fiato di una perfezione che ha dell’inumano e a cui si accompagna una facilità sbalorditiva nel canto di coloratura. In Cenčić, però, l’artista prevale sul pur grandissimo cantante in quanto nessuno come lui in questo repertorio sa creare una fusione totale con il personaggio, nessuno ha la ricchezza di colori, di accenti, di sfumature che il sopranista è in grado di esibire e che in un ruolo, in cui l’aspetto espressivo è così centrale, non può che esaltarsi al massimo grado.
Al suo fianco giganteggia la Griselda di Ann Hallenberg che si conferma una delle massime virtuose dei nostri tempi. Voce ampia, timbrata, imponente, tecnica perfetta, senso dello stile inappuntabile ed espressività al calor bianco che trova ideale terreno di espressione nella machiavellica regina longobarda e nella sua tormentata personalità capace di passare dalla  violenza della scena di furore e al profondo senso materno di “Vieni, o figlio, e mi consola”. Di fronte a due personalità di questo livello può sembrare un po’ dimessa la Teofane di Lauren Snouffer ma il suo canto schietto e sincero, di virginale purezza, è esattamente quanto richiede il ruolo della principessa bizantina, figura drammaturgicamente più passiva e che trova nella pura luminosità musicale la sua ragione espressiva.
Meno rifinita e priva del timbro fondo che forse il ruolo vorrebbe è la Matilda di Anna Starushkevych che, però, canta ugualmente con correttezza e interpreta con grande convinzione. Voce da autentico basso, Pavel Kudinov, nel ruolo di Emireno, sfoggia ottime doti nel canto di bravura. Adalberto è cantato con grande correttezza ma con voce un po’ povera e personalità a tratti carente da Xavier Sabata. Ormai una sicurezza, George Petrou, alla guida del complesso Il pomo d’oro, si mostra capace non solo di un’inappuntabile correttezza stilistica ma di un’autentica teatralità, sempre attenta al carattere dei personaggi e alle atmosfere ambientali.