Gilbert Bécaud (1927 – 2001): “L’Opera d’Aran” (1962)

Opera in due atti su libretto di Pierre Delanoë e Jacques Emmanuel. Rosanna Carteri (Maureen), Alvino Misciano (Angelo), Peter Gottlieb (Mickey), Agnès Disney (Mara), Frank Schooten (Sean), Louis Maurin (Mac Jorry), Roger Soyer (Mac Creagh), Henri Medus (Le curé), Michel Llado (L’Homme à la harpe), Orchestre de la Société des Concerts du Conservatoire, Georges Prêtre (direttore).Registrazione: 1962. 2 CD Fremeaux & Associés FA5495
Gilbert Bécaud è stato fra i più colti e preparati protagonisti della canzone d’autore francese in uno dei momenti del suo massimo fulgore e questa cultura musicale, quest’ attenzione verso la musica colta e le sue suggestioni lo hanno portato nel 1962 a cimentarsi con l’opera lirica. Quest’ultimo termine è fondamentale: non un tentativo più o meno sperimentale di creare qualche cosa di ibrido fra i generi, ma una vera opera lirica assolutamente tradizionale per concezione e impianto e se a tratti la sua musica tradisce i ricordi del jazz, della canzone popolare, del musical lo fa con un approccio non molto dissimile da quello che avrebbe potuto avere, ad esempio, Ravel qualche decennio prima.
Proprio questa tradizionalità dell’”Opéra d’Aran” spiega da un lato il successo di pubblico con cui l’opera fu accolta e dall’altro l’ostilità di gran parte della critica ufficiale, in un momento dominato dal dogmatismo avanguardista. Fin dalla scelta del soggetto appare chiara la volontà di richiamarsi alla tradizione: un cupo dramma marinaresco fra Melville e il verismo che sarebbe forse piaciuto a Britten, ma non certo ai critici alla moda degli anni ’60. La musica poi è totalmente tonale e guarda alle esperienze della prima metà del Novecento: si riconoscono gli echi di Debussy e soprattutto quelli del Gruppo dei Sei, con la loro ricerca di fisicità materica all’interno, però, sempre di un linguaggio ormai pienamente storicizzato. Seppur in modo meno palese, è difficile non pensare ad una conoscenza di Puccini, confrontando l’architettura formale della scena del Pub del I atto dell’opera dell’”Opéra d’Aran” con il primo quadro de “La fanciulla del West”. L’orchestrazione di Bécaud è molto ricca, estremamente curata negli impasti timbrici e cromatici e sfrutta pienamente le possibilità sonore della grande orchestra utilizzata, la vocalità si imposta su un declamato melodico molto francese, capace di aprirsi in ambi squarci lirici. Un’opera nata forse in un periodo sbagliato per affermarsi pienamente, ma assolutamente piacevole all’ascolto e decisamente più vicina ai gusti del pubblico di tante sperimentazioni avanguardiste di quegli anni.
Poco dopo la prima rappresentazione si decise di provvedere a una registrazione con una compagnia di primissimo livello. Alla guida dell’Orchestre de la Société des Concerts du Conservatoire troviamo Georges Prêtre che dell’opera era stato primo interprete e destinatario e che della partitura fornisce una lettura tesa e drammatica, di grande convinzione e capace di evidenziare al meglio la qualità della scrittura de Bécaud in tutte le sue componenti, oltre che di mantenere costante l’attenzione su grande affresco complessivo, sulla coralità del piccolo villaggio di pescatori che è il vero protagonista dell’opera.
La compagnia di canto è di livello decisamente buono e risulta pienamente funzionale alla riuscita complessiva. È sempre un piacere riascoltare Rosanna Carteri (Maureen), forse una delle cantanti più sottovalutate della sua generazione: voce chiara, limpida, luminosa, accento teso e vibrante e se qualche passaggio può risultare forse un po’ verista non guasta nel clima generale dell’opera. Alvino Misciano ha sicuramente una bella voce e un settore acuto sicuro – fu apprezzato tenore rossiniano – ma in più punti la parte di Angelo sembra richiedere una vocalità più spinta e drammatica rispetto a quella qui presente. Peter Gottlieb presta a Mickey una bella voce di baritono chiaro, nella piena tradizione francese, e una linea di canto elegante e curata. Roger Soyer (Le père de Mickey) è più un basso-baritono che un autentico basso, ma ha una capacità non comune di cantare sulla parola e un’inattesa naturalezza nella sua aria di taglio prettamente jazzistico. Robusto e autorevole il Sean di Franck Schooten nel grande monologo del secondo atto; corretta, ma carente di personalità la Mara di Agnès Disney e pienamente efficaci le numerose parti di fianco.
Da qui l’ascolto dell’Opera completa