Gioachino Rossini 150: “Messa per Rossini” (1868)

Musiche di Antonio Buzzolla, Antonio Bazzini, Carlo Pedrotti, Antonio Cagnoni, Federico Ricci, Alessandro Nini, Raimondo Boucheron, Carlo Coccia, Gaetano Gaspari, Pietro Platania, Lauro Rossi, Teodulo Mabellini, Giuseppe Verdi. Maria José Siri (soprano), Veronica Simeoni (mezzo soprano), Giorgio Berrugi (tenore), Simone Piazzola (baritono), Riccardo Zanellato (basso). Orchestra e coro del Teatro alla Scala, Bruno Casoni (maestro del coro), Riccardo Chailly (direttore). Registrazione Chiesa di San Marco in Milano 8-15 novembre 2017. 2 CD Decca 4834084

La notizia della morte di Rossini scosse inevitabilmente il mondo musicale italiano. A farsi portavoce di un grande atto di omaggio fu Giuseppe Verdi che concepì l’idea di comporre in onore del maestro scomparso un Requiem a più mani in cui i maggiori compositori italiani avrebbero dato il proprio contributo celebrando ciascuno a suo modo il genio di Rossini. L’iniziativa partì con il vento in poppa e già da subito vennero fissati la data e il luogo dell’esecuzione, il 13 novembre 1869 – primo anniversario della morte – nella chiesa bolognese di San Petronio, essendo Bologna una delle città più legate alla biografia rossiniana. Come spesso però accade in Italia, lo slancio iniziale cominciò subito a perdere abbrivio. I primi problemi emersero con la scelta dei compositori. A parte Verdi tutti i grandi protagonisti della scena operistica italiana erano scomparsi oppure gravemente malati come Mercadante che infatti rifiutò l’offerta; inoltre si scelse di escludere tutta la nuova generazione che stava cercando di aprire nuove vie dopo anni in cui Verdi era stato quasi isolato nella propria grandezza. I giovani ribelli scapigliati, visti con sospetto da gran parte dell’accademia musicale, non sembravano adatti al progetto che infatti vide l’esclusione di Ponchielli e Boito per far spazio a compositori tutti mediamente anziani – il più giovane Antonio Cagnoni era nato nel 1828, il più anziano il novarese Carlo Coccia addirittura nel 1782 – e spesso di non primissimo piano. I problemi della scelta dei maestri erano però nulla rispetto a quelli organizzativi che subentrarono in seguito. Angelo Mariani, che avrebbe dovuto dirigere la composizione, fu coinvolto anche nelle concorrenti celebrazioni allestite a Pesaro prima di quella che si sarebbe dovuta tenere a Bologna; ciò mandò su tutte le furie Verdi che impose sul direttore un categorico veto. La situazione andò incancrenendosi con il tempo in quanto l’impresario del Comunale di Bologna Luigi Scalaberni si svincolò dal progetto ormai troppo rischioso per le casse del teatro; si avanzò l’idea di riproporre la composizione a Milano ma il rischio di un ritorno sul podio di Mariani trovò nuovamente la ferrea opposizione verdiana. Il risultato di tutto fu la totale cancellazione dell’esecuzione prevista – nonostante la partitura fosse stata completata – tanto che la prima esecuzione assoluta sarebbe avvenuta solo nel 1989 a Stoccarda. Verdi, scottato dall’esperienza, non abbandonò l’idea di una grande composizione sacra ma questa volta da realizzare da solo e con tutte le garanzie del caso. Il fallimento del 1869 servì come primo seme del suo “Requiem” del 1874.
Cosa resta all’ascolto di questa composizione? In primo luogo un senso di mancanza di unità, una successione rapsodica di brani – alcuni anche molto belli – concepiti isolatamente da ciascun compositore, nel proprio stile e con il proprio gusto e senza nessuna volontà di cercare un’unità di fondo. Forse l’unico tratto comune che emerge è l’impianto sostanzialmente teatrale dei vari brani; nonostante la volontà di scritturare compositori con qualche esperienza nel campo della musica sacra, la matrice operistica di tutti appare, infatti, più che evidente. Forse solo il vecchio Coccia – che ad 87 anni è ancora fra i più freschi e ispirati – mostra una pratica della musica sacra superiore alla media. Qualitativamente – e ancor più in prospettiva – è soprattutto il “Libera me, Domine” finale che Verdi tenne per sé a mostrare uno scarto qualitativo abissale rispetto a tutto il resto della composizione e che rappresenta un’occasione rara di vedere all’opera il processo di progressivo raffinamento delle idee verdiane da questa prova ancora sperimentale a quella definitiva del 1874 in cui tutte le idee già presenti ma ancora da rifinire nel 1869 troveranno la loro più perfetta attuazione.
L’esecuzione milanese del novembre 2017 ora proposta in CD dalla Decca offre della partitura una lettura esemplare. Merito principale di Riccardo Chailly che alla guida dei complessi scaligeri offre una lettura di grande cura e attenzione. Le sonorità sono sempre molto belle, così come particolarmente curato e il gioco dei colori e delle dinamiche. Chailly cerca di dare a livello di esecuzione un’impronta unitaria alla composizione pur senza sacrificare le specificità dei singoli brani. Ottima la prova dell’orchestra scaligera e strepitosa quella del coro. L’insolito quintetto vocale – con il baritono aggiunto al classico quartetto delle composizioni sacre – è affidato a interpreti di sicura affidabilità. Maria José Siri affronta con la ben nota sicurezza la parte del soprano uscendo vincitrice dall’impegnativa scrittura del finale verdiano e fondendo alla perfezione la sua voce con quella di Veronica Simeoni nel bel duetto di Cagnoni. Il mezzosoprano romano sfoggia musicalità ed eleganza e solo il timbro risulta fin troppo sopranile. Giorgio Berrugi sfoggia una splendida voce calda e luminosa della miglior scuola tenorile italiana insieme ad un sicuro squillo sia nei pezzi d’insieme sia nell’”Ingemisco” di Nini per tenore solista e coro. Riccardo Zanellato ha la pienezza vocale e l’autorità d’accento richieste dal “Confutatis” di Boucheron. Simone Piazzola canta con proprietà e interpreta con impeto il “Tuba mirum” di Pedrotti ma mostra qualche durezza nel settore acuto. Ripresa sonora ottima specie considerando trattarsi di una registrazione dal vivo.