Gotha, Ekhof Festival 2014:”Le Fate”

Gotha, Ekhof Festival 2014,  Ekhof-Theater (Schloss Friedenstein),
“LE FATE”
Dramma per musica di Stefano Benedetto Pallavicino
Musica di Giovanni Alberto Ristori
Alcina FEDERICA CARNEVALE
Ruggiero NICHOLAS SPANOS
Bradamante ARIANNA DONADELLI
Melissa CARLA NAHADI BABELEGOTO
Astolfo MATTEO DESOLE
Doro GIACOMO SCHIAVO
Danzatrici MONICA ZANOTTI, FRANCESCA CASELLI, JESSICA RAPELLI
Ensemble Alraune
Direzione musicale Mario Sollazzo e Stefano Zanobini
Regia e coreografia Anne Juds
Costumi Metta-Nest (Dresden)
Gotha,  16 agosto 2014

Gotha, Ekhof Festival 2014:"Le Fate"Questa è una storia di italiani all’estero. Il nome di Giovanni Alberto Ristori ai più non dirà assolutamente nulla. Si tratta di un compositore e tastierista nato nel 1692, forse a Bologna o comunque da una famiglia emiliana, che dopo qualche anno di attività in Veneto, nel 1715, a 23 anni, si trasferì a Dresda, dove sostanzialmente rimase fino alla morte nel 1753, nonostante abbia sempre dovuto operare all’ombra di Lotti prima e di Hasse poi e nonostante la compagnia italiana d’opera di Dresda sia stata sciolta per ben due volte nel corso della sua carriera. Molti suoi lavori sono andati perduti nei bombardamenti che nel 1945 rasero praticamente al suolo Dresda e solo da poco tempo la sua opera restante (oggi consultabile digitalizzata sul sito della biblioteca di Dresda) è oggetto di una riscoperta. All’orecchio moderno la sua musica suona certamente “vivaldiana”, dal momento che, mentre abbiamo una cognizione vaga di Hasse, Leo, Vinci e Pergolesi, tutto sappiamo di Vivaldi, dato che i popolarissimi concerti sulle quattro stagioni (e le pioneristiche edizioni di Malipiero) hanno guidato una Vivaldi Renaissance che lo ha reso di gran lunga il compositore “tardo-barocco” più noto dopo Handel e Bach. La smania di realizzare incisioni discografiche di qualsiasi cosa possa essere anche solo lontanamente considerato “di Vivaldi” ha investito anche Ristori. La prima opera conosciuta di Ristori è infatti un Orlando furioso, rappresentato nel 1713 al Teatro Sant’Angelo a Venezia, di cui Vivaldi aveva appena assunto la direzioneGotha, Ekhof Festival 2014:"Le Fate" insieme a suo padre, Giovanni Battista Vivaldi. L’opera ebbe tanto successo che l’anno seguente Vivaldi decise di proporre una sua opera su un soggetto simile (Orlando finto pazzo), la quale però – pare – fece fiasco, tanto Vivaldi si affrettò a rimettere in scena l’Orlando di Ristori, modificato però con l’omissione o la sostituzione di alcune arie con altre di Vivaldi stesso, tratte ad esempio dal suo Ottone in villa, sostituzioni motivate anche dal cast vocale differente, e forse anche con la rielaborazione delle stesse arie di Ristori, secondo il tipico modus operandi di Vivaldi. (Si consideri che non esisteva il copyright e che l’autore, dopo aver venduto la propria partitura ad un impresario, perdeva generalmente qualunque diritto su di essa.) L’unica partitura che ci è rimasta documenta appunto questo secondo allestimento del 1714, ma si può a stento definire una partitura, dal momento che, a parte l’assenza dell’intero terzo atto, per diverse arie non riporta nemmeno la linea del canto ma solo il basso strumentale. Nella compilazione del suo catalogo Peter Ryom affidò la paternità dell’opera a Ristori. Nella vivaldimania di cui sopra, l’attuale curatore del catalogo Gotha, Ekhof Festival 2014:"Le Fate"Ryom, il direttore Federico Maria Sardelli, ha abbandonato ogni precedente remora e, dal momento che in fondo vengono venduti come “Vivaldi” anche pasticci di arie di vari autori come il Bajazet nonché improbabili ricostruzioni come metà del Motezuma, ha deciso di considerare direttamente “di Vivaldi” questa partitura e di pubblicarla in cd come Orlando 1714, con un cast eccellente. Non si può che ammirare il lavoro artigianale di Sardelli che ha ravvisato gli autoimprestiti vivaldiani e che ha ricostruito in stile le parti perdute (rinunciando fortunatamente a comporre ex novo un terzo atto), ma purtroppo l’impressione complessiva è assai mediocre e ci si domanda che cosa aggiunga questa operazione alla fama di Vivaldi, alla fama di Ristori e a quella dell’opera barocca in generale, quando ci sono tante opere vere e intere ben più meritevoli che attendono di essere ascoltate anche se non può essere loro imposto un nome “di cassetta” come quello di Vivaldi.
Evitando quindi di trarre conclusioni dall’ibrido Orlando di Ristori-Vivaldi-Sardelli, l’ascoltatore moderno potrà farsi un’idea più precisa del vero Ristori e verificare che non si tratta affatto di una “seconda scelta” con l’ascolto (anche su YouTube) della lunga cantata per due soprani I lamenti di Orfeo (1744), incisa da Les Muffatti diretti da Peter van Heygen, e dalla bellissima breve Messa per il Santissimo Natale (1744), incisa dal Dresdner Instrumental-Concert diretto da Peter Kopp, ascolti che evidenziano come nella produzione di Ristori alla generica piacevolezza melodica (paragonabile alle coeve opere di Hasse) si accompagni una scrittura strumentale raffinata e, nella messa, un contrappunto fantasioso e tutt’altro che scontato.
Due musicisti italiani che hanno studiato insieme a Dresda, il clavicembalista Mario Sollazzo ed il violista StefanoGotha, Ekhof Festival 2014:"Le Fate" Zanobini, si sono innamorati delle opere di questo compositore e si sono riproposti di portarle alla conoscenza del pubblico, a partire dall’ariostesca Le fate, trascritta dal musicologo Philip Kreisig. Il progetto ha finalmente trovato una casa nella cittadina di Gotha in Turingia, dove, all’interno dello Schloss Friedenstein, si trova il Teatro Ekhof, un minuscolo teatrino di corte da 150 spettatori che ancora custodisce i macchinari barocchi per il cambio delle scene e che ogni estate organizza un festival di teatro e musica. 278 anni dopo la prima rappresentazione, avvenuta a Varsavia nel 1736 in occasione dell’incoronazione di Federico Augusto II di Sassonia a Re di Polonia, Le fate ha rivisto così la luce per 7 repliche, documentate in un video che si spera possa trovare un giorno una qualche forma di distribuzione.
Non ho alcuna esitazione nell’affermare che è un’opera di grande interesse. La scrittura musicale è raffinata e non conosce cedimenti (così frequenti invece nelle opere di Handel, ad esempio, dove non di rado arie indimenticabili vengono seguite da arie completamente insipide), ma è sopratutto la drammaturgia musicale a far risaltare quest’opera nel panorama delle innumerevoli opere coeve. Il libretto del poeta di corte Stefano Benedetto Pallavicino (il figlio del compositore Carlo Gotha, Ekhof Festival 2014:"Le Fate"Pallavicino) ha innanzi tutto il pregio di una versificazione di qualità, tratto non frequentissimo fra i poeti dell’epoca (eccetto Metastasio, naturalmente), tanto che i suoi libretti ebbero il raro onore di essere raccolti e pubblicati in quattro volumi dall’Algarotti. Pallavicino tratta la familiare materia della liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina rimanendo fedele ad Ariosto, ma vi aggiunge un personaggio comico, Doro, un nano servo di Alcina ed innamorato della sua padrona, il quale, non avendo una sua controparte comica, interagisce bizzarramente con i personaggi ben più nobili, Alcina, Ruggiero, Bradamante, Melissa e Astolfo, umanizzandoli. Doro, che naturalmente canta in stile da opera comica (cfr. Hasse e Pergolesi), offre anche al compositore la possibilità di inserire numeri di danza quando, nei suoi goffi tentativi di magia con la bacchetta di Alcina, evoca spiriti orrendi (che trasforma poi in belle donne) o quando viene addormentato dalla fata Melissa che, al suono della cornamusa, gli invia fauni e driadi che lo ubriacano di vino. Gli altri personaggi sono per lo più tutti d’un pezzo: le due contrastanti fate del titolo, la cattiva Alcina e la buona Melissa, interpretate da Rosa Negri e Anna Negri (forse sorelle, ma ciò non è sicuro), hanno sempre arie ritmiche e sarcastiche la prima e liriche ed incoraggianti la seconda. Ruggiero, scritto per il contralto castrato Domenico Annibali, è sempre piuttosto eroico e nobile ed Astolfo, scritto per il tenore Johannes Goetzel, è immancabilmente moralizzante. A differenza degli altri, invece, il personaggio dell’innamorata di Ruggiero, Bradamante, il ruolo più acuto dell’opera che – fatto per noi forse curioso ma del tutto frequente nel Settecento – fu scritto per il soprano castrato Giovanni Bindi, conosce una vera parabola drammatica. Nel primo atto è l’eroina “virile” per eccellenza, sicura ed esuberante nelle sue colorature, ma nel secondo, quando vede Ruggiero fra le braccia di Alcina, mostra tutta la sua fragilità femminile nell’aria più memorabile dell’opera, la struggente “Ch’io mi distempri in pianto” con l’oboe obbligato, un’aria di assoluta bellezza che dovrebbe figurare in ogni recital barocco sopranile. Nel terzo atto ritrova la sua baldanza e seduce Alcina con un’aria di danza molto coquette, lasciandole credere di essere uomo. Inutile sottolineare l’ambiguità che doveva generare un cantante castrato uomo che finge di essere una donna che finge di essere un uomo per sedurre una donna che gli aveva rubato l’uomo. I quattro protagonisti Alcina, Ruggiero, Bradamante e Melissa hanno tre arie a testa ciascuno, mentre Astolfo e Doro soltanto due. Una caratteristica che segnala l’impegno drammaturgico di Ristori sono i numerosi recitativi accompagnati, che talvolta non fungono – come di consueto – da preparazione ad alcuna aria, ma restano numeri a sé stanti. Assenti purtroppo i numeri di insieme, salvo il solito coro finale di tutti i solisti che tirano la morale della storia, delizioso ma prevedibilmente breve.
Mario Sollazzo e Stefano Zanobini hanno deciso di rappresentare l’opera integralmente, senza alcun taglio, con una durata diGotha, Ekhof Festival 2014:"Le Fate" più di tre ore, ma il pubblico non ha avvertito alcun momento di noia (o almeno non lo ha dato a vedere, dato il calore per nulla “germanico” degli applausi) grazie alla verve strumentale dell’Ensemble Alraune che non ha mai lasciato privo di carattere nemmeno il più semplice accompagnamento e ad un giovane cast italiano (o perfettamente italofono) che non esitiamo a considerare ideale. Bisogna anche notare che, quando sono cantati da persone che li comprendono e che li sanno far comprendere, quando sono accompagnati con sensibilità e quando l’acustica è così intima da lasciar cogliere le sfumature, i recitativi non sono affatto un tedio, ma, anzi, come dovrebbero essere, una forma potenziata di recitazione. Il mezzosoprano Federica Carnevale ha offerto la sua voce calda e simpatica al personaggio (in sé un po’ isterico e poco amabile) di Alcina, con un colore uniforme dai gravi agli acuti, ed il controtenore greco Nicholas Spanos (Ruggiero) si è fatto ammirare per il timbro gradevole e per la superiore eleganza dello stile, grazie al quale è riuscito a catturare l’attenzione del pubblico senza alcuna forzatura. Nel ruolo proteiforme di Bradamante, il soprano leggero Arianna Donadelli ha potuto dare prova non solo di una grande padronanza tecnica e stilistica, ma anche di notevoli doti di attrice. Duttile e morbidissima la voce del mezzosoprano Carla Nahadi Babelegoto, la fata buona Melissa, e molto gradevole il tenore Matteo Desole nel ruolo, come di consueto assai centrale, di Astolfo. Completava il cast il baritono Giacomo Schiavo, divertente nei panni dell’istrionico servo Doro. La corretta prassi barocca è stata sempre osservata sia nello strumentale che nelle voci, che hanno esibito fantasiose ed eleganti variazioni nei da capo, corredate di cadenze a volte davvero originali.
Oltre alla qualità e all’affiatamento dei musicisti, ha contribuito non poco all’incanto di questa riscoperta la messinscena della regista-coreografa Anne Juds. Come si diceva, il teatro Ekhof (così chiamato in onore del grande attore settecentesco Konrad Ekhof, ammirato da Goethe, che qui aveva fondato il primo teatro stabile tedesco nel 1775) conserva ancora i macchinari scenici originali ed impone alle compagnie che ospita una serie di regole precise, come l’uso di un’illuminazione elettrica ma simile a quella del Settecento, con lampadine collocate cioè in ribalta o dietro le quinte. La consuetudine più caratteristica e divertente è però senz’altro il campanello che precede ogni cambio (istantaneo) delle scene dipinte, che genera nello spettatore un allegro riflesso pavloviano. Pur nel rispetto del luogo, non si è trattato affatto di un allestimento museale. I fondali (moderni ma realizzati con le tecniche antiche) sono stati attinti dal repertorio del teatro, ma i costumi sono stati realizzati dal geniale atelier Metta-Nest (Evelyna Schubert e Heike Neubauer Antoci), che ha ricreato un rococò visionario tutto suo mescolando elementi settecenteschi con colori, materiali o accessori di altre epoche, rispecchiando così l’approccio registico di Anne Juds, che si è avvalsa di una recitazione stilizzata molto fisica che riesce ad evocare un’idea del barocco senza però citarlo mai. Alle tre danzatrici Monica Zanotti, Francesca Caselli e Jessica Rapelli (di volta in volta driadi, spettri, donne dal seno felliniano, insetti, uccelli o specchi che moltiplicano l’immagine di Alcina) è stato affidato il lato fantastico dell’opera. Innumerevoli sarebbero i tratti poetici da citare, uno su tutti l’incredibile lumaca che con i suoi malinconici movimenti risponde alle lacrime di Bradamante.
Va detto anche il teatro ha registrato il tutto esaurito in ogni replica da diverse settimane prima. Io stesso ho avuto una certa difficoltà a farmi ammettere. È vero che la capienza è di meno di 150 posti ma è anche vero che la città di Gotha conta soli 44.000 abitanti e che i turisti non la prendono propriamente d’assalto, per usare un eufemismo. E neanche si può dire che il Festival Ekhof abbia speso molto in pubblicità, come si può verificare dal miserrimo sito internet. La verità è che mentre in Italia ci vorrebbe del bello e del buono per convincere gli spettatori a vedere un’opera barocca sconosciuta, in Germania è una cosa normale: il pubblico tedesco apprezza la novità, prenota e paga, viene in un posto relativamente sperduto per ascoltarlo, si ascolta in religioso silenzio ore di recitativi in una lingua che non conosce e alla fine applaude entusiasta.
Le rappresentazioni del Festival si svolgono sempre in correlazione con le mostre del museo cittadino, che nel 2014 ha allestito una mostra sugli oggetti provenienti dalla Cina presenti nelle collezioni dello Schloss Friedenstein. Per questa ragione, oltre a numerosi cineserie nella messinscena de Le fate (tra cui un ippogrifo-dragone), l’Ensemble Alraune ha anche ideato il programma “Un violinista in Cina” intorno alla musica del violinista Teodorico Pedrini (Fermo, 1671 – Pechino, 1746), insegnante di musica occidentale alla corte imperiale cinese, e il programma “Angelica, principessa del Catai”, dal tema ariostesco come Le fate, andato in scena il 17 agosto con la voce protagonista di Arianna Donadelli. Per l’occasione, a fianco di arie e musiche strumentali dall’Orlando di Handel, il musicologo Philip Kreisig ha riscoperto alcuni brani, eseguiti in prima assoluta: la bella ouverture dell’Angelica e Medoro (1749) di Carl Heinrich Graun, l’amenissima aria con l’oboe obbligato “Io dico all’antro addio” dall’Angelica (1758) dell’illustre sconosciuto Giuseppe Zonca, sacerdote, cantante (basso) e compositore alla corte di Monaco di Baviera, il drammatico recitativo accompagnato ed aria “Dì, mio fato” dall’Angelica ed Orlando (1735) di Gaetano Latilla. Anche altri due lavori di Ristori: il concerto per oboe in Mi bemolle, opera di non altissimo interesse ma eseguita con molto stile da Nicola Barbagli, e la poco sapida aria “Spietato, oh Dio” da quell’Orlando mezzo-vivaldiano di cui sopra, che ha chiuso il recital con un piccolo anticlimax, rimediato però da un bis della spumeggiante prima aria di Bradamante de Le fate.  Questa è una storia di italiani all’estero, si diceva, ma il mio augurio è che, grazie al dvd che è stato prodotto, questa incantevole produzione venga ripresa anche da qualche teatro o festival nostrano (Barga?, Martina Franca?, Cremona?) e che dopo quasi trecento anni Ristori riesca a farsi ascoltare anche al di sotto delle Alpi. P.V.Montanari