Hector Berlioz 150 (1803 – 1869): “L’enfance du Christ” (1854)

Hector Berlioz (La Côte-Saint-André, 11 dicembre 1803 – Parigi, 8 marzo 1869)
A 150 anni dalla morte
L’enfance du Christ (L’infanzia di Cristo), trilogia op. 25
Parte prima. Il sogno d’Erode. Moderato un poco lento
Scena prima (Una strada a Gerusalemme): Marcia notturna (Moderato); Recitativo
Scena seconda (Interno del palazzo d’Erode): Aria d’Erode (Allegro non troppo, Andante misterioso)
Scena terza: Allegro
Scena quarta: Andantino maestoso, Allegretto, Allegro agitato
Scena quinta (La stalla di Betlemme): duo (Andante)
Scena sesta: Lento, Allegretto
Parte seconda. La fuga in Egitto (Moderato un poco lento)
L’addio dei pastori alla Sacra Famiglia (Allegretto)
Il riposo della Sacra Famiglia (Allegretto grazioso)
Parte terza. L’arrivo a Sais. Allegro ma non troppo
Scena (L’interno della città di Sais): Duo (Moderato)
Scena seconda (La casa del padre di famiglia): Un po’; Trio per due flauti e arpa (Allegro moderato); Andantino; Lento, Andantino mistico.
Durata: 95ca
Com’era accaduto per Roméo et Juliette, definita da Berlioz una sinfonia, lo stesso si può dire per L’enfance du Christ chiamata dal suo autore una trilogia sacra che, pur somigliante ad un oratorio, ha una sua forma originale, presentandosi come una mescolanza di generi diversi. Particolare fu la gestazione di quest’opera costruita attorno ad un lavoro di piccole dimensioni nato per caso. Un giorno, dopo aver pranzato a casa dell’amico Pierre Duc, nell’attesa che si distribuissero le carte per una partita di whist, Berlioz su un album di autografi scrisse un piccolo coro su alcuni versi molto modesti, ma con una melodia di un certo fascino pur nella sua semplicità. Nel frattempo aveva fondato una società di concerti durante i quali erano eseguite opere sue e, volendo fare eseguire un’opera nuova e non avendo niente di pronto, decise di riprendere quel piccolo coro scritto sull’album dell’amico aggiungendovi un preludio e un’aria del tenore dello stesso stile quasi ingenuo dello schizzo firmandolo Pierre Ducré. Quando la cantata fu eseguita con il titolo La Fuite en Egypte, si pensò che l’autore fosse un musicista del XVII secolo la cui musica era stata ritrovata durante i lavori di restauro della Sainte Chappelle. Nacque così la prima parte della trilogia pubblicata nel 1852 e mandata a Liszt con il titolo La fuite en Egypte op. 25 Fragments d’un Mystère en style ancienne pour Ténor solo, choeur et un petit orchestre attribué à Pierre Ducré maître de Chappelle imaginaire et composé par Hector Berlioz. Lo stesso Berlioz, quindi, chiarì il mistero del nome e la cantata, eseguita a Lipsia il 10 dicembre 1853 sotto la direzione dello stesso autore, riscosse un discreto successo. Il favore del pubblico nei confronti diu questa cantata spinse Berlioz ad ampliare il lavoro, componendo L’arrivée à Saïs con l’aggiunta di arpa, fagotti e timpani alla piccola orchestra e, infine, Le songe d’Hérode che pose all’inizio con un ulteriore ampliamento dell’orchestra. Il 10 dicembre 1854 nella sala Herz di Parigi fu rappresentata, con grande successo, la trilogia definitiva con il titolo  L’enfance du Christ il cui testo letterario fu scritto dallo stesso Berlioz il quale rielaborò le sacre scritture in modo immaginario.
Dedicata alle nipoti Joséphine e Nanci Suat, la prima parte, Le songe d’Hérode (Il sogno di Erode) si compone di 6 scene introdotte dal recitativo del Narratore che in modo solenne espone l’argomento. Nella prima scena della prima parte di cui sono protagonisti, oltre al Narratore che funge da Historicus dell’Oratorio tradizionale, Maria, Giuseppe, Erode, Polidoro e il Centurione, la musica prelude all’angoscioso sogno di Erode con una marcia notturna che si svolge in una deserta strada di Gerusalemme, per la quale passa anche una ronda notturna di soldati romani, comandata da Polidoro. Teatro della seconda scena, cupa ed enigmatica, è il palazzo di Erode dove il tiranno intona un’aria di gusto arcaizzante soprattutto nella struttura armonica. La stessa atmosfera cupa contraddistingue anche la scena successiva e in particolar modo l’enigmatico recitativo di Erode e Polidoro, caratterizzato da un’armonia indeterminata. Non meno ombroso è il Choeur de devins che dialoga con Erode e alla fine pronuncia la profezia della prossima nascita del Bambino che rende inquieto il tiranno. La sua agitazione è espressa perfettamente nell’Allegro agitato, mentre alla decisione di Erode di ordinare la strage degli innocenti, il coro interviene divedendosi in quattro parti e dando vita ad una scena drammatica alla cui potenza contribuisce il timbro scuro dei tromboni. Nella quinta scena la scena si sposta nell’Étable de Béthléem (Stalla di Betlemme) dove troviamo Maria, il cui ritratto è disegnato da una semplice e dolcissima melodia affidata ai legni. Questo clima delicato e sognante non è interrotto nemmeno dall’intervento di Giuseppe che instaura un dialogo con la sua sposa. Protagonista della sesta e ultima scena di questa prima parte è, infine, un coro degli angeli accompagnato dall’organo, da un mélodium, strumento inventato da Alexandre e presentato all’Esposizione Universale di Parigi nel 1855, da una fisarmonica e dai violini con sordino.
Dedicata a John Ella, direttore dell’Unione Musicale di Londra, la seconda parte, La Fuite en Egypte (La fuga in Egitto) fu la prima ad essere composta e presenta un’orchestrazione molto più sobria. Si apre con un’ouverture di gusto arcaizzante costruita su un semplice fugato e dall’atmosfera natalizia nei disegni per Terze parallele dei legni e del corno inglese. Protagonista del brano successivo, Adieu des bergers à la Sainte Famille (Addio dei pastori alla Sacra Famiglia) è il coro che, nella sua scrittura semplice e dolce, ricorda l’influenza di melodie popolari ascoltate nell’infanzia da Berlioz, mentre più articolato è l’ultimo brano di questa seconda parte, Le repos de la Sainte Famille (Il riposo della Sacra Famiglia). Qui interviene il Narratore dopo 65 battute dell’orchestra la cui parte è caratterizzata da una melodia dolce. Il brano si conclude con un dolcissimo coro degli angeli che intonano un breve Alleluja.
Dedicata all’Accademia di canto e alla Società dei cantori di Lipsia, la terza parte, L’arrivée a Saïs (L’arrivo a Sais) si apre con un’introduzione affidata al Narratore il quale racconta gli avvenimenti intonando una melodia di carattere modale che diventa sempre più agitata prima di placarsi al recitativo che conduce alla prima vera scena, L’interieur de la ville de Saïs (All’interno della città di Sais). Maria e Giuseppe sono impegnati nella ricerca di un rifugio all’interno della città e danno vita ad un duetto nel quale emergono degli ansiosi disegni di semicrome e gli interventi dei timpani che rappresentano efficacemente il bussare di Giuseppe alle porte delle case alla ricerca di ospitalità. È tutto inutile e  un coro di sei bassi respinge Giuseppe in modo secco con una scrittura che ricorda il coro delle Furie che si scagliano contro Orfeo nella celebre opera di Gluck. Finalmente un padre di famiglia apre la porta della sua casa e nella scena seconda, L’intérieur de la maison des Ismaélites,  dà le disposizioni per accogliere gli ospiti. L’atmosfera si rasserena e la narrazione si concede una pausa con la musica che, invece, assume la parte principale nel famoso Trio per due flauti e arpa dalla struttura tripartita nel quale non mancano gli episodi virtuosistici per i due strumenti a fiato. La musica può ricostruire l’unità della famiglia con le voci che sembrano fondersi in una perfetta comunione grazie a melodie semplici, ma penetranti. L’oratorio si conclude con un coro che può essere considerato un vero e proprio omaggio al Bambin Gesù.