Il “Requiem” di Verdi apre la stagione del Teatro Regio di Torino

Solisti del quartetto vocale: E. Grimaldi, G. Kunde, D. Barcellona, M. Pertusi

Torino,  Teatro Regio, Stagione d’opera e balletto 2014-2015
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Gianandrea Noseda
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Soprano Erika Grimaldi
Mezzosoprano Daniela Barcellona
Tenore Gregory Kunde
Basso Michele Pertusi
Giuseppe Verdi: Messa da Requiem, per soli, coro e orchestra
Torino, 2 ottobre 2014

– Dies irae, dies illa (‘Giorno terribile, quel giorno’ … o forse questo giorno?). A leggere le trionfalistiche recensioni della Messa da Requiem di Verdi con cui il Teatro Regio sta inaugurando la stagione 2014-2015 sembrerebbe che a Torino tutto andasse molto bene: ottima la scelta, ottimi gli interpreti, ottima l’esecuzione, più che ottimo il direttore (cui si deve, tra l’altro, la bizzarria di aprire una stagione d’opera con una Missa, e per di più defunctorum …). Nel corso dell’estate il Regio di Torino ha fatto molto parlare di sé e della sua dirigenza (assai meno delle sue produzioni e dei suoi programmi); l’opposizione tra il dimissionario Direttore Musicale Gianandrea Noseda e il Sovrintendente Walter Vergnano (in fine di mandato) ha dato motivi sufficienti a riempire pagine e pagine di cronachette locali e nazionali, di supposizioni e illazioni, soprattutto di pettegolezzi e chiacchiere.
Quid sum miser tunc dicturus? (‘Povero me, che potrò dire?’, sempre dal Dies irae …) Per non aggiungere contributi a tale illustre letteratura, quanto piuttosto per rilevarne l’ipocrita vanità, sarà sufficiente una prima considerazione: in parole sintetiche e assai schiette non si può che deplorare il fatto che la vita di un teatro (a partire dalla sua immagine) sia resa ostaggio delle velleità personalistiche di un direttore d’orchestra che minaccia continuamente di andarsene, ma che resta anche troppo pervasivo. A parte le cinque esecuzioni della Messa, dell’Otello nella seconda metà di ottobre, del Faust nel giugno 2015, ben sei concerti sinfonici (su un totale di undici della stagione della Filarmonica del Teatro Regio) saranno diretti da Noseda (quattro soltanto in ottobre, nel lasso di dieci giorni. Torna in mente una battuta di Andreotti, quant’altre mai appropriata: «Sembra un personaggio verdiano: addio, addio, ed è sempre lì»).
Il quartetto vocale previsto in origine per la Messa verdiana avrebbe dovuto essere formato da Hui He, Jorge de León, Daniela Barcellona, Michele Pertusi; nei giorni scorsi soprano e tenore hanno fatto sapere che non avrebbero preso parte alle esecuzioni del Requiem, e sono stati sostituiti da Erika Grimaldi e Gregory Kunde. Si possono lasciare all’immaginazione tutti gli ulteriori pettegolezzi sui motivi delle sostituzioni, per passare direttamente alla prova degli artisti impegnati. Erika Grimaldi è l’unica presenza autenticamente giovane del quartetto, ma niente affatto inesperta; è anzi un soprano artisticamente molto cresciuto negli ultimi anni, grazie alla fiducia che proprio il Teatro Regio le ha accordato in importanti produzioni: la voce ha bel timbro, è vibrante di armonici, si dipana in un’emissione corretta, anche se non esente da qualche risonanza un po’ intubata. A parte qualche acuto un po’ arrischiato (nel «Salva me, fons pietatis» del Rex tremendae majestatis, ma non per colpa sua) giunge indenne all’impervio finale, disimpegnandosi bene con le messe di voce richieste. Un difetto un po’ persistente è nella dizione, perché il latino della Grimaldi resta difficilmente comprensibile. Daniela Barcellona si fa apprezzare per alcuni colori bellissimi (soprattutto nel Lacrymosa dies illa), anche se note basse e oscillazioni nel registro acuto inficiano un poco la prestazione complessiva. Gregory Kunde (che si appresta a cantare Otello di Verdi al Regio, dal prossimo 14 ottobre) è l’artista vocale vincente del quartetto: che un tenore di lunga carriera rossiniana giunga ad affrontare Verdi in modo così plausibile all’età di 60 anni esatti ha qualcosa di portentoso; il suo Ingemisco, tamquam reus, con acuti squillanti ed emissione in pianissimo, è memorabile. Michele Pertusi ha voce sempre più chiara e leggera; ma sulla correttezza e sulla signorilità del suo canto non c’è nulla da dire.
Il Coro del Teatro Regio è ottimamente preparato da Claudio Fenoglio: la sua prestazione è perfetta, dall’intonazione all’espressività, dalla compattezza dei volumi vocali alla corretta dizione del latino. Sin dall’iniziale sequenza del Requiem aeternam dona eis gli archi dell’orchestra fanno apprezzare una straordinaria pulizia, al pari delle altre sezioni principali; ma che l’orchestra sia tutta in gran forma – anche per merito del Direttore Musicale, cui è affezionatissima e fedelissima – resta una realtà innegabile.
– Tremens factus sum ego et timeo (‘Tremo di spavento e ho paura’). Per quanto riguarda la concertazione vera e propria, e dunque le scelte direttoriali, questo Requiem di Verdi è caratterizzato da inspiegabile frenesia: Noseda, a partire dal Kyrie eleison, cambia bruscamente il tempo, continuando ad accelerare in modo forsennato anche nella maggior parte dei numeri successivi: a volte i singoli interventi del quartetto vocale sono quasi indistinguibili. E poi, i volumi sonori; il fragore dell’orchestra è pari al dimenarsi furioso del direttore, che sul podio salta e si sbraccia senza posa (nella prima enunciazione del tema del Dies irae il coro quasi non si sente, subissato com’è dalla compagine orchestrale). Quando la follia cinetica si smorza, può anche capitare di ascoltare qualcosa di buono: il Recordare, Jesu pie, con il duetto tra Grimaldi e Barcellona, è molto bello, e così anche l’Offertorium e la Communio. Ma il Requiem di Verdi non può funzionare per intervalla insaniae del direttore, evidentemente. Quando deve governare orchestra e coro, Noseda si sente dominatore incontrastato, ed esercita la sua autocrazia con una radicalizzazione del tempo esecutivo. Al termine di tutto, non si capisce poi se la frenesia con cui la partitura è forzata obbedisca a un’esigenza drammatica (o addirittura melodrammatica); se Noseda intendeva trasformare la Messa in una pièce musicale senza regista (e per questo ha voluto che inaugurasse la stagione d’opera) non c’è riuscito per nulla. Il suo Requiem è un tipico prodotto dell’età dello streaming: scintillante, rapido, il più possibile conciso, reboante, tutto pienissimo di suono (perché il silenzio – anche quello delle pause minime – incute sempre paura alla società di oggi). La tragedia della morte, ovviamente, scompare del tutto dalla scalmanata musicale in cui la Messa è trasformata; la dimensione della meditazione semplicemente non esiste. Ed è un vero peccato che un direttore come Noseda, capacissimo di stupire nell’analisi della partitura, sia a tal punto schiavo di quella fretta «che l’onestade ad ogn’atto dismaga»; poiché davvero tale fretta esecutiva tutto inficia, senza accentuare il dramma, anzi banalizzandolo.
Al termine del «Libera me, Domine» finale segue un lungo e suggestivo silenzio, prima che prorompa un applauso sempre più scrosciante, a ringraziamento di tutti gli artisti; l’affetto è particolare nei confronti del coro e del direttore d’orchestra. Che cosa direbbe il dedicatario della Messa verdiana, Alessandro Manzoni, a commento di un’esecuzione discutibile, eppure così tanto e unanimemente apprezzata dal pubblico torinese? Probabilmente chioserebbe la serata (e, chi lo sa, forse l’intero affaire nosediano del Teatro Regio) ricorrendo anch’egli al latino d’un suo personaggio: «Vox populi, vox Dei» (‘La voce del popolo è la voce di dio’); al che, ovviamente, il modesto recensore non avrebbe più nulla da replicare, se non che si trattava di un’ottima battuta di don Abbondio.