In memoriam: Gennadi Rozhdestvensky (1931 – 2018), le sinfonie n. 4, 5, 6 di Čajkovskij

Il 16 giugno, all’età di 87 anni, è venuto a mancare Gennadi Rozhdestvensky, uno dei più grandi direttori della scuola russa. Nato a Mosca nel 1931 dal direttore e pedagogo Nikolai Anosov e dal soprano Natalya Petrovna Rozhdestvenskaya, dopo essersi diplomato in pianoforte e direzione d’orchestra, esordì a 20 anni al Teatro Bol’šoj, del quale fu direttore stabile nel decennio compreso tra il 1965 e il 1975. Fu un grande interprete della tradizione russa e in particolar modo di Čajkovskij, Prokof‘ev e Šostakovič. Per ricordarlo proponiamo le sue esecuzioni delle sinfonie di Čajkovskij, corredate da guide all’ascolto.
Pëtr Il’ič Čajkovskij (Voltkinsk, Urali, 1840 – Pietroburgo 1893)
Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36
Andante sostenuto, Moderato con anima (in movimento di Valse)
Andantino in modo di canzona
Scherzo: pizzicato ostinato (Allegro, Trio)
Finale (Allegro con fuoco)
Durata: 42’ ca

“Adesso, per esempio, in primo luogo, sono immerso in una sinfonia che ho cominciato già da questo inverno e che tengo molto a dedicarVi, perché mi pare che Vi troverete l’eco dei Vostri pensieri e sentimenti più intimi. Se non Vi fa piacere che il Vostro nome appaia sul frontespizio della sinfonia, allora, se lo desiderate, possiamo farne a meno. Soltanto noi sapremo a chi è dedicata. Possa questa musica, intimamente legata al mio pensiero di Voi, dirVi che Vi amo con tutta la forza della mia anima, mio amico sincero e incomparabile”.
In questa lettera, indirizzata a Nadežda von Meck alla quale si era rivolto utilizzando il maschile per mascherare l’identità della sua benefattrice, Čajkovskij fa riferimento alla Quarta sinfonia, suo capolavoro, composta in un periodo molto difficile della sua vita. Il compositore, infatti, vincendo la sua innata avversione per il matrimonio, aveva sposato Antonina Miljakova, una sua allieva di lui perdutamente innamorata, che gli aveva dichiarato il suo amore in una lettera, il cui contenuto era apparso a Čajkovskij come la realizzazione della vicenda amorosa di Tatiana, l’eroina di Evgenij Onegin di Puškin, romanzo in versi che il compositore stava leggendo alla ricerca di un soggetto per una sua opera. Egli, confondendo la realtà con la finzione, si era deciso a sposare la giovane, ma il matrimonio, durato meno di tre mesi, si rivelò presto un fallimento per l’incapacità di Čajkovskij di adattarsi alla vita coniugale. La separazione, comunque dolorosa, fu per lui la causa di una profonda depressione tanto che il fratello Anatolij decise per aiutarlo di condurlo prima in Svizzera, poi a Parigi e infine in Italia. Durante il suo viaggio nell’Europa occidentale egli si fece mandare da Mosca il manoscritto della Quarta sinfonia, abbozzata prima del matrimonio, e vi lavorò così intensamente da completare la partitura già entro il mese di gennaio 1878. Čajkovskij, soddisfatto del risultato, scrisse alla sua protettrice:
“Forse mi sbaglio, ma mi pare che questa sinfonia sia una cosa poco comune e che sia migliore di tutto quello che ho fatto finora. Sono contento che sia nostra e che, ascoltandola, sappiate che ho pensato a Voi, battuta dopo battuta. Se non fosse stato per Voi l’avrei mai portata a termine? A Mosca, quando pensavo che tutto fosse finito, avevo segnato il seguente appunto sul manoscritto di cui mi ero dimenticato e che soltanto adesso, riprendendo il mio lavoro ho trovato. Avevo annotato sul titolo: in caso di mia morte, incarico di consegnare questo quaderno alla signora Von Meck. Volevo che conservaste il manoscritto della mia ultima composizione. Adesso, non soltanto sono vivo, sano e salvo, ma, grazie a Voi, posso dedicarmi interamente al lavoro, avendo coscienza che dalla mia penna sta uscendo una cosa che, mi pare, meriti di non essere dimenticata. Può essere che invece mi sbagli; l’esaltazione per la propria ultima composizione mi pare sia comune a tutti gli artisti. Scrivo la sinfonia in piena coscienza che questa composizione è fuori dall’ordine ed è formalmente più perfetta di tutte le mie precedenti”.
Nonostante l’orchestrazione di questa sinfonia lo avesse assorbito totalmente, egli non sentì molto la fatica in quanto cosciente del valore di questa sua ultima creatura per la quale sperava un destino eterno, come si legge nella lettera indirizzata sempre alla von Meck:
“La nostra sinfonia viaggia a tutto vapore per Mosca da Rubinštein. Sul titolo ho posto la dedica: al mio migliore amico. Che cosa attende questa sinfonia? Resterà in vita ancora a lungo, dopo che il suo autore sarà scomparso dalla faccia della terra, o cadrà subito in un abisso di oblio?”
Le sue speranze non furono deluse, in quanto la sinfonia, diretta da Rubinštein, fu un trionfo alla prima esecuzione avvenuta a Mosca il 10 febbraio 1878.
La Quarta Sinfonia costituisce la prima opera della cosiddetta Trilogia del destino, formata anche dalla Quinta e dalla Sesta, e si impone immediatamente per la forza drammatica dei suoi temi; protagonista della Sinfonia è, infatti, il Fato, definito da Čajkovskij:
“forza nefasta che impedisce al nostro slancio verso la felicità di raggiungere il suo scopo che veglia gelosamente affinché il benessere e la tranquillità non siano totali e privi di impedimenti che, come una spada di Damocle, pende sulla testa e avvelena l’anima in modo infallibile e perenne. È invincibile, non lo domini mai. Non resta che rassegnarsi e soffrire inutilmente”.
Il primo movimento si apre con un’introduzione, Andante sostenuto, che, oltre a costituire il germe di tutta la sinfonia, come ebbe modo di chiarire lo stesso Čajkovskij, presenta il Fato attraverso un tema esposto da fagotti e da corni che ribattono un la bemolle in modo tale da rappresentare il destino nell’atto in cui fa la sua comparsa inesorabile nella vita del compositore. Il dramma sembra assumere i contorni della disperazione quando tutta l’orchestra interviene fermandosi su un perentorio quanto inquieto e interrogativo accordo di settima diminuita. Esposto dagli archi, il primo tema del successivo Moderato con anima, assume la forma di un valzer di straordinaria drammaticità e metafora della vita intesa come un’alternanza di gioie tanto illusorie quanto effimere; proprio come un’illusione appare il secondo tema di carattere leggero che si contrappone al primo, ma è poco sviluppato da Čajkovskij il quale preferisce, proprio nella sezione dello sviluppo aperta dal tema del destino, soffermarsi sulla prima idea tematica. Molto suggestiva è la coda, Molto più mosso, nella quale è impressa una forte accelerazione drammatica grazie ai violoncelli e ai contrabbassi ai quali è affidato il compito di eseguire un basso discendente capace di sostenere un’armonia di grande tensione che gioca sull’accordo di settima diminuita di fa minore e di si bemolle minore e prepara il ritorno del tema del destino. Introdotta da quest’ultimo, una nuova violenta accelerazione, metafora del precipitare dell’uomo verso il dramma, conclude il primo  movimento.
Il secondo movimento, Andantino in modo di canzona, è dominato da un tema triste e malinconico esposto inizialmente dall’oboe e ripetuto, in seguito, con una diversa strumentazione. Anche a proposito di questo movimento Čajkovskij chiarì le fonti d’ispirazione nella già citata lettera alla von Meck:
“Il secondo esprime un’altra fase della sofferenza: il sentimento di malinconia che si presenta la sera, quando siedi solo, stanco del lavoro, e prendi un libro, ma ti cade dalle mani. I ricordi si affastellano. È triste che tante cose siano state e siano passate; è piacevole ricordare la giovinezza. Ti duole che il tempo sia trascorso e non desideri ricominciare una nuova vita. La vita ti ha stancato”.
Il terzo movimento, Scherzo, giocato tutto su un vivacissimo pizzicato d’archi, secondo quanto scrisse sempre Čajkovskij,
“non esprime sentimenti definiti. Sono arabeschi capricciosi, visioni sfuggenti che attraversano l’immaginazione, come quando hai bevuto un po’ di vino e senti l’effetto della prima fase dell’ubriachezza. Lo spirito non è allegro, ma neanche triste. Non pensi a niente: dai spazio all’immaginazione, che si mette a disegnare strani ghirigori… Tra questi, improvvisamente, ti ricordi un’immagine di contadini che gozzovigliano e una canzonetta di strada… Poi, in lontananza, una parata militare che passa”.
La canzonetta di strada e la parata militare che passa costituiscono la base del Trio che si distingue per l’orchestrazione quasi interamente affidata ai legni.
Il quarto movimento, Allegro con fuoco, dal punto di vista formale, si basa sul principio del tema e variazioni, in quanto un tema popolare è seguito da due variazioni la seconda delle quali è bruscamente interrotta dalla ripresa del tema del destino, contro il quale il compositore cerca di reagire affermando in modo prepotente che è possibile vivere, nonostante tutte le avversità, cercando e scoprendo la gioia nelle altre persone. Lo stesso Čajkovskij affermò:
“Il quarto movimento. Se non trovi in te stesso motivi di gioia, guarda le altre persone. Cammina tra la gente. Guarda come questa riesce a rallegrarsi, abbandonandosi completamente alle sensazioni di gioia. Quadro di una celebrazione popolare in un giorno di festa. Non appena sei arrivato a dimenticarti di te stesso e ti sei entusiasmato per lo spettacolo altrui, ecco che il destino instancabile torna di nuovo a ricordarti che esiste. Ma gli altri non hanno niente a che fare con te […]. Oh come sono allegri! Come sono fortunati a possedere soltanto sentimenti semplici e diretti! […] Rallegrati dell’allegria altrui. Malgrado tutto, si può vivere.”
Čajkovskij, per il momento, decise di continuare a vivere e a comporre.
Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64
Andante, Allegro con animandante cantabile con alcuna licenza, Moderato con anima, Tempo I, Andante mosso, Allegro non troppo, Tempo I
Valse (Allegro moderato)
Finale (Andante maestoso, Allegro vivace, Molto vivace, Moderato assai e molto maestoso)
Durata: 50′ ca

Composta tra il 30 maggio e il 26 agosto 1888 a distanza di undici anni dalla Quarta, la Quinta sinfonia di Čajkovskij costituisce il secondo atto della cosiddetta trilogia del destino e si pone in relazione con la precedente che ne rappresenta il primo e con la Sesta, la celebre Patetica, che corrisponde a quello conclusivo, il terzo. Tema conduttore delle tre sinfonie è il destino che incombe spesso sulle vicende umane con esperienze drammatiche di cui fu protagonista, suo malgrado, lo stesso compositore quando si trovò a dover affrontare la grave crisi matrimoniale conclusasi con la separazione dalla giovane e innamoratissima moglie Antonina Ivanovna Miljakova, o quando fu sconvolto dal dolore per la morte, nel 1881, dell’amico fraterno Nikolaj Rubinštejn, dal quale trasse l’ispirazione per il celebre Trio, o, infine, quando andò aggravandosi la crisi esistenziale determinata dall’insuperabile stato di depressione; nemmeno la sicurezza economica raggiunta grazie ad un vitalizio assegnatogli dallo zar valse a restituire serenità al suo animo tormentato dall’angoscia e dalla depressione. Proprio il dolore, l’angoscia, la depressione sono altrettante fonti ispiratrici di queste sinfonie, nella cui musica quegli stati d’animo trovano la loro risoluzione e sublimazione. Egli aveva composto la Quarta sinfonia dopo la crisi matrimoniale, mentre, nella Quinta, espresse in una musica caratterizzata da accenti di sublime e commosso lirismo rispettivamente il dolore per la perdita dell’amico e il crescente disagio esistenziale.
Dedicata a Theodor Avé-Lallemant, musicista influente molto vicino alla Società Filarmonica di Amburgo ed eseguita, con un’ottima accoglienza del pubblico, ma non della critica, sotto la direzione dell’autore per la prima volta a San Pietroburgo il 17 novembre 1888, la Sinfonia n. 5 segue un programma interiore, che il compositore negò ufficialmente di avere utilizzato, quando ne parlò con il Granduca Konstantin Konstantinovič; tuttavia ciò è in contrasto con quanto si può leggere in una annotazione diaristica ritrovata in seguito tra gli abbozzi:
“Programma del primo movimento: Introduzione. Intera sottomissione al Destino o, il che è lo stesso, agli imperscrutabili disegni della Provvidenza”.
Non si conoscono le ragioni profonde che indussero Čajkovskij a non rendere esplicito il contenuto del programma che, in realtà, sembra contraddetto almeno in apparenza dalla musica e in particolar modo dal fatto che il tema iniziale, con il quale è rappresentato il Destino, inizialmente esposto in minore, si evolve positivamente nel Finale in maggiore. È molto probabile che Čajkovskij, al di là degli aspetti puramente extramusicali e contenutistici, abbia seguito un percorso musicale di tipo classicista.
Il primo movimento, in forma-sonata, si apre con un Andante che realizza perfettamente le parole del programma grazie al celeberrimo tema del Destino, esposto dai clarinetti nel registro grave, la cui struttura mostra un’evidente origine russa soprattutto nel disegno discendente. L’atmosfera funerea di questo esordio sembra modificata nell’Allegro con anima, nel quale, secondo il programma già citato, il compositore cercò di rappresentare Mormorii, dubbi, lamenti, rimproveri contro XXX (nel testo sono indicate tre croci); ciò si realizza nella prima idea tematica dove il tema del destino è variato con disegni ascendenti che intendono mostrare una forma di reazione alla sua inesorabilità, ma una seconda idea tematica dolente, che ricorda lontanamente la seconda frase del tema dello Scherzo della Quinta di Beethoven, considerata anch’essa sinfonia del destino, riconduce l’ascoltatore alla situazione iniziale. Tutta l’esposizione di questo primo movimento si snoda dialetticamente attraverso il contrasto tra il destino e i timidi tentativi di opporsi ad esso che si materializzano in brevi episodi più gai. Questo contrasto trova la sua più compiuta espressione nello sviluppo dove si fronteggiano il motivo gaio, già esposto nella sezione Un pochettino più animato, e il primo tema.
È possibile trovare la pace nella fede? Questo è l’interrogativo che il compositore si pone nel  secondo movimento Andante cantabile, con alcuna licenza, come si evince anche dalla nota diaristica in cui si legge: Devo gettarmi nella fede??? Un programma superbo, se solo fossi capace di realizzarlo. La grande libertà agogica e ritmica, che aveva contraddistinto il primo movimento, caratterizza anche questo Andante in cui il compositore cerca nella fede, alla quale non riesce o non sa aggrapparsi, una ragione di vita destinata a rivelarsi illusoria; se nella prima sezione del movimento la fede sembra garantire un momento di serenità, nella seconda parte l’irruzione del tema del destino, declamato con forza dagli ottoni, ne sancisce lo scacco.
Per quanto illusoria, la possibilità di una fuga dal destino incombente e terribile sembra l’unica ancora di salvezza per il compositore che nel terzo movimento, Valse (Allegro moderato), si affida alla danza, suo genere musicale preferito, ma ecco che di nuovo il tema del destino, esposto dai clarinetti e dai fagotti, si insinua e turba l’apparente serenità del valzer che, poco incline al sorriso, tende a ricoprirsi di un sia pur tenue velo di tristezza. Quest’apparente serenità, nel quarto movimento, viene definitivamente sopraffatta dal crudele destino con il suo tema che apre e chiude questo Finale dai toni drammatici e, al tempo stesso, rabbiosi. Il doloroso Andante maestoso introduttivo è dominato dal tema del destino che in un drammatico crescendo finisce per coinvolgere tutte le sezioni dell’orchestra, dagli archi ai legni e agli ottoni, assumendo ora toni dolenti con i primi, ora drammatici con gli ultimi. Nel primo tema del successivo Allegro vivace al dramma si unisce la rabbia ben espressa dai violenti accordi strappati degli archi, la cui “ferocia” sembra mitigata dal dolce secondo tema affidato ai legni in un continuo contrasto che caratterizza tutta la sinfonia e conduce alla definitiva vittoria del destino. Tale vittoria è sancita dalla travolgente stretta finale, dove appare il primo tema del primo movimento che, privo di ogni maschera seduttrice e ingannatrice, rivela la sua forza tragica, nonostante il tema del destino avesse precedentemente assunto un’insolita veste in maggiore che sembrava, in modo ingannevole, far intravedere all’ascoltatore una sua possibile sconfitta. Il destino ha, invece, vinto e Čajkovskij non può far altro che prenderne atto con una rabbia che, alla fine, esplode con tutta la sua forza.
Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 (“Patetica”)
Adagio, Allegro non troppo, Andante, Moderato assai, Adagio mosso, Allegro vivo, Andante come prima, Andante mosso
Allegro con grazia
Allegro molto vivace
Finale (Adagio lamentoso, Andante)
Durata: 49’ ca

In una lettera scritta da Čajkovskij al nipote leggiamo la presentazione di questo capolavoro di fama mondiale:
“Non puoi immaginare con quanto ardore lavori intorno alla mia nuova opera […]. Durante il viaggio a Parigi mi è venuta l’idea di una nuova sinfonia sopra un programma che rimarrà un enigma per tutti; lasciamo che ci si rompano il capo intorno!… Quale esso sia, traduce i miei più reconditi sentimenti: spesso in viaggio, mentre andavo mentalmente articolandone l’abbozzo, ho pianto come un bambino”,
e in un’altra del 30 ottobre 1893 indirizzata a Jurgenson leggiamo:
“Accade qualcosa di strano con la mia sinfonia! Non si può dire che non piaccia, ma piuttosto che provoca smarrimento”.
In questa sintetica considerazione è racchiusa l’impressione non certo confortante e lusinghiera che Čajkovskij ricavò  dalla fredda accoglienza del pubblico alla prima esecuzione, avvenuta 2 giorni prima a Pietroburgo sotto la sua direzione, della sua Sesta e ultima sinfonia. L’accoglienza del pubblico aveva, in parte, confermato le perplessità  del compositore su questa sua creatura, maturate, soprattutto, durante le prove che avevano messo in evidenza alcuni difetti del Finale apparso allo stesso Čajkovskij fiacco. Le sue perplessità non riguardavano tanto il contenuto programmatico, che, come egli stesso ebbe modo di affermare nei suoi carteggi, lasciava intenzionalmente alla capacità dell’ascoltatore di indovinarlo, ma la struttura formale della sinfonia. Čajkovskij, infatti, stava attraversando un periodo di grave crisi d’ispirazione nelle composizioni che avevano una struttura conforme ai principi della sinfonia classica; a tale proposito non è superfluo sottolineare che il compositore russo aveva composto la Quinta sinfonia nel 1888, ben cinque anni prima, e che nel 1892 ne aveva abbozzato una, il cui materiale, in seguito, fu rielaborato da Taneev in un concerto per pianoforte e orchestra, apparso postumo come Concerto n. 3. La scelta di Taneev, stretto collaboratore di Čajkovskij, di rielaborare questa sinfonia, appena abbozzata nel 1892, in modo da darle la forma di un concerto per pianoforte e orchestra, molto probabilmente seguiva fedelmente l’intenzione del compositore che, però, non riuscì a dare corso ad essa e, alla fine, scrisse un pezzo in un solo movimento, Konzertstück. Una traccia di questa indecisione tra la forma del concerto e quella della sinfonia è rimasta nella Sesta sinfonia, i cui abbozzi furono compiuti tra il 16 febbraio e il 5 aprile 1893, mentre l’orchestrazione fu completata soltanto nel mese di agosto. Una settimana prima del suo debutto a Pietroburgo, la Sinfonia fu eseguita in forma privata il 21 ottobre dagli allievi del Conservatorio diretti da Safonov. Sebbene, dal punto di vista formale, la Sinfonia evidenzi alcune anomalie, come, per esempio, quella di concludersi con un Adagio lamentoso in luogo del solito movimento vivace, il relativo programma, che Čajkovskij non scrisse, può essere facilmente intuito, senza lasciare adito ad alcun dubbio, in quanto rappresenta l’ultimo e più malinconico momento della cosiddetta trilogia del destino, aperta dalla Quarta sinfonia. Il carattere malinconico di essa, inoltre, molto probabilmente suggerì al fratello di Čajkovskij, Modest, il titolo di Patetica che il compositore accettò di buon grado. Come molte altre opere artistiche, in generale, e musicali, in particolare, anche questa sinfonia ottenne, soltanto dopo la morte del compositore,  ad appena tre settimane dalla prima esecuzione, sotto la direzione di Nápravník, il giusto riconoscimento del pubblico.
Il primo movimento si apre con un cupo ed enigmatico Adagio, in cui il primo tema è esposto dal fagotto sulle quinte vuote dei contrabbassi che conferiscono al passo un forte senso di indeterminatezza. Dopo questa breve, quanto intensa introduzione, nell’Allegro ma non troppo prende avvio la vera e propria esposizione tematica ad opera delle viole che sviluppano il tema con una figurazione in cui il ribattuto, con la sua insistenza, rappresenta efficacemente l’incombere del destino. Carattere malinconico ha, invece, il secondo tema esposto dagli archi nell’Andante, mentre un perentorio, quanto inquietante, accordo di settima dà l’avvio alla vorticosa e tormentata sezione centrale (Allegro vivo), alla quale si ricollega la parte iniziale della riesposizione che trova il suo hapax nella ripresa del secondo tema in si maggiore.
Il secondo movimento (Allegro con grazia) è un elegante, ma, al tempo stesso, malinconico valzer in un’insolita struttura metrica di 5/4 nella quale il ritmo ternario viene recuperato attraverso gli accenti che si sviluppano in modo asimmetrico. Nella prima misura, infatti, essi risiedono sul primo, sul secondo e sul quinto tempo, mentre nella seconda mettono in evidenza il primo, il secondo e il terzo. Questa struttura asimmetrica, così incerta e cangiante, si chiarisce nella sezione centrale, marcata dall’indicazione dinamica con dolcezza e flebile, nella quale, su un pedale di tonica di re maggiore, il primo flauto e i primi violini intonano una melodia accentuata sul terzo, sul quarto e sul quinto tempo, secondo uno schema ritmico costante in questo passo.
Il terzo movimento (Allegro con vivo), che assume i contorni di quello conclusivo di un concerto solistico per il carattere gioioso e complessivamente vivace, si apre con un tema rapido e scorrevole, affidato agli archi, al quale si contrappone un motivo marziale in cui è riproposto lo scardinamento dello schema ritmico attraverso un’accentuazione che travalica i limiti della misura in 4/4 per dare vita con il battere e il levare della misura successiva a un 5/4. La successiva sovrapposizione dei due temi con varianti anticipa alcuni importanti esiti mahleriani.
La sinfonia avrebbe potuto concludersi col vivace terzo movimento, ma Čajkovskij decise di aggiungerne un quarto lento che, apertosi con un Adagio lamentoso, ripropone e rievoca l’atmosfera mesta del primo movimento. Dopo la parentesi gioiosa, in realtà, tutti i fantasmi del primo movimento ritornano  in questa vera e propria elegia funebre e, mentre il primo tema riappare nell’Adagio ma non troppo, il secondo viene ripreso nell’Andante in una forma ritmica diversa per l’utilizzazione di una struttura ternaria. Dopo uno sviluppo estremamente vario dal punto di vista agogico, la sinfonia si conclude con le drammatiche sonorità del fagotto, dei violoncelli e dei contrabbassi che avevano aperto il primo movimento.