In memoriam… Jeffrey Tate (1943-2017)

O weiter, stiller Friede,
So tief im Abendrot.
Wie sind wir wandermüde –
Ist dies etwa der Tod?

(Joseph von Eichendorff)

O immensa e silente pace!
così profonda nel rosseggiante tramonto;
quanto ci ha spossati il nostro vagabondare.
È questa forse la morte?

(Traduzione di Luigi Bellingardi)

Così recita la strofa conclusiva di Im Abendrot (Al tramonto), che chiude la raccolta dei Vier letzte Lieder (Quattro ultimi canti) per soprano e orchestra, che rappresentano lo struggente congedo dalla vita di Richard Strauss. Il maestro Jeffrey Tate, un grande della musica dei nostri tempi ci ha lasciato il 2 giugno di questo 2017, che era già stato segnato – all’inizio di gennaio – dalla scomparsa di un altro mito della bacchetta, Georges Prêtre, anch’egli raffinato interprete, amatissimo dal pubblico internazionale. Ma l’improvvisa scomparsa del Maestro di Salisbury ci lascia profondamente costernati, anche perché il suo sommo magistero artistico, che gli ha consentito di essere annoverato tra le più eminenti personalità nel panorama musicale di questi ultimi decenni, era il frutto di un impegno categorico, di una volontà veramente titanica, grazie alla quale era incredibilmente riuscito a sviluppare le proprie doti spirituali, nonostante la malattia congenita che aveva minato pesantemente il suo fisico. Non si poteva rimanere indifferenti osservando Jeffrey Tate mentre faticosamente raggiungeva il podio con l’aiuto di un bastone; ma poi, una volta che aveva lasciato quest’ultimo per impugnare la bacchetta, era un’esperienza sublime lasciarsi avvincere dalla poesia – mai leziosa ma sempre intensamente sincera anche nei momenti di più tenue lirismo –, dall’edonismo sonoro, dalla profondità interpretativa, che quelle braccia, alla vista quasi poderose sul suo fragile corpo e – perché no? – così leggiadre nel gesto direttoriale, sapevano ottenere dall’orchestra.
Ricordiamo ora con rinnovata, incontenibile emozione gli ultimi due concerti veneziani, che lo videro protagonista rispettivamente al Teatro La Fenice e al Teatro Malibran, in cui ci ha regalato ancora una volta momenti indimenticabili: a ripensarci, col senno di poi, la fatica gli si leggeva sul volto, ma nello sguardo brillava ancora e sempre la divina scintilla del genio e dell’arte, cui l’esperienza del dolore conferiva una dolcezza particolare.
Il 2 giugno, poco dopo le 14, un malore improvviso ha stroncato, a 74 anni, il direttore inglese, mentre si trovava in visita privata all’Accademia Carrara di Bergamo. Ma la morte ci ha sottratto il suo corpo: il suo spirito gentile rimarrà sempre con noi a regalarci la gioia delle sue straordinarie interpretazioni, così come la lotta contro la malattia, che così virilmente ha sostenuto in vita, si placherà per sempre nella “pace”, cui allude il citato Lied di Strauss.