Intervista al soprano Silvia Dalla Benetta

In questi ultimi anni ho avuto modo di ascoltare il soprano Silvia Dalla Benetta in alcune sue recite nei teatri toscani, rimanendo ogni volta entusiasta, come testimoniano le mie recensioni.  In particolare ricordo due recite di Traviata a Firenze e al Festival Pucciniano di Torre del Lago, una sua Liù in Turandot a Pisa e soprattutto la sua prova nel ruolo di Donna Anna in Don Giovanni sempre al Teatro Verdi di Pisa, prestazione per cui l’ho nominata come mia scelta sopranile per gli ormai celebri GBOscar – L’eccellenza dell’opera.  Negli ultimi il soprano veneto tempi si sta avvicinando sempre di più al repertorio belcantistico, con un debutto importante appena avvenuto nel ruolo della protagonista di Elisabetta, regina d’Inghilterra di Rossini al Teatro Comunale di Sassari, ed è su questo repertorio che verterà principalmente l’intervista. Prima però sono curioso di sapere come tutto ha avuto inizio: lo studio e gli esordi.
Signora Dalla Benetta, la ringrazio innanzitutto per il tempo che ci ha concesso. Sicuramente l’avrà già detto in altre interviste, ma sono sicuro che i nostri lettori vorranno sapere come è nata in lei la passione per il canto, dove e con chi ha studiato, e come ha mosso i primi passi in questa difficile carriera.  Tutti i cantanti hanno avuto avuto un’epifania in cui si sono detti “ecco, voglio fare il cantante”
Da piccola non avevo particolare interesse al canto, con dispiacere di mia mamma perché lei aveva una bella voce e cercava invano di insegnarmi le canzoncine. Io ho fatto l’Accademia delle Belle Arti a Venezia; il mio percorso non era quello canoro, era quello pittorico.  Adoravo dipingere: la pittura era il mio sfogo, era tutto, e sono cresciuta disegnando.  Poi è avvenuta una disgrazia nella mia vita familiare che mi ha costretta a tirare il freno, e per un periodo ho smesso di studiare.  Per mesi e mesi mi sono chiusa in casa, non sono più andata in Accademia, tutto si è fermato nella mia vita.  Un giorno, per puro caso, ascoltando la radio sento “Vissi d’arte” dalla Tosca: “vissi d’arte, vissi d’amore”, e le parole di quest’aria mi colpiscono, mi sembra che si riferiscano alla mia situazione.  Alla fine l’annunciatore ha detto il nome dell’opera e del compositore; figuriamoci, io non sapevo neanche chi fosse Puccini, ma sono andata subito in edicola a chiedere se per caso avessero quell’opera. In quel periodo pubblicavano una collana in musicassetta con tanto di libretto e una guida.  Compro l’opera e inizio subito a cercare l’aria in mezzo a tutta questa musica che mi sembrava noiosissima, ed alla fine riesco a trovare “Vissi d’arte”; ascoltare questo pezzo mi rilassava, mi dava un attimo di conforto e di pace, e all’epoca non sapevo nemmeno chi fosse la cantante, che poi era la Callas: da lì in poi ho scoperto che questo Puccini aveva composto anche altre cose, che era lui che aveva scritto la famosa Butterfly; scopro che esistono altri compositori. Mi sono anche comprata le basi musicali per canto e pianoforte in cassetta e per mesi non facevo altro che cantarci sopra. Una mia compagna di Accademia stava per fare l’esame di ammissione al corso di canto al Conservatorio, e mi dice, “perché non vieni anche tu, dato che ti sei appassionata di canto”, ed io accetto anche perché questa nuova passione mi stava tirando fuori di casa, e quindi era innegabile che mi aiutasse: solo che cantavo di tutto, da “Nessun dorma” all’aria della regina della notte e al “Toreador” di Escamillo.  Non sapevo che esistessero i registri vocali e cantavo tutto quello che mi trasmetteva qualcosa.  Sono andata in conservatorio, presento il mio elenco delle arie, loro lo guardano e mi dicono “scusi signorina può uscire un attimo per favore”; la mia insegnante poi mi ha detto che hanno pensato che fossi una stupida, ed avevano ragione, dato che volevo cantare “Nessun dorma”; decidono comunque di ascoltarmi dato che ero lì, entro e mi chiedono con chi avevo studiato e io ho risposto che studiavo sui dischi.  Loro, sempre più disperati, mi hanno fatto cantare parte di “Tutte le feste al tempio”, “L’altra notte in fondo al mare”, e la seconda aria della regina della notte.  La mia insegnante mi ha poi detto che una volta che ero uscita dalla sala si sono accapigliati, perché ero una specie di fenomeno da baraccone; sapevo cantare ma nessuno sapeva il perché, e mi hanno accettata, con il dieci; su una settantina siamo entrate in due.  I primi mesi li ho passati eliminando arie: la mia insegnante mi ha detto “tu hai una voce molto particolare, già impostata io ti insegno a respirare e non ti far mai toccare la voce da nessuno” e aveva ragione perché in seguito chi mi ha toccato la voce ha rischiato di danneggiarmi.  Ora dopo tanti anni penso di avere una tecnica solida che mi permette di affrontare situazioni impervie, assurde come quella che ho affrontato recentemente, cantando due opere fra l’altro completamente diverse nella stessa giornata al Belcanto Opera Festival Rossini in Wildbad, L’inganno felice di Rossini e Il vespro siciliano di von Lindpaintner, un’opera questa che è una specie di mix fra Verdi, Meyerbeer e Wagner.  Sarà un po’ d’incoscienza, sarà qualcuno mi guarda da lassù, sarà che mi sento sicura della mia tecnica, ma mi sono spesso trovata in situazioni da brivido.  Ero appunto ero a Wildbad a cantare L’inganno felice e il soprano protagonista del Vespro siciliano era indisposta; mi hanno fatto vedere lo spartito dell’aria principale, e mi hanno chiesto se me la sentivo di prepararla in pochissimo tempo, io ho guardato l’aria e mi sono detta che sì era molto complessa, ma tutto sommato era nelle mie corde; il problema è che non sapevo che era un’operone di quattro ore, e che quell’aria era la parte più accessibile!
Ha più volte menzionato la sua prima maestra di canto: ci può dire chi era?
Mirella Parutto, che non mi ha toccato vocalmente, come dicevo, ma mi ha insegnato solo come si respira e come si appoggia.  Anch’io adesso insegno e mi rendo conto di come ognuno abbia un’idea diversa della respirazione, dell’appoggio perché a volte mi arrivano degli allievi con delle nozioni piuttosto strane.  Mi piace sempre sentire nuove opinioni perché non si finisce mai di imparare, ma ormai la mia gola sa subito quello che funziona per me. Oltre alla Signora Parutto devo moltissimo a Silva Stella, la mia insegnante di sempre e anche di oggi, perché continuo ad avvalermi dei suoi consigli.
Parliamo del suo repertorio: ho notato che ha già più di quaranta ruoli in repertorio, che sono tanti per una cantante ancora giovane.
Sì, e continuo a fare debutti, continuano a propormi opere nuove.
Ma ho anche notato che almeno metà di questi ruoli sono già stati “pensionati”, mentre alcuni che ha debuttato agli inizi della carriera sono ancora parte attiva del suo repertorio, come ad esempio Violetta; vorrei sapere se in questi anni l’approccio ad un ruolo che si è iniziato a cantare contemporaneamente a una Musetta e che si continua a cantare insieme a un’ Abigaille sia cambiato, e come sia cambiato.
E’ cambiato moltissimo, anche perché ho iniziato con una vocalità molto più leggera; cantavo le mie Adine, Norine, la Sonnambula e così via.  Riguardo Violetta, tutti mi dicevano di tenerla da parte, ma vocalmente a me riusciva facile, e quindi la cantavo; sicuramente all’epoca ero un po’ carente nel secondo atto, non avendo la maturità vocale che ho adesso.  L’ho maturata negli anni, non sono vocalmente ma soprattutto psicologicamente.  Avevo un certo spessore vocale anche all’inizio, e infatti la Parutto mi diceva “guarda ti faccio fare queste opere più leggere perché voglio che tu segua un percorso sano, ma sono sicura che finirai per fare opere da soprano drammatico, più pesanti, ma non forzare, non accelerare i tempi altrimenti rischi di distruggerti.”  Quindi io alcune opere le ho prese con il contagocce, con molta calma.  Oggi la mia Traviata penso sia matura anche psicologicamente, perché l’ho rigirata sottosopra, studiando in continuazione lo spartito: anche la lettura della lettera l’ho vista e rivista, ci ho versato sangue e lacrime; i miei personaggi devono far parte della mia vita, non so se sono io che entro a far parte della loro vita o viceversa; ogni emozione, ogni parola non è Violetta a esprimerla ma è la Dalla Benetta, che usa la voce e il palcoscenico per tirar fuori se stessa, cosa che magari a tu per tu non riesco a fare, mentre in palcoscenico riesco a esternare tutti i personaggi, forse perché mi sento protetta dal fatto che in quel momento io mi chiami Norma o Violetta o Abigaille. Mi rivelo più in palcoscenico che nella vita reale.  Se uno dovesse analizzarmi potrebbe capire come sono guardandomi in palcoscenico.
L’altro grande ruolo che la accompagna sin dall’inizio è Lucia, altra parte che si può affrontare in diversi modi.
Lucia, non l’ho mai fatta come vorrei farla.
Così come scritta?
Vede che mi ha capita.  Il mio sogno è di farla come l’ha concepita Donizetti, ma purtroppo non mi è ancora capitato.   Alcune opere, come appunto Lucia di Lammermoor, sono state snaturate nel corso del tempo con tutte queste variazioni e cadenze che non appartengono al personaggio così come concepito dal compositore.  Sono contro i tagli e sono a favore delle cadenze e delle variazioni, ma devono esser in stile e di gusto.
Questa era proprio la prossima domanda: scrive da sola le sue variazioni?
Alcune sì, mi piace crearle con chi studio e poi proporle al direttore; in ogni caso devo sentirmele sulla pelle, devono esser comode, perché in fin dei conti è quello lo scopo delle variazioni: farmi esprimere al meglio.  Se dovessi riprendere in mano Lucia dovrei alleggerire tutto il resto dell’opera solo per quella benedetta cadenza.  Per Lucia però ci vuole un certo spessore; soprattutto la prima parte non credo che sia in fondo proprio adatta a soprani leggeri, e lo stesso discorso si può fare per Gilda, ad esempio nella scena della tempesta.
Sta sempre più orientandosi verso il primo Ottocento, il cosiddetto belcanto. Parliamo di Rossini; preferisce quello buffo o quello serio?  E si sente più a suo agio in ruoli schiettamente sopranili come Isabella dell’Inganno felice o Fiorilla del Turco in Italia, che ha avuto modo di cantare quest’anno, oppure nei ruoli Colbran, come Semiramide e soprattutto Elisabetta, che al contrario sono piuttosto gravi, con tessitura da mezzosoprano acuto, se eseguiti come scritti?
Sì è vero, la tessitura in Elisabetta è grave, soprattutto nel duetto con l’altro soprano, in cui si parte da un la grave decisamente mediosopranile, ma l’orchestrazione è leggerissima, e viaggia tutto sul pianissimo; è vero che stiamo per così dire sprofondando sotto, ma Rossini non l’ha scritta in modo da costringermi a forzare; io non ho mai forzato nella mia carriera; ho cantato anche Abigaille senza forzare alla ricerca di un suono più scuro e più pesante; io canto con la mia vocalità.  Elisabetta la trovo molto comoda, come fra l’altro Semiramide, opere in cui posso dare il giusto peso anche al testo, cosa che viene spesso trascurata in Rossini.  Se si parla di Verdi, allora la parola è al centro dell’attenzione, ma anche in Rossini bisogna prestare attenzione al testo altrimenti si cade nella banalità nella noia più assoluta, e non c’è niente di peggio che sentire Rossini eseguito senza entusiasmo.
Chi mi conosce sa che ho un amore incondizionato per Ermione, la mia opera preferita, e che le starebbe molto bene.
Guardi, è da una settimana che sento parlare di quest’opera come possibile proposta, e sto incrociando le dita; speriamo che il fatto che per pura coincidenza lei l’abbia menzionata significhi qualcosa.
Ho ammirato moltissimo la sua Donna Anna, che ha ricevuto moltissime critiche positive; ho notato che ha in repertorio altri ruoli mozartiani, ma quelli un po’ più leggeri.  Ha intenzione di aggiungere ruoli più drammatici, come ad esempio Vitellia o Elettra?
Magari! Ma anche Donna Elvira; Io speravo di fare Elvira in quella produzione di Pisa, ma il direttore voleva assolutamente un mezzosoprano per Elvira, e quindi ho accettato Donna Anna, ruolo bellissimo per carità, ma io mi sento di più una Donna Elvira.
Uno dei suoi prossimi impegni è un’opera monumentale che non si esegue praticamente più, Les Huguenots; ma mi sarei aspettato di vederla nel ruolo di Valentine e invece canterà Marguerite de Valois.
Ormai io mi sento regina! Scherzi a parte, quel ruolo è nato così; lì a Nizza ho salvato l’allestimento di Semiramide alcuni mesi fa sostituendo una collega all’ultimo minuto; la direzione del teatro mi ha chiamata perché mi avevano apprezzato moltissimo in un’audizione, ma erano passati dieci anni dalla mia ultima Semiramide, quindi riprenderla in un giorno e una notte è stato un incubo. Per farla breve ho cantato Semiramide tre volte in una giornata fra prove e recita. E’ venuto giù il teatro, ho avuto critiche bellissime, e quindi il direttore mi ha detto di avere un altro ruolo per me; è stata una delle rare volte in cui i direttori ti premiano per un favore che hai fatto loro; spesso dopo questi salvataggi ti ringraziano, ti fanno i salamelecchi e poi ciao.. Mi ha dato quattro giorni di tempo per accettare; le ho dato uno sguardo e ho accettato; insomma un altro bel debuttone.  Ha molto del Donizetti serio, con gli accenti drammatici verdiani e coloratura rossiniana; dovrò alleggerire e fare un lavoro tecnico particolare, ma è anche un modo per tenere la gola allenata. Infatti mi è sono trovata benissimo a cantare Donna Anna e Abigaille a braccetto; ho fatto la mia Donna Anna e subito dopo per Abigaille sono arrivata con la mia gola agile, mi sembrava di aver fatto un massaggio alla gola.
Fra tutti questi ruoli di diversissima natura, arriverà prima o poi anche quello che in fin dei conti l’ha introdotta al mondo dell’opera, Tosca?
Non è un ruolo che chiamo, ma se arriva non lo rifiuto. Sono altri i ruoli che chiamo, Luisa Miller e le regine donizettiane, perché la mia voce si trova benissimo in questi ruoli, come anche Elvira in Ernani, ma prego tutti i santi di poter cantare Anna Bolena, Maria Stuarda, Roberto Devereux, Lucrezia Borgia perché sento che la mia voce ci sguazza. Tosca non la cerco; l’ho studiata, la so tutta, ma non fa parte dei miei progetti; in ogni caso non le chiudo la porta in faccia a priori.
Lei ha già iniziato ad insegnare, a tenere masterclass; le piace insegnare?
Moltissimo; io ho iniziato a studiare in Conservatorio a diciannove anni, e mi mantenevo agli studi facendo di tutto; ho fatto la cameriera e la badante per potermi permettere di studiare, e fra le varie cose sin da subito ho avuto la fortuna di poter insegnare in una scuola privata di canto, per cui quello che imparavo in Conservatorio lo passavo direttamente a questi ragazzini che venivano a imparare i primi rudimenti del canto.  Ho insegnato anche musico-terapia, in poche parole ho insegnato in un manicomio, ai tempi in cui esistevano ancora; è stata un’esperienza meravigliosa; ho imparato moltissimo da loro, ho imparato le diverse chiavi per entrare nella testa delle persone, perché ho dovuto imparare ad attirare la loro attenzione e sfruttarla per quel poco tempo che riescono a darla; quindi trattenerli in classe era divenuto il mio scopo.  Questo mi ha resa molto sensibile e quindi quando insegno mi sfinisco; ho insegnato anche in Conservatorio; non sono lì davanti a loro, entro nella loro gola; ci sono passata, so il male che alcuni insegnanti possono provocare nelle gole di giovani inesperti. Non è come una camicia stirata male che si può inumidire e poi stirarla meglio; nella voce quando ci sono delle pieghe, toglierle diventa difficilissimo, e sono anche pieghe psicologiche perché molti di questi giovani che incontrano seri problemi vocali arrivano da me distrutti anche psicologicamente.
Un’ultima domanda: se domani le arrivasse un contratto per un debutto al Met, e le dicessero di scegliere un ruolo, su quale cadrebbe la scelta?
Ovviamente per un debutto al Met farei di tutto ma un ruolo su cui mi sentirò sempre forte sarà VIoletta, è un ruolo che offre un miliardo di sfaccettature; ci sono mille opportunità di esprimermi, e quindi mi permette di lavorare molto sul colore, sul suono.  Adoro tutti i ruoli verdiani, in particolare vorrei riprendere Elvira in Ernani.
A proposito, ho visto su Internet il concerto di Vicenza in cui ha cantato quasi tutte le arie per soprano di Verdi.
Mentre preparavo quel concerto il mio agente mi ha detto: “ti prego non ammalarti perché mi toccherebbe chiamare tre soprani”. Questo concerto fa parte delle pazzie che faccio, che so di poter fare…Ecco, qualsiasi ruolo di quel concerto mi andrebbe bene per un debutto al Met!  Ma a pensarci meglio c’è un’opera che forse proporrei oggi con il senno di poi, Les Contes d’Hoffmann.  Io ho cantato tutte e quattro le eroine tanti anni fa e oggi sarei curiosa di vedere che cosa potrei farne con un’altra maturità vocale ed interpretativa. Fra l’altro ho fatto la versione di Michael Kaye, in cui Stella canta un paio di pagine, e Giulietta è un soprano acuto di coloratura con l’aria “L’amour lui dit: la belle”  Oggi, dopo tutto quello che ho passato, vorrei proprio vedere che cosa potrei raggiungere in quest’opera.  Ecco, forse è questa che proporrei al Met.
PS: Fra le sostituzioni al cardiopalma possiamo adesso annoverare quella del Corsaro (ruolo di Gulnara) al Festival Verdi di Parma, cui la Signora Dalla Benetta è giunta solo due giorni prima della prima, notizia ovviamente giunta dopo l’intervista.