Jacques Ibert (1890 – 1962), Arthur Honneger (1892 – 1955): “L’Aiglon” (1937)

Drame musicale in cinque atti su libretto di Henri Cain. Anne-Catherine Gillet (L’Aiglon), Marc Barrard (Flambeau), Étienne Dupuis (Metternich), Philippe Sly (Marmont), Pascal Charbonneau (L’aatache militaire), Isaiah Bell (Gentz), Tyler Duncan (Prokesch), Jean-Michel Richer (Sedinsky), Hélène Guillemette (Thérese), Anne-Nicole Lemieux (Marie-Louise), Julie Boulianne (Fanny Eissler), Kimy McLaren (La Comtesse Camerata). Coer dell’OSM, Andrew Megill (Maestro del coro), Orchestre symphonique de Montréal, Kent Nagano (direttore). Registrazione, Montréal 17-21 marzo 2015, 2016. 2 CD Decca 478 9502 
Parigi, seconda metà degli anni 30 del Novecento; è in questo momento che di fronte alla sempre più concreta minaccia del militarismo tedesco la Francia riscopre il proprio orgoglio nazionale ed è in questo clima che nasce “L’Aiglon”, l’insolita opera a quattro mani di Arthur Honegger e Jacques Ibert che va in scena con grande successo a Montecarlo nel 1937 per poi essere vietata dopo l’occupazione nazista della Francia e da allora condannata a un ingiusto oblio cui pongono in parte fine questa registrazione Decca e le esecuzioni concertanti a Montréal da cui questa deriva.
L’Aiglon” deriva da un dramma che Edmond de Rostand aveva scritto nel 1900 su misura per la divina Sarah Bernhardt interessata a un ruolo en-travesti scritto appositamente per lei dopo i successi come Amleto. Il testo teatrale elabora a sua volta un lavoro di Victor Hugo dedicato a Napoleone II, l’infelice e malaticcio figliolo dell’Imperatore dei Francesi e di Maria Luigia d’Asburgo-Loreno vissuto di fatto prigioniero nella dorata gabbia della corte imperiale viennese la cui prematura scomparsa aveva liberato l’Europa dalle ansie e dei timori che l’ombra dell’ingombrante genitore estendeva dalle fragili spalle del figlio.
La musica, composta insolitamente a quattro mani è un capolavoro di organicità, per quanto noi sappiamo essere di Ibert il primo e il quinto atto, di Honegger il secondo e il quarto e di congiunta realizzazione il terzo, lascia quasi increduli per la capacità dei due compositori di muoversi su linguaggi stilistici così prossimi da essere quasi impossibili da distinguere se non per un maggior senso drammatico e per un gusto più coraggioso verso la modernità delle parti di Honegger. L’opera gioca su una contrapposizione fra il mondo austriaco così aristocraticamente disumano nella sorridente leggerezza dei suoi valzer e quello più popolarescamente sincero dei francesi intessuto di musiche popolari e di canti patriottici con tanto di esplicita citazione della “Marsigliese” ad accompagnare la morte dell’Aiglon. L’impianto della musica è pienamente tonale e palesi sono gli echi di Debussy – specie nel trattamento della vocalità, molti passaggi del protagonista non sembrerebbero impropri in “Pelleas et Melisande” – e del mondo musicale impressionista e post-impressionista. Non un capolavoro ma un’opera di piacevolissimo ascolto  che – anche considerando la stringatezza drammaturgica – non sarebbe sgradito rivederla in palcoscenico.
Il merito principale della riuscita della registrazione spetta a Kent Nagano il quale alla guida dei complessi canadesi schizza un quadro dai colori vividi e sgargianti e dai marcati contrasti, cogliendo in ogni instante l’ondeggiare della partitura fra commedia e dramma larmoyant con una precisione e una raffinatezza veramente ammirevoli.
Il ricordo di Sarah Bernhardt non poteva che destinare a un soprano il ruolo del Duca di Reichstadt – come viene chiamato il giovane Bonaparte con il suo titolo austriaco – scelta per altro perfettamente in linea con la natura adolescenziale del personaggio in cui si sente palpitare un Octavian schiacciato dal peso della storia. Anne Catherine Gillet ha un bel timbro e grande musicalità espressa in un canto di raffinata eleganza cui non nuoce qualche fragilità timbrica che quasi riflette la fragilità psicologica del ruolo; inoltre è interprete di grande sensibilità capace di toccare accenti di autentica emozione nel racconto della battaglia di Wagram e nella scena della morte del Duca. Lontana dal suo abituale repertorio, Anne  Nicole Lemieux dispone sempre di una voce di grande suggestione timbrica e di una classe non comune così che la sua Marie-Louise ha tutta la sua malinconica femminilità unita a un impeccabile linea di canto. Voce robusta anche se non sempre raffinatissima quella di Marc Barrard; entrambi gli elementi, però, ben si adattano alla schietta umanità popolare del vecchio soldato Flambeau.
Bellissimo timbro e linea di canto aristocraticamente cesellata per il Metternich di Étienne Dupuis la cui freddezza calcolatrice risulta con ancor più evidenza in un canto così curato e inappuntabile. Ottime tutte le parti di fianco così come la prova del coro.