Joyce DiDonato: “In War and Peace”. Harmony through Music

War – Georg Friederich Handel: “Scenes of horror” (Jephtha); Leonardo Leo: “Prendi quel ferro, o barbaro”(Andromaca); Georg Friederich Handel: “Vani sono i lamenti…Svegliatevi nel core” (Giulio Cesare); Henry Purcell: “They tell us that you mighty powers above” (The Indian Queen);  Georg Friederich Handel: “Pensieri, voi mi tormentate” (Agrippina); Henry Purcell: “Thy hand, Belinda” (Dido and Aeneas); Georg Friederich Handel:”Lascia ch’io pianga” (Rinaldo) Peace – Henry Purcell:”Oh! lead me to some peaceful gloom” (Bonduca, or The British Heroine); Georg Friederich Handel: “Augelletti, che cantate” (Rinaldo); Niccolò Jommelli: “Sprezza il furor del vento” (Attilio Regolo); Henry Purcell: “Why should men quarrel” (The Indian Queen); Niccolò Jommelli: “Par che di giubilo” (Attilio Regolo); Georg Friederich Handel: “Crystal streams in murmurs flowing” (Susanna); Claudio Monteverdi: “Illustratevi o cieli” (Il ritorno d’Ulisse in Patria); Georg Friederich Handel:”Da tempeste il legno infranto”(Giulio Cesare). Joyce DiDonato (mezzosoprano) Il Pomo d’Oro, Maxim Emelyanychev (direttore). Registrazione: Gustav Mahler Hall, Kulturzentrum, Grand Hotel Toblach, 1,3, 20 marzo 2015. T.Time.79’14. 1 CD Erato 0190295928469

Dopo una serie di tentativi, non sempre pienamente convincenti, di ampliare il proprio repertorio, di esplorare nuovi repertori, Joyce DiDonato ritorna alla musica del XVIII secolo e ritrova pienamente anche se stessa. “In War and Peace” è il titolo di questo nuovo CD dedicato appunto ai temi contrapposti della guerra e della pace nella musica operistica e oratoriale del Settecento; in esso appaiono alternati brani noti o molto noti ad altri totalmente sconosciuti come le prime registrazioni assolute delle arie di Leo e Jommelli che si rivelano fra i momenti più esaltanti della registrazione. Ad accompagnare la DiDonato è il complesso il Pomo d’Oro, diretto per l’occasione da Maxim Emelyanychev. L’orchestra, filologicamente aggiornata, dimostra ulteriormente come una corretta prassi esecutiva doni a molte di queste musiche una freschezza neppure immaginabile nelle esecuzioni con strumenti moderni: valga a titolo di esempio l’evocazione mimetica di “Augelletti che cantate” dal “Rinaldo” di Händel dove l’imitazione dei suoni della natura e del canto degli uccelli ha un sapore completamente diverso rispetto alle esecuzioni tradizionali.
Il programma segue un percorso tematico ideale dall’oscurità senza speranza di “Some dire event hangs o’er our heads”, tratto dal “Jephtha” di Händel, alla gioia per il superamento di ogni pericolo di un altro brano händeliano come la grande aria di Cleopatra “Da tempeste il legno infranto”. La divisione del programma in due nuclei contrapposti potrebbe creare una scarsa varietà espressiva che viene evitata da un’attenta alternanza fra i brani più lirici e quelli più virtuosistici anche all’interno dello stesso orizzonte tematico.
Fra i brani della prima sezione meritano di essere segnalate la grande scena di Andromaca dall’omonima opera di Leo. Si tratta di un brano di fortissima tensione drammatica, caratterizzato da ampi scarti sia vocali sia di carattere che la DiDonato domina con facilità; inoltre il timbro luminoso ma morbido e molto femminile della cantante si sposa perfettamente al ruolo materno della sposa di Ettore.
Alla disperazione di Andromaca segue la smania di vendetta di Sesto, e raramente “Svegliatevi nel core” è stata cantata con tanto impeto e tanta convinzione e con voce altrettanto bella e sicura. Sempre di Händel in questa sezione ci sono il monologo di Agrippina “Pensieri, voi mi tormentate” e la celeberrima “Lascia ch’io pianga” dal “Rinaldo” dove – come negli altri brani più noti dove è più facile cogliere questo aspetto – si notano le personali variazioni adottate dalla DiDonato che crea proprie soluzioni partendo dalla melodia originaria secondo una prassi che doveva essere comune al tempo e dove l’originalità non va contro il gusto e lo stile del brano.
Affrontato per la prima volta, Purcell si rivela un compositore particolarmente consono alle caratteristiche vocali della cantante, in quanto la perfetta padronanza della prosodia inglese e la vocalità così morbida e carezzevole si fondono alla perfezione con le melodie del compositore raggiungendo effetti di rara suggestione tanto nel grande lamento di Didone quanto nella meno nota ma non meno suggestiva “They tell us that you mighty powers above” da “The Indian Queen”, una struggente e cristallina melodia che esalta le doti di canto della DiDonato.
Nella parte dedicata alla pace ritroviamo Händel e Purcell: molto suggestiva è “Oh! Lead me to some peaceful gloom” da “Bonduca, or the British Heroine”  nella quale la cantante rende con grande efficacia la trepidazione per una speranza tanto più forte quanto più incerta. A splendere sono però le prime registrazioni delle arie dell’”Attilio Regolo” di Jommelli, autentici trionfi del canto barocco di bravura. La prima “Sprezza il furor del vento” è forse il brano più scopertamente virtuosistico del programma caratterizzato da una brillantezza eroica e marziale che richiede alla cantante eccezionali doti nel canto di coloratura in cui la DiDonato esce assoluta trionfatrice: le colorature sono sgranate con una rapidità e precisione soggiogante ma al contempo senza mai risultare meramente meccaniche e senza compromettere la linea di canto sempre curatissima. La cantante realizza qui il suo trionfo virtuosistico in modo quasi inaspettato: la successiva “Par che di giubilo” ha, infatti, un tono più lieto e leggero ma è altrettanto impegnativa sul terreno della vocalità.
Quasi antitesi ai brani di Jommelli è “Illustratevi, o cieli” dal “Ritorno di Ulisse in patria”, unico brano monteverdiano proposto; la DiDonato non ha una dizione particolarmente nitida nel recitar cantando ma ha il senso del fraseggio italiano così che non si sente nulla di stridente con la purezza della melodia monteverdiana affrontata con una voce di una bellezza raramente ascoltata in brani come questo. Come già accennato, l’ultima aria di Cleopatra dal “Giulio Cesare in Egitto” chiude ciclicamente con Händel un programma che con Händel era iniziato e che segna il ritorno della Di Donato ai propri migliori livelli dopo alcune prestazioni più interlocutorie.