“La Traviata” al Teatro Verdi di Trieste

Trieste, Teatro Verdi – Stagione Lirica e di Balletto 2014
“LA  TRAVIATA”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma La Dame aux camelias di Alexandre Dumas figlio
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valery JESSICA NUCCIO
Alfredo Germont  MERUNAS VITULSKIS
Giorgio Germont  VITALIY  BILYY
Flora Bervoix  LETIZIA DEL MAGRO
Gastone ALESSANDRO D’ACRISSA
Barone Douphol CHRISTIAN STARINIERI
Marchese d’Obigny  DARIO GIORGELE’
Dottor Grenvil FRANCESCO MUSINU
Annina  ANNA BORDIGNON
Giuseppe  DAX VELENICH
Il domestico di Flora  HEKTOR LEKA
Un commissionario GIOVANNI PALUMBO
Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Lirico “G. Verdi” di Trieste
Direttore Gianluigi Gelmetti
Maestro del Coro Paolo Vero
Regia e luci  Henning Brockhaus
Bozzetti di scena  Josef Svoboda
Costumi Giancarlo Colis
Coreografie Valentina Escobar
Allestimento di proprietà della Fondazione Pergolesi- Spontini di Jesi
dai bozzetti scenografici di Josef Svoboda.
Trieste, 27 Marzo 2014
Dopo l’inaugurale “Un ballo in maschera”, ancora un titolo verdiano nel quarto appuntamento in cartellone che assolve al doppio compito di prolungare l’omaggio del bicentenario appena trascorso e di riempire la sala a ogni recita. Missione compiuta con “La Traviata” che ha visto il teatro esaurito a ogni recita grazie all’intrinseco appeal nazional-popolare dell’opera e al fascino dell’allestimento scenico ideato dal compianto scenografo boemo Josef Svoboda. A distanza di ventidue anni dall’esordio a Macerata la messinscena non ha perso quasi nulla del suo dirompente effetto teatrale, con l’enorme specchio inclinato a 45 gradi in fondo alla scena concepito per riflettere i personaggi e i fondali dipinti posti sull’impiantito, che diventano così sfondo e sipario insieme della vicenda. Nel primo atto la dimora di Violetta appare come una sgargiante casa d’appuntamenti, nel  secondo, il più articolato, si parte dal buen retiro agreste di Violetta e Alfredo per approdare alla sala da gioco in casa di Flora, passando attraverso due momenti spruzzati di kitsch come la scena in cui Germont padre canta “Pura siccome un angelo” sopra un prato di margherite bianche e quella del confronto padre-figlio che si svolge sullo sfondo di stampe d’epoca raffiguranti interni borghesi e ritratti di parenti che incombono su Alfredo, diviso tra fastidi e sensi di colpa. I vistosi costumi e il trucco piuttosto pesante di comprimari ballerine e coro contribuiscono a perimetrare il racconto del terzo atto in una cornice dai contorni fumettistici o iperrealistici come l’esuberanza fisica non propriamente leggiadra di improbabili “zingarelle venute da lontano”, mentre nell’ultimo atto i colori si spengono e sono solo gelide lame di luce a rimbalzare tra scena e specchio, fino alla suggestione finale con lo specchio che s’alza in verticale a riflettere l’orchestra e la sala del teatro che pian piano si illumina e rende compartecipe il pubblico degli ultimi istanti di Violetta.
Il regista Henning Brockhaus, precisando che “ lo specchio si apre come si apre una memoria oppure un libro, per capire la storia vissuta e sin dall’inizio lo spettatore, volutamente, ha una visione da voyeur e  vede cose che non dovrebbe vedere” sfrutta bene gli stimoli offerti da questa messinscena, soprattutto per quel che riguarda le masse, lasciando, viceversa,  ai cantanti una sostanziale libertà di movimento che si concretizza in recitazione approssimativa e grossolana. Così come sul versante musicale, a fronte di un’orchestra accurata e potenzialmente sensibile, appare piatta e priva di sfumature la direzione di Gianluigi Gelmetti, che opta per una lettura filologica ripristinando i tagli, di cui francamente non si sentiva la mancanza, ma sceglie stacchi ritmici rossiniani e imprime all’esecuzione un passo “di corsa alla bersagliera” assai insidioso per l’equilibrio buca-palcoscenico.
Nel ruolo della protagonista il soprano palermitano Jessica Nuccio ha dalla sua la giovane età e il physique du role, ma la sua è una Violetta alquanto acerba, uniforme nella caratterizzazione e di scarso appeal scenico, resa vocalmente con impeto, anche se supportata da una tecnica ancora da perfezionare. Il timbro è pulito e non mancano gli acuti, ma il centro è tutto da costruire, così come la dizione, indispensabile per rendere al meglio il variegato fraseggio che la parte richiede. Non sono tuttavia mancati alcuni momenti significativi come l’intenso “Addio del passato” sfumato in un filato di gran pregio e, nel complesso, tutto l’ultimo atto risolto con più spiccata adesione emotiva. Sembrava un pesce fuor d’acqua il giovane tenore lituano Merunas Vitulskis, alle prese con un ruolo più croce che “delisssia” mentre ha ben figurato per peso vocale e caratterizzazione del personaggio il baritono ucraino Vitaliy Bilyy, molto applaudito anche a scena aperta dopo “Di Provenza il mar il suol” in virtù di un fa conclusivo tenuto a dismisura. Nei ranghi Anna Bordignon (Annina), Alessandro D’Acrissa (Gastone), Christian Starinieri (Barone Douphol), Dario Giorgelè (Marchese d’Obigny), Francesco Musinu (Dottor Grenvil); adeguati gli interventi di Dax Velenich (Giuseppe), Hektor Leka (domestico di Flora) e Giovanni Palumbo (un commissionario); scialba la Flora di Letizia Del Magro. Buona la prova  del coro, preparato da Paolo Vero e frizzante la coreografia creata da Valentina Escobar per torero e zingarelle.
Al termine vivo successo decretato dai prolungati e calorosi applausi del pubblico a  tutti gli interpreti. Foto Parenzan