Leonard Bernstein e Maria Callas

Leonard Bernstein e Maria Callas, due grandi artisti del panorama musicale e lirico del Novecento, quasi coetanei, essendo il direttore più anziano del grande soprano di cinque anni, incrociarono i loro destini e le loro carriere nel 1953, quasi per caso, in occasione di una Medea scaligera messa in scena in sostituzione del programmato Mitridate Eupatore di Alessandro Scarlatti che avrebbe dovuto essere diretto da Victor De Sabata il quale, ammalatosi, costrinse la direzione del Teatro a modificare la programmazione originaria. Si decise, allora, di mettere in scena l’opera di Luigi Cherubini, già interpretata dalla Callas con grande successo quello stesso anno a Firenze sotto la direzione di Vittorio Gui che, però, trattenuto da altri impegni di lavoro, non poté salire, in quest’occasione, sul podio del prestigioso teatro italiano. Si impose la necessità di trovare un direttore e a suggerire il nome di Bernstein fu, secondo alcuni, De Sabata, mentre secondo altri la stessa Callas che aveva sentito un suo concerto trasmesso alla radio. Chiamato quasi a ridosso della rappresentazione, il direttore americano studiò la partitura in appena cinque giorni  e durante le prove trovò un valido aiuto nella Callas, come si evince da quanto raccontato da Mario Medici in un articolo, Un té in Avenue Mendel, apparso su «Il Resto del Carlino» il 16 ottobre 1977, nel quale si legge che il mitico soprano, forte dell’esperienza della recente intepretazione dell’opera a Firenze, «si rivolgeva al primo oboe, ai violoncelli, diceva come dovevano suonare» quasi concertando. La rappresentazione di Medea il 10 dicembre 1953, tre giorni dopo l’inaugurazione della stagione scaligera che aveva visto come protagonista la Tebaldi nella Wally di Catalani, fu un evento che catalizzò l’attenzione di pubblico e critica  offuscando la prima ambrosiana. Al di là degli aneddoti, ad un’attenta analisi e soprattutto in considerazione della contemporanea prassi filologica, la concertazione di Bernstein desta qualche perplessità in quanto sembra che gli elementi belcantistici vengano sottomessi ad una visione fortemente tragica dell’opera di Cherubini, qui presentata nella versione ritmica italiana di Carlo Zangarini realizzata sull’edizione di Franz Paul Lachner che nel 1855 aveva sostituito i dialoghi recitati, tipici dell’opéra-comique, con recitativi accompagnati più vicini al mondo musicale di Spontini. Come spesso notato in altre incisioni operistiche del direttore statunitense, l’approccio appare molto personale tanto da sembrare che Bernstein “ricomponga” l’opera operando dei tagli qua e là secondo il proprio gusto. La scelta dei tempi, troppo veloci in alcuni casi come nell’aria di Glauce del primo atto (O amore, vieni a me) o troppo lenti come in quella di Neris del secondo (Solo un pianto), rientra nel suo personalissimo modo di leggere le partiture operistiche, al quale si inscrive anche la tendenza ad esasperare i contrasti dinamici. Ciò, se, da una parte, produce una forte drammatizzazione della partitura, dall’altra, la allontana dagli stili interpretativi dell’epoca in cui fu concepita. Alla sua concertazione, che comunque va contestualizzata in un periodo, come quello degli anni Cinquanta, lontano ancora dalle esecuzioni filologiche, va, però, dato il merito di aver reso viva,  grazie anche ad una Callas che giganteggia nel ruolo della protagonista, la partitura di Cherubini all’interno del quale si trovano perle come la bellissima melodia del fagotto che Bernstein fa ben emergere nell’aria di Neris del secondo atto.

Ancor più personale appare la concertazione de La Sonnambula  di Bellini, l’altra opera che Bernstein firmò con la Callas in un’edizione scaligera del 1955. Qui la volontà di ricomporre l’opera da parte di Bernstein appare molto più marcata rendendo discutibili alcune sue scelte. Se è apprezzabile la decisione di aprire parzialmente alcuni tagli come la ripetizione della cavatina di Lisa dell’atto primo (Tutto è gioia), ci si accorge facilmente che questa scelta non è dettata da alcun intento filologico ma sempre dall’intenzione di riscrivere l’opera seguendo il proprio gusto. A questo personale approccio si devono anche le scelte di non concludere le scene con l’accordo scritto da Bellini e di legarle direttamente alle successive o la realizzazione dell’accompagnamento armonico in uno degli interventi orchestrali nel recitativo della scena del sonnambulismo. Anche la scelta del tempi appare alquanto discutibile e non sempre coerente dal momento che, per esempio, si nota un incomprensibile tempo diverso per uno stesso passo, come l’episodio corale di collegamento (Di tua sorte avventurosa) all’interno della cabaletta (Sovra il sen la man ti posa), che, staccato inizialmente ad una velocità vertiginosa, è ripetuto in modo leggermente più lento nella coda della scena. In generale tutti i tempi rapidi  vengono staccati in modo troppo veloce creando anche qualche difficoltà ai cantanti e ai cori, mentre le sezioni liriche, spesso troppo lente,  in quest’incisione hanno il merito di esaltare la linea di canto della Callas, l’unica che riesce ad approfittare di quei tempi per dare ad ogni nota un peso e un colore che penetra nelle vene di chi ascolta.