“Lucia di Lammermoor” al Teatro dell’Opera di Roma

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2014/2015
“LUCIA DI LAMMERMOOR”
Dramma tragico in tre atti su libretto di Salvatore Cammarano, dal romanzo The Bride of Lammermoor di Walter Scotto.
Musica di Gaetano Donizetti
Lord Enrico Ashton MARCO CARIA
Lucia  JESSICA PRATT
Sir Edgardo di Ravenswood  STEFANO SECCO
Lord Arturo Bucklaw ALESSANDRO LIBERATORE
Raimondo Bidebant CARLO CIGNI
Alisa SIMGE BUYUKEDES
Normanno ANDREA GIOVANNINI
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Roberto Abbado Progetto di Luca Ronconi realizzato da Ugo Tessitore
Scene Margherita Palli
Costumi Gabriele Mayer
Luci Gianni Mantovanini
Nuovo allestimento
Roma, 08 aprile 2015
Spettacolo pensato per la regia di Luca Ronconi purtroppo recentemente scomparso e poi affidato alle cure dei suoi collaboratori per la realizzazione, questa Lucia di Lammermoor andata in scena al Teatro dell’Opera di Roma per la stagione in corso. La vicenda viene ambientata in un uno spazio spoglio, con una luce fredda e fissa che sembra evocare la dimensione manicomiale o comunque di un luogo di detenzione, forse un manicomio criminale nel quale si svolge tutta la storia, con la protagonista fin dall’inizio evidente preda della follia. Le scene assolutamente vuote e monocrome congelano tutta la narrazione intorno a questa tematica, privandola di ogni sviluppo narrativo e di qualsiasi aspetto che aiuti a ritrovare il clima emotivo e culturale della vicenda o comunque a crearne uno quale che sia, anche inventato. In proposito lascia francamente perplessi quanto si legge nell’intervista alla curatrice delle scene pubblicata nel programma di sala: “non è detto che non ci siano rami ed arboscelli (che esistono nel libretto dell’opera) ma sono fuori dalla visuale”. Erano stati messi fuori scena per la gioia dello sguardo dei macchinisti oppure ci troviamo senza saperlo in una nuova versione della fiaba degli abiti nuovi dell’imperatore? Inoltre in più punti la scenografia era evidentemente sorda e creava problemi di ascolto dalla platea per cantanti che va detto non avevano voci dal volume scarso. Prescindendo da valutazioni di gusto e di scelte interpretative sulle quali la discussione può restare ovviamente apertissima, questo crediamo che rappresenti un palese errore tecnico, non raro negli allestimenti odierni basati soprattutto sull’aspetto visivo, al quale si sarebbe potuto facilmente ovviare evitando di collocare gli interpreti in determinate posizioni, valga per tutti il caso di Normanno all’inizio dell’opera. Fracassona e perennemente concitata, in una agitazione tanto monotona quanto alla fine poco espressiva la direzione di Roberto Abbado che in diversi momenti ha coperto le voci, perso il contatto con il coro e sacrificato i respiri dei cantanti e della melodia donizettiana. L’opera è stata eseguita pressoché nella sua completezza priva dei consueti tagli di tradizione e con la scena della pazzia, la parte evidentemente più curata e va riconosciuto senza dubbio riuscita della serata, accompagnata dall’armonica a bicchieri con un effetto di singolare fascino. Buona la prova del coro.
E veniamo agli interpreti vocali. Protagonista della serata nel ruolo eponimo il soprano Jessica Pratt che ha cantato la parte con voce molto bella e ben modulata nell’ottava superiore, sopracuti luminosi e sicuri ma un settore grave praticamente inconsistente. La eccessiva ricerca di calligrafismi unita alla disuguaglianza di volume dei vari registri crea qualche problema nella resa della continuità della linea musicale ma la sua capacità di sfumare il suono a qualsiasi altezza unite ad una precisione nella coloratura e nella realizzazione delle variazioni di tradizione, le consentono di costruire una scena della pazzia di tutto rispetto e emozionante all’ascolto. Certo appare difficile individuare il volto e definire lo sviluppo psicologico di questa Lucia che si inscrive nella tradizione dei soprani leggeri, resa un po’ troppo uniforme e monocorde dalla scelta registica di porre in evidenza l’aspetto follia fin dall’inizio dell’opera e da un timbro vocale che seppure molto gradevole non risulta troppo personale e chiaramente identificabile. Difficile giudicare la prova del tenore Stefano Secco colto probabilmente in una serata poco felice. Nonostante una notevole fatica vocale è tuttavia riuscito a dominare la parte con generosità espressiva ed apprezzabili intenzioni musicali. Risulta però a tratti complicato ritrovare in questo Edgardo con la giacchetta da bravo ragazzo di buoni sentimenti, innamorato e malinconico, il bel tenebroso eroe byroniano che uccide un toro per salvare l’amata, sfida l’ordine costituito e un intero clan avverso riunito piombando da solo nel bel mezzo della cerimonia nuziale, temerario, appassionato ed intrepido come la storia e la scrittura vocale vorrebbero. Ma anche qui crediamo si tratti di aspetti legati a scelte di regia che probabilmente poco hanno a che vedere con l’interprete. Buona la prova del baritono Marco Caria dalla voce bella ed ampia, disinvolto scenicamente, anche lui un po’ a senso unico ma sostanzialmente efficace nella caratterizzazione della parte di Enrico. Ottimo il basso Carlo Cigni per ampiezza vocale, senso della parola soprattutto nei numerosi, brevi e significativi interventi di cui è disseminata la parte e per la nobile linea di canto nelle arie. Incolore vocalmente l’Alisa di Simge Buyukedes travestita da cattiva suora carceriera e bravo Andrea Giovannini nella parte di Normanno penalizzato in maniera evidente all’inizio dell’opera come già accennato dalla collocazione voluta dalla regia. Alla fine applausi non travolgenti ma calorosi per tutti. Si resta però con la sensazione che forse la memoria di Luca Ronconi che, sia piaciuto o meno è stato indiscutibilmente un significativo protagonista della vita teatrale degli ultimi decenni, poteva essere onorata in modo un pò più appropriato. Foto Yasuko Kageyama