Macerata Opera Festival 2016: “Norma”

Macerata Opera Festival, Arena Sferisterio Stagione Lirica 2016
“NORMA”
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani, dalla tragedia L’infanticide di Alexandre Soumet
Musica di Vincenzo Bellini
Oroveso, capo dei druidi NICOLA ULIVIERI
Norma, druidessa, sua figlia MARIA JOSÈ SIRI
Pollione, proconsole romano nelle Gallie RUBENS PELLIZZARI
Adalgisa, druidessa SONIA GANASSI
Flavio, romano amico di Pollione MANUEL PIERATTELLI
Clotilde, ancella di Norma ROSANNA LO GRECO
Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Complesso di palcoscenico banda “Salvadei”
Direttore Michele Gamba  
Maestro del Coro Carlo Morganti  
Regia Luigi di Gangi e Ugo Giacomazzi
Scene Federica Parolini
Costumi Daniela Cernigliano
Luci Luigi Biondi
Coproduzione con la Fondazione Teatro Massimo di Palermo
Macerata, 29 Luglio 2016 

 “Se la magia dell’arte/usa l’arcobaleno/l’arte della magia/sceglie tra il bianco e il nero/è gioco e diceria/ma anche acrobazia/sul filo del mistero/teso tra terra e cielo”(Maria Lai,1997)

Secondo titolo della stagione lirica del Macerata Opera Festival è la Norma di Vincenzo Bellini. Nell’ampio spazio scenico dell’arena sferisterio si ergono sul fondale di mattoni delle grandi intelaiature che reggono un ordito irregolare fatto di reti e brandelli di tessuto a descrivere le forme di un paesaggio claustrofobico e primitivo nel quale campeggiano dei cerchi lunari, alcuni di tessuto, altri formati da tubolari di neon. Sui lati vi sono il “Totem” del Dio Irminsul, Dio della Guerra e principio maschile, dal quale si diparte un filo rosso che si solleva fino a raggiungere sul lato opposto una Luna anch’essa reticolata come parte dello sfondo, divinità femminile ispiratrice di pace. Il filo è l’espressione di un dialogo e di un equilibrio fra queste divinità di cui è custode Norma e proiezione dei tumulti interiori della stessa sacerdotessa. La scenografia di Federica Parolini è ispirata al lavoro della scomparsa artista sarda Maria Lai che, citata espressamente nell’intreccio delle reti e nel filo, appare come la vera autrice di una grande parte dell’assetto simbolico-espressivo della struttura scenica. La resa dell’impianto acquista via via sempre più senso nel dipanarsi della storia allorchè in un atto di “creazione teatrale” il simbolo diventa vivo significato, accogliendo nel suo ordito interrotto e frammentario, onnipresente e dominante, l’intreccio delle vite e delle passioni dei protagonisti. Nelle leggende tanto care a Maria Lai la sacerdotessa/druida sarebbe forse una “Janas”, una di quelle fate “create da un Dio distratto” che mette in mano agli uomini un pezzo di universo perché lo riconoscano e “perché non fugga via”.Nella regia di Luigi di Gangi e Ugo Giacomazzi, due artisti siciliani fondatori del gruppo Teatri Alchemici, le reti di Maria Lai diventano così il simbolo di un destino di morte nel quale si impigliano i desideri e le passioni travolgenti dei personaggi. Un destino ineluttabile per nascita o ruolo sociale. Nonostante la potenza visiva dell’artista sarda, questa realizzazione appare però alle volte insufficiente per il suo scarso dinamismo che non risponde alla ricchezza e alla versatilità musicale di Bellini. Anche i movimenti scenici peccano alle volte di eccessiva staticità; il coro costituisce a tratti una massa ingombrante che si congela in “tableaux vivants” fin troppo di maniera. La gestualità degli artisti, lungi dall’essere ieratica come era forse nell’intenzione registica, altresì è spesso approssimativa, enfatica ed un po’ artificiosa. Tuttavia risultano apprezzabili alcuni momenti di raggiante intensità emotiva, come ad esempio nella scena (I Atto, Scena VII) nella quale Norma confessa a Clotilde l’ambiguità dei suoi sentimenti per i fanciulli nati dall’amore sacrilego con il romano Pollione. Anche nel duetto “Oh Rimembranza” con bella intuizione la regia rappresenta le due sacerdotesse in modo tale da dare l’impressione che rivivano l’innamoramento con una sequenza di gesti speculari, eco visivo di una stessa emozione che entrambe, una all’insaputa dell’altra, hanno provato per lo stesso uomo.I costumi di Daniela Cermigliano sono realizzati in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Palermo e utilizzano oltre 5000 metri di cordini, fettucce, tessuti tagliati e lavorati a mano e intrecciati su telaio da un gruppo di nove studenti mentre gli intrecci dei costumi dei guerrieri sono realizzati con le corde dismesse della graticcia del teatro Massimo. Le luci di Luigi Biondi basate su cromatismi primari, creano una certa profondità descrittiva giovando con i semplici volumi scenografici.
Buona la prestazione del giovane direttore d’orchestra Michele Gamba che sa far fraseggiare bene l’orchestra Regionale delle Marche su sonorità luminose e all’occorrenza è capace di illanguidire i suoni donando alla partitura una tinta espressiva di misurata leggerezza. Se non fosse alle volte per tempi fin troppo esagerati, potremmo definire la sua una lettura “non filologica” ma davvero ispirata (se filologico vuol dire “secco” o  “di suono aspro o asprigno”). Maria Jose Siri è  una Norma  credibile e di effetto nonostante il teatro avesse annunciato che il soprano fosse stata colpito da un’ indisposizione prima della sua uscita. Non si può dire che non possegga una voce nel complesso sana e robusta supportata da una tecnica affidabile e sicura. Il gioco delle mezzevoci è condotto attendibilmente mentre taluni acuti, messi alla frusta dalla tessitura, risultano forzati  e faticosi. L’abilità e la sua capacità di interprete sopperiscono comunque a queste mancanze grazie ad un fraseggio abbastanza vario, a buone intenzioni, a una certa partecipazione interpretativ. Rubens Pellizzari è un Pollione credibile e possiede una voce importante se molto spesso non la spingesse fino a squadrare in alcuni momenti la linea vocale. Emerge altresì in qualche passaggio con note squillanti regalando al suo bel timbro quei colori e quelle sfumature che rendono la sua interpretazione di assoluto pregio. Sonia Ganassi sfoggia nel ruolo di Adalgisa mezzi vocali di tutto rispetto e padronanza della tessitura; i questa fase della sua carriera si nota un non sempre facile controllo della linea di canto belcantista. È evidente una capacità attoriale di gusto e gestualità che non è  mai caricata e/o risulta sopra le righe.
Nicola Ulivieri (Oroveso) è ammirevole per la bella vocalità non  ridondante ma suadente nel chiaroscuro e nel fraseggio che usa con grande naturalezza senza sforzo alcuno e privandolo di quella convenzionalità e compiacenza che spesso emerge in altri interpreti. Professionali Manuel Pierattelli (Flavio) e Rosanna Lo Greco (Clotilde). Buona la prova del coro lirico marchigiano “Vincenzo Bellini” che, diretto dal maestro Carlo Morganti, è apparso imponente e severo seppur ogni tanto inficiato da qualche asprezza. Arena gremitissima e applausi per tutti gli interpreti e il direttore.
A Febbraio la produzione si sposterà al Teatro Massimo di Palermo con Mariella Devia nel  ruolo di Norma. Foto Tabocchini