Macerata Opera Festival 2012:”Carmen”

Macerata, Arena Sferisterio, 48° Stagione Lirica Macerata Opera Festival
“CARMEN”
Opéra-comique in quattro atti, libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy dalla novella omonima di Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet
Don José ROBERTO ARONICA
Escamillo GEZIM MYSHKETA
Le Dancaïre ALESSANDRO BATTIATO
Le Remendado STEFANO FERRARI
Moralès DANIELE PISCOPO
Zuniga PIETRO TOSCANO
Carmen VERONICA SIMEONI
Micaëla ALESSANDRA MARIANELLI
Frasquita PERVIN CHAQUAR
Mercédès GABRIELLA SBORGI
Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
Coro Lirico marchigiano “V.Bellini”
Banda “Salvadei” Città di Macerata
Direttore Dominique Trottein
Maestro del Coro David Crescenzi
Regia Serena Sinigaglia
Scene Maria Spazzi
Costumi  Federica Ponissi
Coreografie Michela Lucenti
Luci Alessandro Verazzi
Nuovo allestimento Macerata Opera Festival 2012
Macerata, 22 Luglio 2012

Un preannunciato gelo e condizioni atmosferiche altalenanti hanno indubbiamente condizionato atmosfere e prestazioni del terzo titolo in cartellone del Macerata Opera Festival, Carmen di Georges Bizet. Nonostante alcune interruzioni, la pioggia ha decretato la precoce fine dello spettacolo, privandoci dell’intero quarto atto e deludendo i già pochissimi superstiti dell’arena bagnati e infreddoliti da temperature fuori stagione.
Dominava la scena la struttura murale dell’arena, spogliata  da qualsiasi sovrastruttura. Alcune piccole bandierine rosse che fluttuavano su tiranti d’acciaio campeggiavano sul palco ricoperto qua  e là da mucchietti di segatura e pattume posticcio che rimandavano ad una desolata periferia metropolitana non ben identificata. Cassette di bevande in plastica e transenne arrugginite erano gli unici elementi in movimento che disegnavano labirinti e spazi in cui si muovevano i cantanti/attori in scena. Uno spettacolo al risparmio, ma grazie all’impianto scenografico di Maria Spazzi con un senso più che evidente.
Ci troviamo sin da subito di fronte ad uno di quegli allestimenti  che non ha mezze misure: piace o non piace. Siamo nel 2000, gli zingari sono i Rom delle nostre strade, le bottiglie di birra sostituiscono le  nacchere e buste di plastica della spazzatura contengono vestiti o bottini di saccheggio. Pattuglie di militari vestiti di nero cercano in ogni modo di sedare le rivolte e l’esuberanza criminale dei Rom capeggiati dalla mascolina e tatuata Carmen che con il suo cellulare gestisce il suo clan con un potere a dir poco totalitario. Serena Sinigaglia, cesella un lavoro registico assolutamente degno del miglior  teatro di prosa, sempre attenta ad ogni piccola sfumatura e importanza del gesto, ma non troviamo nella protagonista alcuna sensualità e carnalità. La sua Carmen non è, come da lei asserito in conferenza stampa irresistibile, non possiede un grandissimo  carisma e non ha nessuna  capacità seduttiva innata o per lo meno, se si dovesse ravvedere, sembra quasi rivolta  al sesso femminile che a quello maschile. Certo è una zingara puttana e ladra, bugiarda e manipolatrice, ma anche terribilmente assoggettata ad uno stereotipo maschile di potere e dominanza che cerca di scimmiottare senza successo. Don Josè, che la regia vorrebbe  violento e mentalmente disturbato, sembra in verità un povero infelice, vittima delle turbe materne e carico di problemi irrisolti con il femminino in generale. Micaela è una specie di stagista repressa che vaga in scena con una sorta di bacino lustrale seguita da un  corteo di nere prefiche capeggiato dall’immagine di una tremula e storpia mamma di Don Josè. Nel complesso ci sarebbe un senso, se non fosse forse tutto un po’ troppo esagerato, quasi maniacale. Da segnalare poi su tutti la perenne figura di un ubriaco Lillas Pastia sempre in scena anche in momenti di assolo dei cantanti con forte disagio per loro e per il pubblico. Interessanti le allegre coreografie di Michela Lucenti e le funzionali luci di Alessandro Verazzi. Costumi di Federica Ponissi in linea con la regia.
Dominique Troitten dirigeva la Fondazione Orchestra Regionale delle Marche con professionalità e con il giusto gesto, sempre attento all’incisività di ogni frase ma con la giusta morbidezza ed il livore in alcuni passaggi più drammatici. Alle volte un maggior trasporto avrebbe emozionato maggiormente, ma la sua una direzione nel complesso più che buona.
Come doverosa premessa va ricordato che  le condizioni climatiche hanno tenuto gli artisti sempre in tensione per cui il risultato finale è stato sicuramente inficiato da cause più che oggettive.
Veronica Simeoni, che sostituiva la neo mamma Ketevan Kemoklidze, era Carmen. La sua una prestazione più che corretta, sebbene alle volte, forse per le condizioni climatiche non certo favorevoli, fosse sin troppo attenta a concedersi vocalmente, quasi intimorita, dando così nell’insieme l’idea di una interpretazione un po’ troppo scolastica. Scenicamente sembrava poi  poco coinvolta quasi in lotta con se stessa tra la sua idea del personaggio e quello della regia assolutamente poco canonico.
Dopo quindici anni d’assenza dal palco dello Sferisterio Roberto Aronica interpretava un Don Josè sanguigno, virile e vocalmente quasi sempre corretto. L’esperienza ed il suo indiscusso carisma hanno piegato  le difficoltà climatiche, regalando al pubblico una recita degna della sua fama. Il suo un canto scandito, generoso e sempre ben proiettato ed anche quando mancava alle volte di fibra riusciva sempre con grandissima professionalità a regalare ad un difetto un accento interpretativo. Se dovessimo trovare qualche nota incerta certo sarebbe il suo francese, assolutamente perfettibile, ma tutto si perdona ad una voce così baciata dalla grazia.
Escamillo era Gezim Myshketa: la sua sembrerebbe una voce importante, ma quasi sempre poco proiettata, opaca e dai pochi colori. Scenicamente ha risolto con molta disinvoltura l’aria del Toreador, ma forse l’emozione ed il gelo hanno pesato su di lui più che su altri inficiando l’intera sua prestazione. Occasioni più favorevoli permetteranno sicuramente di ascoltarlo al meglio dandogli la possibilità di potersi riscattare.
Abbastanza deludente la Micaela della giovane Alessandra Marianelli un soprano forse sin troppo leggero per la partitura, che ha tentato in ogni modo ed artificiosamente di dare spessore al suo canto generando però nel registro centrale fastidiosissimi  suoni vibrati ed in quello acuto suoni troppo aperti, che hanno impoverito  una linea di canto in verità più che dignitosa. Fragile ed insicura anche scenicamente, non è stata certo aiutata da un vestitino di pizzo, una  borsetta da mercatino rionale e quel crocifisso al collo di esagerate proporzioni.
Pervin Chakar era una Frasquita dalla voce da “soubrette” anche sin troppo presente, tanto da sembrare  persino  in alcuni momenti fastidiosa e Gabriella Sborgi una Mercedes apprezzabile. Scenicamente comunque assolutamente calate nella parte e perfette nella cornice registica dell’intero spettacolo.
Completavano il cast Pietro Toscano (Zuniga), Daniele Piscopo (Morales), Stefano Ferrari (Remendado) ed Alessandro Battiato (Dancaïro).
Sferisterio in verità sin dall’inizio con un pubblico di pochi coraggiosi ed impavidi e con la fine dell’opera al quarto atto senza alcun applauso, ma con tanta pioggia su tutti. Foto Alfredo Tabocchini.