Mahler inaugura le stagioni sinfoniche di Madrid

G. Mahler, Sinfonia n. 2 Resurrezione

Madrid, Auditorio Nacional de Música
Orquesta y Coro Nacionales de España – Temporada 15/16 Malditos
Orquesta y Coro Nacionales de España
Direttore David Afkham
Maestro del coro Miguel Angel García Cañamero
Soprano Kate Royal
Contralto Christianne Stotijn
Gustav Mahler : Sinfonia n. 2 in do minore “Resurrezione”, per soli, coro e orchestra (su testi tratti da Des knaben Wunderhorn [Urlicht] e F. G. Klopstock [Die Auferstehung])
Madrid, 19 settembre 2015

L’affermazione che agli albori del XXI secolo le sinfonie di Mahler abbiano rimpiazzato quelle di Beethoven nella frequenza del repertorio internazionale, e soprattutto nel gusto del pubblico, non è più soltanto un’aspirazione intellettualistica, o peggio una boutade snobistica. A riprova della straordinaria attualità del compositore boemo – che comunque conta ancora un buon numero di detrattori anche tra musicologi e direttori d’orchestra – può valere la cronaca musicale di Madrid dell’ultima settimana. Si sono inaugurate nello stesso luogo (Auditorio Nacional de Música) tre stagioni sinfoniche di grande importanza: Fundación Ibermúsica (ospite l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino), Orquesta y Coro Nacionales de España (OCNE), Orquesta y Coro de la Comunidad de Madrid (OCM), e in tutti i rispettivi programmi dominava il nome di Mahler. Addirittura, la III Sinfonia è stata proposta in due diverse interpretazioni nello spazio di cinque giorni: prima dalla bacchetta di Zubin Mehta per la prestigiosa serie Barbieri di Ibermúsica, poi da Victor Pablo Pérez per la OCM. L’altra sinfonia era la II, con cui il trentatreenne David Afkham ha avviato il suo periodo di guida dell’Orquesta Nacional de España, il più importante complesso sinfonico iberico, in qualità di direttore stabile.
Per parafrasare lo stesso Mahler, ci si può chiedere se il suo tempo sia venuto; e parrebbe proprio di sì, anche in una capitale niente affatto mitteleuropea come Madrid, e in un anno ormai abbastanza lontano dal centenario della morte. Dei tre eventi musicali mahleriani appena trascorsi il più interessante è stato quello condotto dal direttore più giovane, anche perché ne segnava una sorta di battesimo ufficiale, e in grande stile; gli Spagnoli amano solennizzare le proprie iniziative culturali, tanto che l’inaugurazione della stagione OCNE 2015-2016 è pubblicizzata come “El comienzo de la era Afkham”; addirittura una nuova era, che ha per protagonista un direttore tedesco nato a Freiburg im Breisgau nel 1983! Mahler e gioventù, dunque: un abbinamento consolidato, anche perché divenuto assai di moda in tutta Europa … E poi l’ufficio comunicativo della OCNE è alla ricerca di un pubblico nuovo e giovane, tanto da proporre l’intera stagione con il sottotitolo provocatorio e tenebroso “Malditos”. Bisogna dire subito, però, che nel caso di Afkham tutto funziona molto bene: egli ha un gesto sicurissimo e guida con destrezza l’orchestra, tanto che per l’intera durata della sinfonia non si manifesta alcun cedimento di tensione o di attenzione nella lettura della complessa ed eterogenea partitura. Dalla postura, dal porgere, dal modo di relazionarsi trapela una qualità molto positiva e fruttuosa, che raramente è dato cogliere in direttori d’orchestra così giovani: l’umiltà. Se quel che si vede è estremamente sobrio e misurato, quel che si ascolta è un equilibrio molto convincente di dinamiche, di scelte ritmiche, di sonorità e di contributo interpretativo; il tempo è gestito in modo fluido e senza alcuna rigidità, funzionalmente al risultato emotivo del discorso musicale. Per questo Afkham accentua i contrasti all’interno di ogni movimento, conferendo per esempio squillo bruckneriano agli interventi degli ottoni nell’iniziale Allegro maestoso (mit durchaus ernstem und feierlich Ausdruck), ma anche palpitante passione al flauto in dialogo con il violino. Nel II movimento (Andante moderato. Sehr gemächlich. Nie eilen) per mezzo di marcate acciaccature e di portamenti degli archi è accentuata la morbidezza settecentesca del minuetto che Mahler colloca in apertura, tanto che l’intera pagina risuona ballettistica, chaykovskijana. Parimenti risalta con buona evidenza il capolavoro di Mahler all’altezza dello scherzo (In ruhig fliessender Bewegung): il grottesco innesto di una rivisitazione del tema del Dies irae sullo schema di base del valzer. Ma il direttore non punta eccessivamente sull’effetto grottesco; anzi, intende giungere alla prima enunciazione del tema corale della resurrezione con una certa cautela, con una ricercata leggerezza delle sonorità, interpretando così lo spirito puramente propedeutico dello scherzo stesso (la cui indicazione principale è infatti di movimento “tranquillo e fluido”). Il problema interpretativo fondamentale della sinfonia Resurrezione (come anche della V o dell’VIII) è la presentazione di un percorso unitario, in cui i diversi movimenti non appaiano troppo disparati o del tutto scollegati tra loro; Afkham tenta la via degli accorgimenti coloristici reperibili in ciascun segmento, come per esempio gli interventi dell’arpa in clausola di grandi blocchi discorsivi. In questo puntuale lavoro l’orchestra gli risponde quasi sempre in modo soddisfacente, anche se taluni ottoni nella seconda metà dell’esecuzione accusano un po’ di stanchezza.
Nella Urlicht (Sehr feierlich aber schlicht. Choralmässig) è protagonista la voce del contralto Christianne Stotijn, che purtroppo non è molto ricca di armonici, e incentra il fraseggio su di un tremulo diffuso. Il timbro brunito del soprano Kate Royal campeggia invece nel finale (Im Tempo des Scherzo. Wild herausfahrend), in dialogo con l’impeccabile Coro Nacional de España, istruito da Miguel Angel García Cañamero. Con l’ultimo duetto vocale rientrano sul palco anche gli otto elementi della banda di ottoni fuori scena, e l’organista siede sullo scranno del poderoso strumento dell’Auditorio Nacional de Música per un finale semplicemente grandioso, cui segue un’interminabile ovazione da parte dell’attento pubblico di Madrid. Ma il momento più bello da ricordare è senz’altro il culmine strumentale che precede l’ingresso delle voci, quando il direttore fa sfolgorare ogni suono, accrescendo progressivamente i volumi e la luminosità di tutte le famiglie orchestrali. La convinzione della resurrezione è prima di tutto espressa dalla musica pura.