Martina Franca, Festival della Valle d’Itria 2015: “Medea in Corinto

Martina Franca, Palazzo Ducale
“MEDEA IN CORINTO”
Melodramma tragico in due atti, libretto di Felice Romani
Musica di Giovanni Simone Mayr 
Creonte ROBERTO LORENZI
Egeo ENEA SCALA
Medea DAVINIA RODRIGUEZ
Giasone MICHAEL SPYRES
Creusa MIHAELA MARCU
Evandro PAOLO CAUTERUCCIO
Ismene NOZOMI KATO
Tideo MARCO STEFANI
Orchestra Internazionale d’Italia
Coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca
Direttore Fabio Luisi
Maestro del Coro Cornel Groza
Regia Benedetto Sicca
Scene Maria Paola di Francesco
Costumi Tommaso Lagattolla
Disegno luci Marco Giusti
Costumi Tommaso Lagattolla
Coreografie: Riccardo Olivier
Danzatori Fattoria Vittadini: Chiara Ameglio, Cesare Benedetti    
Martina Franca, 30 luglio 2015
L’Opera
Le prime riprese assolute in tempi moderni di titoli rari del melodramma hanno caratterizzato il Festival della valle d’Itria da decenni. Con la Medea in Corinto di Mayr, gratificata in tempi recenti (2010) di una terza incisione discografica, la sfida del festival diventa quella di far sì che queste preziose opere del passato non rivivano soltanto in isolati e sporadici ripescaggi ma incomincino ad avere una rosa di diverse soluzioni interpretative per essere più volte rigustate. E di gusto davvero si può parlare in riferimento alla ricchissima partitura mayriana che rappresenta uno dei migliori esiti dell’operismo neoclassico. Il dotto ed eclettico Mayr, bavarese italianizzato, usò la scrittura dei classici viennesi, Mozart sopra tutti, come palestra formativa per uno stile che poi si coniugò con le esigenze della drammaturgia romantica. Non a caso Mayr, indirizzato alla carriera operistica a Venezia da Niccolò Piccinni, condivise con Rossini la fama al San Carlo di Napoli e, rientrato a Bergamo sua città di impiego e residenza fissi, addestrò l’allievo Donizetti, formando così una chiave di volta tra generazioni di operisti. Questa trasversalità stilistica (Piccinni-Mozart-Rossini-Donizetti) è un dato che non viene colto solo dall’esame critico dello storico ma che viene percepito di primo acchito dal frequentatore del teatro d’opera. Del Settecento piccinnian-mozartiano si sente ancora il lavoro di cesello concertante, di Rossini si anticipano congegni dinamici (il celeberrimo crescendo) e architetture formali (pezzi in più sezioni, uso innovativo del coro), di Donizetti si percepiscono il fraseggiare e il respiro melodico. Un’opera dunque densissima (tale fu percepita anche dai contemporanei) che è stata gestita in modo perfetto dalla bacchetta di Fabio Luisi, sicura e autorevole nel guidare l’eccellente Orchestra Internazionale d’Italia senza la minima sbavatura negli stacchi di tempo, nelle scelte agogiche e nel dosaggio timbrico.
La regia di Benedetto Sicca, che nelle note del programma di sala confessa la sua formazione classica e il suo amore per il mito di Medea, si è dimostrata di particolare intensità espressiva soprattutto per la scelta di affidare le parti dei figli di Medea a due danzatori quasi sempre attivi in scena. L’ubiqua presenza dei figli (non solo di Medea ma anche di Egeo e degli abitanti di Corinto) ha dato infatti rilievo al tema di fondo di questa regia: le contraddizioni che lacerano famiglie mancate e tuttavia intrecciate in chiasmi, famiglie ribaltate (come le immagini riflesse dei cantanti proiettate sulla parete del cortile di palazzo ducale), famiglie infrante (simboleggiate dall’enorme crepa che spaccava il piano inclinato dove aveva luogo l’azione scenica). Uguale intensità avevano le scene di Maria Paola di Francesco: all’inizio dell’opera sul palcoscenico trovava posto un prato fiorito di papaveri, luogo simbolico del palazzo di Corinto ma anche segno ora di una felicità regressa e perduta, ora di un mondo ferino dove Medea può raccogliere gli ingredienti della sua magia. A poco a poco questo prato veniva risucchiato nella voragine centrale (a onor del vero si poteva evitare di spostarlo proprio durante l’aria di Creusa accompagnata dall’arpa perché gli inevitabili rumori disturbavano l’ascolto di quel momento di pura bellezza) lasciando allo sguardo dello spettatore uno spazio algido composto da specchi, lo spazio essiccato dal desiderio di vendetta. Come sempre raffinatissimi per taglio e scelte cromatiche i costumi di Tommaso Lagattolla che da soli riescono a tracciare i diversi ritratti psicologici dei personaggi con elementi simili: il busto di Creusa era esaltato da un corpetto che ne evidenziava la sensualità, quello di Medea era avvinghiato da fasce ben adeguate a una sorta di maga donna-serpente vittima delle sue stesse spire nere. Nel 1813 Giasone e Egeo furono interpretati da Andrea Nozzari e Manuel Garcia, due dei più celebri tenori di tutti i tempi; il primo aveva grande estensione (dal La1 bemolle fino al Re4) il secondo si manteneva su una tessitura più centrale. Le bellissime voci di Michael Spyres e di Enea Scala sembravano davvero ricreare quelle dei due cantanti ottocenteschi conservandone le peculiarità di colore e di grana. Notevole la lunghezza di fiato di Spyres e l’uguaglianza tra registri come pure la ricchezza degli armonici. Di Scala si è apprezzata la morbidezza di emissione anche se, rispetto all’Egeo del 1813 («bellicoso per indole e fierissimo»), ci si sarebbe aspettato in molti punti un più consistente volume sonoro. Davinia Rodriguez, cui spettava l’arduo compito di interpretare una parte scritta per Isabella Colbran, purtroppo in varie occasioni era in palese difficoltà. La sua voce molto bella negli acuti altrettanto non lo era nei gravi, che tanta parte hanno in Medea, e quindi  faticava  a proiettarsi. Un vero peccato perché per presenza scenica ed espressività attoriale la Rodriguez ha dato prova di grande maturità. Buona la Creusa di Mihaela Marcu (non sempre precisa ritmicamente) che ha brillato nella deliziosa aria con arpa concertante. Buono per volume e colore il Creonte di Roberto Lorenzi, corretto l’Evandro di Paolo Cauteruccio e molto convincente l’Ismene di Nozomi Kato, allieva dell’accademia Celletti. Ancora immaturo il Tideo di Marco Stefani. Ottima la prova del coro della Filarmonica di Stato Transilvania di Cluj-Napoca che sotto la direzione di Luisi ha fatto conoscere ulteriori doti nella precisione d’attacco, compattezza, equilibrio sonoro. Foto Paolo Conserva