Venezia, Teatro La Fenice: Diego Matheuz e Leonardo Pierdomenico in concerto

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione sinfonica 2012-2013
Matheuz “pasionario” alla Fenice
Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia.
Direttore Diego Matheuz
Pianoforte Leonardo Pierdomenico (vincitore del Premio Venezia 2011)
Maurice Ravel: “Pavane pour une infante défunte” per piccola orchestra.
Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto per pianoforte e orchestra n. 20 in re minore KV 466.
Pëtr Il’icˇ Čajkovskij: Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 “Patetica”
Venezia, 7 ottobre 2012
Teatro La Fenice praticamente esaurito per ascoltare il concerto inaugurale della stagione sinfonica 2012/2013 nella replica di domenica 7 ottobre; sul podio Diego Matheuz, il ventottenne direttore principale dell’orchestra. Si tratta del primo dei cinque concerti, nel corso dei quali il giovane maestro venezuelano dirigerà, tra l’altro, il ciclo completo delle sinfonie di Čajkovskij.
Il programma comprendeva tre titoli di spicco, appartenenti a diverse temperie culturali, eppure accomunati da una più o meno accentuata e diffusa vena patetica: la versione orchestrale della Pavane pour une infante défunte di Maurice Ravel (1910), il Concerto per pianoforte e orchestra in re minore KV 466 di Wolfgang Amadeus Mozart (1785) e, nella seconda parte, la Sinfonia n. 6 in si minore op. 74, detta appunto Patetica, di Pëtr Il’ič Čajkovskij (1893).
Alla sensibilità fin de siècle  di Chabrier e alla rinata passione dei francesi per la musica ispanica, tramite autori come Albeniz e De Failla, si richiama la Pavane pour une infante défunte (Pavana per una giovane principessa defunta) del basco Maurice Ravel – composta per pianoforte a soli 24 anni nel 1899, e poi orchestrata nel 1910 – il cui esotismo non è solo geografico ma anche storico. La composizione  raveliana ha una struttura e un’armonia molto semplici. Suddivisa in quattro parti secondo lo schema, dell’antica pavana (ABACA, dove B e C contengono un tema molto simile), le sue armonie sono vuote spesso per la mancanza della terza. Un lavoro giovanile, che nondimeno rivela già alcuni tratti del Ravel più maturo: dal raffinato gusto timbrico, all’economia di mezzi, alla linea sinuosa della melodia. Si tratta di un capolavoro di fattura delicatissima, ma a questo riguardo occorre dire che il pur talentuoso Matheuz, insieme ai suoi strumentisti, non è riuscito del tutto a rendere la grazia e leggerezza su cui si regge questo brano: il corno nell’esporre il primo tema ha fatto sentire una sonorità poco elegante (il famigerato “puà-puà-puà”, per intendersi), rendendo il tutto davvero goffo. Pesante l’oboe nel secondo tema su una soave trina degli  archi.  Migliori  i passaggi d’insieme, ma la sonorità non era sempre adeguata alla discreta mestizia della composizione.
Composto in un periodo in cui il grande salisburghese era molto apprezzato a Vienna anche come solista di pianoforte, il Concerto per pianoforte e orchestra n. 20 in re minore KV 466 è da molti considerato un trait d’union tra classicismo e romanticismo, un’opera che per certi versi evocherebbe atmosfere da Sturm und Drang. In realtà si tratta di un esito sublime dell’arte mozartiana, in cui oscure inquietudini e tristi presagi, preannunciati dal minaccioso inciso iniziale, si alternano a momenti più sereni e giocosi, per culminare nell’impetuoso Allegro assai conclusivo, che costituisce una sorta di catarsi finale. Ebbene, l’esecuzione del giovanissimo Leonardo Pierdomenico, complice il direttore, ci è parsa indulgere poco ad una sensiblérie, per così dire, preromantica: sicuro negli attacchi, il vincitore del premio Venezia si è fatto apprezzare per la brillantezza perlacea del tocco e per una ragguardevole mano sinistra, oltre che per un’impeccabile abilità nello sgranare scalette e volatine veloci. Il che si è rivelato senza mezzi termini nelle due cadenze. L’orchestra lo ha sempre assecondato con precisione e concordanza d’intenti espressivi. Entusiastico, dopo la conclusione, il saluto del pubblico, che ha avuto in premio un pregevole bis: il Momento musicale n. 5, op. 16 di Rachmaninov, eseguito con meditata tecnica e misurata espressività.
Il gesto appassionato e impetuoso, cui ormai ci ha abituato Matheuz, si è rivelato pienamente nella Sesta di Čajkovskij. Quando intraprese il suo sesto lavoro sinfonico, l’animo del compositore russo era molto probabilmente ossessionato da quegli stessi oscuri presagi di morte, che lo avrebbero assalito subito dopo la prima esecuzione della sinfonia, cui assegnò – accogliendo il suggerimento del fratello Modest – l’appellativo di “patetica”, a sottolinearne il carattere intimamente, tristemente autobiografico. Momento culminante della composizione è l’Adagio lamentoso-Andante, che il compositore volle porre come ultimo tempo di quello che sarebbe stato il suo il suo testamento spirituale, il suo estremo addio ad un mondo che avvertiva così insopportabilmente ostile. Poi l’acqua contaminata della Neva o, più probabilmente, un veleno pose fine ai suoi tormenti, lo sottrasse a tanti umilianti giudizi … L’interpretazione di Diego Matheuz ha certamente risentito dell’indole “pasionaria” del giovane artista. Essa si fondava su una lettura analitica della partitura, che sapeva coglierne i particolari, le sfumature, i contrasti, senza perdere generalmente l’insieme. Un’interpretazione certamente intensa, scevra da affettazione, ma talora esasperata nelle sonorità, eccessivamente poderose e poco amalgamate come si è sentito sia nel primo che nel terzo movimento, quest’ultimo eseguito con un ritmo troppo concitato, che sortiva effetti di marcia surreale. Anche nel secondo tempo, aperto da un magnifico amalgama dei violoncelli, l’agogica serrata e il suono troppo deciso hanno disperso l’atmosfera crepuscolare che dovrebbe, a nostro avviso, dominare in questa pagina, con risultati vagamente caricaturali. Il finale si è sviluppato partendo da un attacco deciso e, nelle intenzioni del direttore, ha assunto i caratteri di una consapevole, voluta, quasi voluttuosa, sfida di fronte alla Morte, senza indecisioni, senza sdolcinature o vittimismi, evocando un empito titanico, che peraltro, anche in questo caso, andava un po’ sopra le righe. Calorosi applausi hanno suggellato questo concerto inaugurale.