New York, Metropolitan Opera:”Das Rheingold”

New York, Metropolitan Opera, stagione lirica 2010/2011
“DAS RHEINGOLD”
(L’oro del Reno)
Vigilia dell'”Anello del Nibelungo” in quattro scene.
Libretto e musica di Richard Wagner
Wotan BRYN TERFEL
Donner DWYNE CROFT
Froh ADAM DIEGEL
Loge ARNOLD BEZUYEN
Fricka STEPHANIE BLYTHE
Freia WENDY BRYN HARMER
Erda PATRICIA BARDON
Alberich ERIC OWENS
Mime GERHARD SIEGEL
Fasolt FRANZ-JOSEF SELIG
Fafner HANS-PETER KOENIG
Woglinde JENNIFER JOHNSON
Wellgunde LISETTE OROPESA
Flosshilde TAMARA MUMFORD
Orchestra Metropolitan Opera
Direttore Fabio Luisi
Regia Robert Lepage
Scene Carl Fillion
Costumi Francois St-Aubin
Luci Etienne Boucher
Ripresa della nuova produzione del Met
New York, 4 aprile 2011
Il regista Robert Lepage ha concesso un’intervista esaustiva lo scorso autunno sul suo concetto dell’Anello. Egli ha passato molto tempo in Islanda e ha dichiarato che nessuno che abbia vissuto nella  terra d’Islanda per un qualsiasi periodo di tempo può dubitare dell’esistenza di gnomi, gicanti o divinità mitiche. Sentendolo parlare, è impossibile dubitare delle sue serietà e integrità.
Sfortunatamente, il meccanismo di scena di questa produzione (progettato da Carl Fillion), che consiste in gigantesche placche ondulanti, che si fondono in piani visivamente paradossali, à la Max Escher, sulle quali vengono proiettati effetti e luci complessi, generati dal computer, è sembrato sopraffare la serata. Solo la gigantesca partitura wagneriana è sembrata non soccombere a questa scenografia mostruosamente irrequieta.  Particolarmente dispersivi erano tutti i fin troppo visibili cavi ai quali erano sospesi i solisti, mentre si muovevano di lato pericolosamente e e alteravano le traiettorie attraverso i componenti della scenografia che erano disposti riprendendo le linee delle sedie a sbalzo.
Il pubblico ha applaudito e ridacchiato compiaciuto delle sirene del Reno che facevano capriole e del loro deridere Alberich, e di certo Wagner ne sarebbe stato lieto. Il dragone/dinosauro nel quale Mime si trasforma con l’aiuto di Tarnhelm è stato anche molto efficace.
Per quanto riguarda il cast, lo straordianrio Alberich di Eric Owens ha dominato lo spettacolo, anche se è sembrato stancarsi durante la maledizione finale. È una di quelle rare serate in cui Alberich è una presenza vocale e drammatica più potente di Wotan.  L’ammirevole interpretazione del dio di Bryn Terfel mancava del peso e della spinta della voce drammatica da basso-baritono per la quale questo ruolo è stato concepito.
Stephanie Blythe, una cantante che fa categoria a sé, ha lasciato fluire grandiose onde sonore, pur non riuscendo a catturare personaggio dittatoriale di Fricka, mentre si dispera per il destino di sua sorella Freia (cantata con potenza d’acciaio dal soprano Wendy Bryn Harmer), che viene trattenuta come anticipo dai giganti Fafner e Fasolt per la loro costruzione del Valhalla.  La Blythe è sembrata modellare la sua espressione vocale in base alle curve superficiali della linea di canto di Fricka, e non sul testo sotteso. Straordinariamente ben cantata, la sua intepretazione però sembrava mancare di comprensione drammatica del personaggio.
D’altro canto, i veterani di Bayreuth Gerhard Siegel (Mime) e Hans-Peter Koenig (Fafner) hanno incarnato i propri ruoli in modo tale da far dimenticare l’intepretazione vocale. Hanno cantato i loro ruoli perfettamente all’unisono con il testo, una vocalità poderosa e intenzioni drammatiche. L’interpetazione minacciosa, dalle sfumature cupe di Patricia Bardon del “Weiche Wotan” di Erda è stata il punto più alto della serata per lo scrivente.
Un altro veterano di Bayreuth, Arnold Bezuyen, ha catturato l’essenza di Loge,in parte diplomatico calcolatore, in parte avvocato disonesto, benché avolte si fosse distratti e preoccupati per lui, mentre scivolava giù per e risaliva la scenografia vertiginosamente spigolosa. Legato da un cavo, la sua libertà di gesticolare e recitare col corpo era gravemente inibita. In possesso di una solida voce tenorile, è sembrato in qualche modo sottotono nel grande auditorio del Met.
Avendo ascoltato molte performance dell’Anello dirette da James Levine, è difficile fare una valutazione obiettiva della lettura di Fabio Luisi. Luisi è riuscito a tirar fuori dall’orchestra del Met una performace quasi da musica da camera, cristallina che ha ben sostenuto i cantanti, ma che mancava della evanescente combinazione di peso, grandezza e slancio in avanti che Levine riesce a raggiungere con questa musica. La sezione degli ottoni ha stranamente commesso molti errori.
Senza dubbio, Wagner sarebbe stato lieto di avere a disposizione il moderno meccanismo utilizzato per l’Anello di Lepage, meccanismo che lo avrebbe liberato dalla bidimensionalità delle scenografie e delle luci dei suoi tempi. Ci si chiede, comunque, se lui non avrebbe utilizzato tali risorse in modo da non relegare allo sfondo visivo e drammatico i protagonisti dei suoi drammi musicali. Attendiamo la prossima Walküre per valutare ulteriormente il nuovo Anello del Met.