Milano, Teatro alla Scala: “Simon Boccanegra”

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2013/2014
“SIMON BOCCANEGRA”
Melodramma in un prologo e tre atti – Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Simon Boccanegra LEO NUCCI
Jacopo Fiesco ALEXANDER TSYMBALYUK
Paolo Albiani VITALIY BILYY
Pietro ERNESTO PANARIELLO
Amelia (Maria) CARMEN GIANNATTASIO
Gabriele Adorno RAMON VARGAS
Capitano dei balestrieri LUIGI ALBANI
Ancella di Amelia BARBARA LAVARIAN
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Stefano Ranzani
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Federico Tiezzi
Scene Pier Paolo Bisleri
Costumi Giovanna Buzzi
Luci Marco Filibeck
Produzione Teatro alla Scala
In coproduzione con Staatsoper Unter den Linden, Berlino
Milano, 9 novembre 2014

La ripresa scaligera dell’allestimento del Simon Boccanegra andato in scena nella stagione 2009-2010 del teatro milanese, è prima di tutto l’occasione di poter ascoltare uno dei titoli più interessanti del repertorio verdiano. L’opera, grazie al rifacimento di alcune sezioni e alla creazione ex novo di altre che Verdi operò nel 1881, è un compendio dell’arte drammaturgico-musicale del cigno di Busseto: accanto a stilemi tipici del primo periodo troviamo un linguaggio già molto simile a quello delle ultime opere (dell’Otello in particolare) e questo soprattutto grazie all’intervento di Arrigo Boito, fra i collaboratori di Verdi quello che più di tutti ha contribuito a rendere le sue ultime opere dei capolavori assoluti.
L’allestimento scenico ha suscitato alcune polemiche già alla prima apparizione quattro anni fa e ciò non stupisce dal momento che forse nessuna opera più del Simon Boccanegra è suscettibile di confronto con la tradizione, ovvero con l’edizione (per certi aspetti intramontabile) nata dall’incontro fra due personalità immense del panorama registico e musicale dell’epoca d’oro del Teatro alla Scala, Giorgio Strehler e Claudio Abbado, ben radicata nella memoria del pubblico milanese.
Lo spettacolo che il Teatro alla Scala ripropone oggi, frutto della collaborazione fra Federico Tiezzi (regista) Pierpaolo Bisleri (scenografo) e Giovanna Buzzi (costumista) è parso a noi sobrio (nell’accezione positiva del termine) e molto elegante. L’aspetto prettamente visivo ci è sembrato molto curato, soprattutto per quanto riguarda l’uso dei colori: il neutro della scena, rappresentato dal nero-grigio, fa da sfondo ed esalta il blu acceso della folla, il rosso dei consiglieri, il bianco del vestito di Amelia-Maria e i colori dei costumi degli altri personaggi (uno degli aspetti più apprezzati di questo allestimento) quasi a voler portare l’attenzione sui personaggi, la loro psicologia e le loro emozioni.
L’interazione fra i personaggi è talvolta lasciata alla naturalezza degli interpreti vocali (con esiti, evidentemente, più o meno convincenti) e invece più definita per quanto riguarda i figuranti e mimi. Ma anche questo ci sembra un elemento da elogiare: in un mondo di regie liriche che in qualche modo ‘intralciano’ i cantanti, Tiezzi dimostra di averne grande rispetto e fa una sorta di passo indietro, come a voler lasciare sul primo piano il canto, lasciando gli interpreti liberi di esprimersi al meglio.
Tuttavia, l’utilizzo di alcuni espedienti simbolici risultano poco chiari di primo acchito, si pensi alla sfera di ferro intrecciato nella scena del secondo atto o ai cipressi che vengono lentamente calati sulla scena durante il duetto Simone-Amelia del primo atto e penalizzano la comprensione della visione che il regista vuole dare dell’opera.
Nel ruolo del titolo Leo Nucci, amatissimo e dunque applauditissimo dal pubblico scaligero, ha letteralmente dominato la scena. La voce non sarà più quella della giovinezza (gli anni passano per tutti) ma la profondità interpretativa, l’espressività e la generosità del suo canto sono quelle di sempre. Il “Plebe, patrizi, popolo” del primo atto, nella scena del Consiglio, ha permesso a Nucci di sfoggiare l’incisività del suo canto, verdiano nell’accento e nell’umanità; umanità resa in crescendo fino alla fine in maniera eccelsa, così come il ruolo di Simone impone, con la sua bontà (quasi tenerezza), sete di giustizia e speranza di riconciliazione fra le parti.
Il soprano Carmen Giannattasio è stata la vera sorpresa della serata. La voce è molto bella e, cosa non da poco, risuona magnificamente in teatro per la ricchezza del suo timbro e per le sfumature dei suoi colori. Sembra proprio che la cantante partenopea sia giunta alla maturità che le permette di affrontare un palcoscenico come quello della Scala, cosa piacevole per il pubblico milanese che, avendo spesso sopportato interpreti non all’altezza della situazione, ha apprezzato molto la sua interpretazione del personaggio verdiano.
La Giannattasio, infatti, ha cantato la difficile aria d’ingresso all’inizio del primo atto, “Come in quest’ora bruna”, non solo con disinvoltura ma con convinzione e con la volontà di porgere al meglio una musica di rara intensità e bellezza.
Si è dimostrata molto convincente anche nei duetti, specialmente in quelli che la vedevano al fianco del padre-doge e di Gabriele Adorno (Ramón Vargas), con i quali la voce e l’interpretazione si fondevano alla perfezione.
Anche Ramón Vargas, del resto, possiede una voce dal timbro molto bello che ben si accompagna a quella della Giannattasio. Gabriele Adorno non è il solito tenore protagonista a cui vengono consegnate le arie più importanti dell’opera ma, al contrario, canta spesso interagendo con gli altri personaggi e il tenore messicano ha incarnato al meglio (più vocalmente che scenicamente) la parte.
I punti deboli del cast sono stati il basso Alexander Tsymbalyuk nei panni di Jacopo Fiesco e il baritono Vitliy Bilyy in quelli di Paolo Albiani.
Fiesco è un personaggio chiave dell’intera vicenda e Tsymbalyuk non sembra ricoprire il ruolo alla perfezione: l’intonazione è incerta (soprattutto nel dialogo con Gabriele Adorno del primo atto) e la zona del registro grave un po’ inconsistente.
Anche il Paolo di Bilyy, pur non essendo privo di personalità, non soddisfa pienamente, soprattutto per una dizione molto poco chiara.
Fra le parti minori, oltre ad Ernesto Panariello che svolge sempre bene i ruoli da comprimario che gli vengono affidati (qui interpreta Pietro), spicca Luigi Albani nei panni del Capitano dei balestrieri: canta dal palco reale e richiama l’attenzione su di sé grazie al bel timbro della sua voce e all’ esposizione brillante della sua frase (il passaggio a cappella, se pur breve, presenta una certa difficoltà in termini soprattutto di intonazione).
La direzione di Stefano Ranzani ben si accompagna all’impostazione registica per quanto riguarda il rispetto del canto. Ad eccezione della delicata scena del Consiglio, in cui l’equilibrio sonoro fra coro, orchestra e solisti risulta un po’ instabile, la sua direzione è orientata verso la concertazione di strumenti e voci senza che una delle due parti venga penalizzata o prevaricata. Una direzione forse più tesa a consegnare una visione omogenea della partitura che a sottolinearne i particolari.
L’Orchestra della Scala ha risposto bene alle richieste di Ranzani così come il Coro (preparato da Bruno Casoni), capace d’innumerevoli sfumature. Conferma inoltre la sua eccellenza nel repertorio verdiano, dimostrandolo alla perfezione con il “Viva Simon” alla fine del prologo in cui sfoggia il vigore che lo ha sempre contraddistinto. Foto Marco Brescia & Rudy Amisano