Novara, Teatro Coccia: “Il viaggio a Reims”

Teatro Coccia – Stagione Lirica 2015/16
“IL VIAGGIO A REIMS”
Dramma giocoso in un atto di Luigi Balocchi
Musica di Gioacchino Rossini  
Corinna ALEXANDRA ZABALA
La marchesa Melibea TERESA IERVOLINO
La contessa di Folleville MARIA ALEIDA
Madama Cortese FRANCESCA SASSU
Il cavalier Belfiore GIULIO PELLIGRA
Il conte di Libenskof FRANCISCO BRITO
Lord Sidney PAOLO PECCHIOLI
Don Profondo PIETRO DI BIANCO
Il barone di Trombonok BRUNO PRATICÒ
Don Alvaro GIANLUCA MARGHERI
Don Luigino MURAT CAN GÜVEN
Maddalena CARLOTTA VICHI
Delia MANUELA RANNO
Modestina SOFIO JANELIDZE
Antonio STEFANO MARCHISIO
Gelsomino/Zefirino NICOLA PISANIELLO
Orchestra del Conservatorio G. Cantelli di Novara
Coro San Gregorio Magno
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del coro Mauro Rolfi
Regia Giampiero Solari
Scene e luci Angelo Linzalata
Costumi Ester Marcovecchio
Nuova produzione Fondazione Teatro Coccia
Novara, 11 ottobre 2015  
Mettere in scena Il viaggio a Reims è sempre un azzardo per qualunque teatro, il gran numero di prime parti, la ricchezza e la complessità delle parti solistiche rappresentano un ostacolo insidioso per qualunque allestimento tanto più quando a rischiare il passo è un teatro di tradizione ricco di volontà e buone intenzioni ma con possibilità economiche non certo paragonabili a quelle degli enti lirici maggiori. Ancor maggior merito quindi al Teatro Coccia di Novara di aver saputo mettere in piedi un’edizione che pur lungi dall’essere perfetta si è rivelata comunque pienamente godibile in tutte le sue componenti.
Alla guida dei giovani strumentisti dell’Orchestra del Conservatorio G. Cantelli troviamo la solida professionalità di Matteo Beltrami direttore ancor giovane ma dotato di professionalità e mestiere che gli permettono di reggere con sicurezza l’intero spettacolo. Beltrami sceglie tempi spesso rapidi, un fraseggio orchestrale fluido e scorrevole e cura con attenzione la concertazione, l’orchestra lo asseconda con bravura mostrando buone doti di cantabilità specie nei momenti più lirici mentre sembrano mancano ancora di quella vis, di quella brillantezza di suono che alcuni momenti richiederebbero e che per questo risultavano parzialmente attutiti. Vanno comunque riconosciuti i meriti di questi strumentisti per i quali l’assenza di una maggior famigliarità con questo tipo di scrittura è un fatto connaturato con la giovane età. Si riscontrava la presenza di qualche taglio con l’accorciamento dell’ultima aria di Corinna e quello – teatralmente doloroso – del recitativo fra Don Profondo e Delia.
La compagnia di canto vedeva emergere soprattutto la parte femminile. Splendida Melibea Teresa Iervolino sicuramente una delle voci più interessanti della nouvelle vague rossiniana e fresca dei successi pesaresi. Voce solida, robusta, di bellissimo colore mezzosopranile regge con sicurezza la non facile scrittura della baronessa polacca –  particolarmente grave come tessitura e tutta impostata su passaggi di forza – facendo mostra di rimarchevoli qualità che rendono facile prevedere per lei un radioso futuro. Vera rivelazione la Corinna di Alexandra Zabala, la cantante colombiana già ammirata come Marcellina nelle scorse Nozze di Figaro torinesi, qui però il cimento era ben altro e la cantante ne è uscita pienamente vincitrice. Voce morbida, luminosa, non grande ma ottimamente proiettata, ottimo legato – notevolissima al riguardo l’aria di sortita, dizione nitida e precisa, buona personalità scenica. Lo scorso anno avevamo molto apprezzato la Liù di Francesca Sassu e incuriosiva sentirla all’opera come Madama Cortese. Bisogno riconoscere che le buone impressioni sono state confermate, certo la natura è sostanzialmente lirica, le colorature di “I forestieri presto sen vanno” staccata per di più con tempi vertiginosi da Beltrami non hanno forse il nitore delle autentiche specialiste, ma la voce è solida e timbrata, gli acuti facili, squillanti e ricchi di suono, il fraseggio elegante ed autorevole nel tratteggiare una locandiera affascinante e decisa, vero punto fermo nel turbinoso viavai del Giglio d’Oro.
Lascia invece più d’una perplessità la Folleville di Maria Aleida, pulita, elegante, musicalissima, stilisticamente impeccabile ma limitata da una voce troppo povera, troppo piccola per emergere davvero così che la grande parodia dell’opera seria di “Partir, o ciel! Desio…” è più accennata che compiuta e nei concertati la sua voce tende letteralmente a scomparire e se la facilità con cui sono presi acuti e sopracuti è ammirevole anch’essi sono così piccoli, poveri di suono e passano senza suscitare particolari tracce. Brava Carlotta Vichi nella breve ma non facile parte di Maddalena cui spetta l’onere di aprire l’opera con l’insidiosa “Presto, presto…su coraggio”. La componente maschile vede sugli scudi il Belfiore Giulio Pelligra tenore squillante e sicuro, dal bel timbro e con buona facilità d’acuto unita ad una baldanza che in fondo non stona con il temperamento guascone del cavaliere ma dotato anche di buona musicalità come evidenziato nel duetto con Corinna. L’altro tenore Francisco Brito (Libenskof) mostra qualche incertezza nel quintetto d’entrata ma va sciogliendosi e nel duetto con Melibea pare vocalmente più centrato soprattutto nel settore acuto che qui risulta sicuro e ben impostato. Resta un senso di trascuratezza – sia stilistica che musicale – ma la parte nell’insieme è portata in porto con dignità. Bruno Praticò parla più che cantare la parte del Barone Trombonok ma lo fa con un senso del teatro e con una capacità di vivere il personaggio da cui c’è ancora moltissimo da imparare. Paolo Pecchioli è un Lord Sidney dalla voce solida e robusta anche se manca di quel fascino timbrico che ben gioverebbe al melanconico ufficiale inglese; buon materiale vocale anche se non sempre perfettamente controllato per il Don Alvaro di Gianluca Marcheri. Ancora troppo immaturo Pietro di Bianco per una parte come Don Profondo, voce piacevole e molto musicale ma un po’ leggera per il ruolo e soprattutto privo dell’esperienza per reggere un ruolo che ha la sua essenza nella capacità di giocare con i colori vocali, con gli accenti e le intenzioni. Buone le prove delle numerose parti di fianco e del Coro San Gregorio Magno. Sostanzialmente tradizionale la regia di Giampiero Solari che segue con attenzione la vicenda senza forzature e stravolgimenti, l’ambientazione è rispettata e solo viene aggiunto qualche tocco di modernità che in un contesto buffo può trovare le sue ragioni, mentre forse un omaggio alla tradizione rotelliera novarese la scelta di far muovere sui pattini i camerieri della locanda. Essenziale l’impianto scenico di Angelo Linzalata con una grande sala della locanda, pochi arredi per permettere il gioco scenico, piattaforme laterali per gli strumentisti e un grande specchio rovesciato che domina la scena e su cui si alternano vedute reali del palcoscenico e proiezioni simboliche – il giglio, le mani di Corinna intenta a suonare l’arpa. Belli nell’insieme i costumi di Ester Marcovecchio attendibili inquadrabili nel momento storico seppur con elementi di fantasia, con alternanza di elementi realistici, citazioni pittoriche – la Zattera della Medusa di Gericault sul mantello di Corinna e sull’abito, fin troppo lussuoso, di Delia – richiami simboli – il mantello rosso/blu di Folleville che con l’abito bianco evocava la bandiera francese, molto elegante quello nero di Madama Cortese. Unica caduta l’inguardabile panciotto con l’Union Jack di Sidney. Sala non gremitissima – lo spettacolo l’avrebbe meritato – ma convinto successo per tutti gli interpreti.