opera di firenze: “die zauberflöte”

Firenze, marzo 2017. Un momento della prima de "Il Flauto Magico", di Roland Böer con la regia di Damiano Michieletto, l'Orchestra ed il Coro del Maggio Musicale Fiorentino. Florence, March 2017. A time during "The Magic Flute" by Roland Böer directed by Damiano Michieletto with the Orchestra and Chorus of the Maggio Musicale Fiorentino.

Opera di Firenze – Stagione 2016-2017
“DIE ZAUBERFLÖTE”
Singspiel in due atti. Libretto di Emanuel Schikaneder con Karl Ludwig Giesecke
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia
Sarastro GORAN JURIĆ
Tamino JUAN FRANCISCO GATELL
Oratore PHILIP SMITH
Regina della Notte OLGA PUDOVA
Pamina EKATERINA SADOVNIKOVA
Prima Dama HEERA BAE
Seconda Dama CECILIA BERNINI
Terza Dama VETA PILIPENKO
Tre Geni SOLISTI DEL MÜNCHNER KNABENCHOR
Papagena GIULIA BOLCATO
Papageno ALESSIO ARDUINI
Monostatos MARCELLO NARDIS
Primo uomo armato/Secondo sacerdote CRISTIANO OLIVIERI
Secondo uomo armato/Primo sacerdote OLIVER PUERCKHAUER
Una vecchia DANIELA FOÁ
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Roland Böer
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia
Firenze, 28 marzo 2017
È stata varata al Teatro La Fenice di Venezia nell’autunno 2015 questa coproduzione andata ora in scena a Firenze, che si avvale della regia di Damiano Michieletto, dei costumi di Carla Teti, delle scene di Paolo Fantin e delle luci di Alessandro Carletti.
Si tratta di una messa in scena “di rottura”, come sempre avviene nelle regie di Michieletto, ricca di spunti, piena di idee e di trovate sorprendenti, che ha fatto molto parlare il pubblico e gli addetti ai lavori – più dubbioso il primo, più entusiasti i secondi – che in positivo o in negativo ha catalizzato l’attenzione, sottraendola alla parte musicale. Non c’è niente di male, ovviamente; non solo l’Opera lirica è teatro, ma, accanto alla popolarità del titolo e al fascino che esercita il capolavoro mozartiano sugli strati di pubblico più diversi, sicuramente questa messa in scena ha dato un contribuito non indifferente al lusinghiero successo di botteghino di questa Zauberflöte; tuttavia, a parziale risarcimento, voglio in questa sede ribaltare la prospettiva e puntare i riflettori per prima cosa sugli interpreti canori che hanno dato vita a questo spettacolo, perché lo meritano ampiamente, in quanto ottima compagnia di protagonisti giovani dalle doti vocali e drammatiche tutte da apprezzare.
Juan Francisco Gatell, tenore argentino, ormai fiorentino d’adozione, conosciuto e apprezzato in una varietà piuttosto eterogenea di ruoli, fino al proibitivo Idreno in una recente Semiramide sempre all’Opera di Firenze, trova in Tamino una parte ideale per valorizzare i suoi mezzi vocali ed espressivi e il suo temperamento. Intanto la scrittura batte sulla zona più facile e più bella della sua voce, consentendogli di fraseggiare con disinvoltura mettendo in luce bel timbro e buona emissione sia nei momenti affettuosi, intimi in cui il suono è raccolto e carezzevole, sia nei momenti più eroici, nei quali un volume e uno squillo inattesi nel settore centrale e nei primi acuti, conferiscono la giusta autorevolezza che si confà al rango di principe, un principe ragazzo, ma determinato e coraggioso. Poi la presenza scenica – Gatell dimostra molto meno dei suoi trentanove anni – il fisico esile ed elastico, le espressioni del viso di stupore, entusiasmo, smarrimento, sono ideali per un personaggio appena uscito dall’adolescenza, alle prese con la propria formazione e con la maturazione che lo porterà nell’età adulta; a tutto questo si unisce un’ottima pronuncia e ne risulta un Tamino di grande interesse. Ekaterina Sadovnikova, anche lei più volte ospite del teatro cittadino in diversi ruoli fino dal 2011, è una Pamina dal canto sicuro e levigato, che si apprezza per il timbro tornito, l’impasto delicato ma non fragile, la precisione musicale e l’eleganza del fraseggio; anche lei è ugualmente a suo agio sia nei momenti di ripiegamento, in cui il personaggio denuncia vulnerabilità e smarrimento, che in quelli in cui una natura femminile volitiva si riflette in un canto luminoso e trionfante e anche lei è dotata di una figura che nella finzione scenica è perfettamente credibile, minuta e paffuta come potrebbe benissimo esserlo una diciassettenne. Molto bella è l’esecuzione della sua aria “Ach, ich fül’s”, in cui la voce, dolce e omogenea, sale con pienezza, e molto suggestivo è il velo di tristezza che sembra ammantare i piani e i pianissimi raggiunti anche con eleganti messe di voce.
La Regina della Notte di Olga Pudova non sfigura affatto accanto alla coppia di antagonisti: possiede una voce dalla lucentezza metallica, dotata di un volume più imponente di quello che di solito possiedono i lirici di coloratura che affrontano il ruolo; offre una bella esecuzione dell’aria “O zittre nicht” in cui mette in mostra un ottimo legato e agilità sicure, canta con slancio persino spavaldo l’aria della vendetta, con precisione ritmica e d’intonazione fino ai famosi e micidiali fa sopracuti, tutti perfettamente limpidi e piuttosto centrati. È un’interprete grintosa, dotata di una presenza scenica incisiva; alle prese con un personaggio ambiguo, fragile ma altero, piagato ma violento, ne raffigura efficacemente la nevrosi.
Di grande simpatia è il Papageno di Alessio Arduini, disinvolto e sicuro scenicamente e vocalmente; il timbro non è molto levigato, a tratti un po’ cavernoso nella sua aria di sortita, con il procedere della recita si scalda e nell’aria con il Glockenspiel ha una resa più gradevole, con un legato più saldo, ma le sue carte vincenti sono l’esuberanza e il brio.
Goran Jurić è un Sarastro che per caratteristiche vocali, per temperamento e in armonia con la concezione registica, non inclina alla monumentalità, al carattere ieratico e sacerdotale, al contrario è estremamente affettuoso, paterno, potremmo dire intimista, sia nell’azione scenica che nel canto; la sua voce, di vero basso, non ha un volume debordante né un velluto particolarmente ricco, ma è educata ed espressiva; canta l’aria “O Isis und Osiris” con morbidezza e fraseggio ispirato e sentito; ancora più felice è l’esecuzione di “In diesen heil’gen Hallen”, più sonora vocalmente, ma sempre animata da delicate intenzioni espressive, intrisa di sentimento d’amore universale e di fratellanza, come si conviene al personaggio.
Marcello Nardis, nei panni di Monostatos, è bravissimo; la voce è tenue, decisamente piccola, ma efficacemente appoggiata e proiettata; la verve, la mobilità scenica, la mimica sono quelle di un cantante-attore di livello.Giulia Bolcato è una Papagena giovane, graziosa, frizzante, dotata di un timbro ombreggiato, decisamente bello.  Canto levigato, ottima musicalità e grande disinvoltura scenica mettono in evidenza le interpreti delle Tre Dame, come impeccabili si rivelano i Tre Geni, fanciulli cantori del Münchner Knabenchor.Philip Smith è un Oratore dalla voce non grande, ma timbrata e morbida; all’altezza del compito si mostrano Cristiano Olivieri e Oliver Puerckhauer nel doppio ruolo di Sacerdoti e Uomini armati.
La direzione di Roland Böer è corretta, professionale, gradevole, il suono dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino è sempre notevolmente bello, l’Ouverture è logica nei tempi, trsaparente e brillante; quello che manca, o che io non riesco a cogliere, è una particolare impronta, una personalità, un taglio; detto questo resta una buona esecuzione caratterizzata da una coesione tra buca e scena quasi sempre perfetta. La proverbiale eccellenza sonora e musicale del Coro del Maggio, fa pensare al famoso aneddoto del direttore Gino Marinuzzi, che con ammirazione stizzosa pregava il famoso soprano Giannina Arangi-Lombardi, anche lei proverbiale per la perfezione delle sue esecuzioni, con la frase “Ma stoni anche lei signora, almeno una volta per favore!”. Ebbene, questa volta, eccezionalmente il Coro si è prodotto non in una, ma in ben due note clamorosamente calanti nel finale. Evidentemente sono umani anche loro!
Veniamo dunque alla regia.
Michieletto prende le mosse dal concetto della crescita, della maturazione insita nel percorso catartico e iniziatico che sta alla base della vicenda del Flauto magico e in maniera molto semplice e logica individua il luogo più vicino e familiare deputato alla crescita e alla maturazione del ragazzo e del giovane uomo: la scuola.
Quindi tutta la vicenda ruota intorno alla vita di una scuola, una scuola degli anni ’40-’50, grosso modo: Tamino è uno studente liceale come Pamina, Sarastro è un professore o forse il preside, amoroso e saggio, la Regina della Notte è una mamma chioccia e retrograda che non condivide le idee educative liberali e laiche della scuola e quindi è restìa ad affidare Pamina alle cure di Sarastro – così tanto restìa da fornire alla figlia un pugnale per scannare il prof, il che è forse un po’ eccessivo.
Papageno è un bidello, ha già qualche capello grigio, ma ancora non ha conosciuto una donna; è un semplice, non è esattamente un uccellatore, ma ha un particolare rapporto con gli uccellini ai quali dà da mangiare sul davanzale della finestra.
Monostatos è un alunno più giovane, non porta l’uniforme da liceale, ma il grembiule da scuola elementare, ovviamente è una peste, vessato dai ragazzi più grandi, tenta di rifarsi a sua volta, e soprattutto è in preda a una tempesta ormonale da adolescenza precoce, è innamorato di Pamina, o meglio la concupisce spasmodicamente, tanto che, la volta che riesce a stampare un fulmineo bacetto sulle labbra di lei svenuta, deve immediatamente rintanarsi a concludere suapte manu.  È una lettura interessante, che si traduce in grande bellezza visiva grazie a scene, luci e costumi, animata da una quantità di trovate brillanti e divertenti; disattende completamente qualsiasi riferimento massonico, e forse anche un po’ il tono fiabesco, rende tutto molto vicino, concreto, quotidiano.
Resta secondo me irrisolto qualche particolare narrativo, ad esempio nelle scene di vera e propria iniziazione, che si svolgono in orario notturno nel cortile della scuola, ma è una regia che tiene sempre desta l’attenzione, mai statica, mai noiosa e che ha una sua coerenza e leggibilità.
Chiudiamo un occhio sulla banalità del rogo di libri tentato dalla Regina della Notte alleata con Monostatos e con le Tre dame, e sventato da Sarastro, che equivale più o meno a vestire il cattivo di turno con gli stivaloni e l’impermeabile con le svastiche, come si è fatto per circa trent’anni in ogni Tosca, Fidelio, Trovatore… che volessero essere innovativi.
Il pubblico, che riempie completamente il teatro, partecipa vivacemente, commenta, contesta e discute nell’intervallo e all’uscita; al termine gli applausi sono scroscianti per tutti.