Palermo, Teatro Massimo: “La fille du régiment”

Teatro Massimo di Palermo – Stagione Lirica 2014
“LA FILLE DU RÉGIMENT”
Opéra-comique in due atti
Libretto di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges
Musica di Gaetano Donizetti
Marie DESIRÉE RANCATORE
La Marquise de Berkenfiled FRANCESCA FRANCI
La Duchesse de Crackentorp FILIPPO LUNA
Tonio CELSO ALBELO
Sulpice VINCENZO TAORMINA
Hortensius PAOLO ORECCHIA
Un Notaire PIETRO ARCIDIACONO
Un Caporal EMANUELE CORDARO
Un Paysan ALFIO MARLETTA
Maître de ballet GIUSEPPE BONANNO
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Direttore Benjamin Pionnier
Maestro del Coro Piero Monti
Regia Filippo Crivelli
Scene e costumi Franco Zeffirelli
Luci Bruno Ciulli
Assistente alla regia Carlo Cinque
Allestimento del Teatro Massimo
Palermo, 17 settembre 2014

Dopo l’applauditissimo Elisir d’amore del 2012, l’accoppiata Desirée RancatoreCelso Albelo ha fatto ritorno al Teatro Massimo di Palermo in un’altra opera del Donizetti giocoso. Ancora una volta il connubio si è rivelato vincente e ha trovato supporto in un cast ottimamente assortito, composto in gran parte da interpreti di origine palermitana. L’atmosfera era proprio quella di due anni fa, consolidata dalla crescente intesa fra i due protagonisti, ma con una differenza di non poco conto. Difatti l’allestimento proposto in questa occasione sembra collocarsi agli antipodi rispetto alla visione provocatoria concepita dal regista del 2012, Damiano Michieletto. Era invece il 1959 quando Franco Zeffirelli confezionava scene e costumi per una Palermo che non vedeva La fille du régiment da più di un secolo. Nonostante i 55 anni sulle spalle, lo spettacolo non ha dato modo di rivelare particolari segni di debolezza, grazie alla mano di Filippo Crivelli che ha portato in giro l’opera donizettiana per tutto il mondo, infondendole nuova linfa attraverso una regia di raro equilibrio. La principale caratteristica dello spunto originario risiede proprio in una sorta di filologia scenica che ha scelto di partire dai bozzetti della prima rappresentazione (Parigi, 11 febbraio 1840) per ricreare un contesto grafico al di fuori del tempo, talmente irreale da ricordare i libri animati per bambini. Alle invenzioni di Jean-Charles Pellerin, autore delle images d’Èpinal, rimanda un impianto che presenta ogni suo elemento in forma dipinta: dalle bandiere del 21° reggimento, ai cannoni, ai vasi di fiori, tutto quanto viene filtrato attraverso l’ottica delle riproduzioni a stampa del XIX secolo (persino gli oggetti reali, come il pianoforte, le sedie e il canapè, per colori e forme sembrano ‘finti’). In questa cornice fittizia si muovono i diversi personaggi, ma rimanendone come separati, concentrandosi piuttosto sulle interazioni fra di essi. L’impressione è che ciascun carattere voglia staccarsi dallo sfondo di finzione al quale appartiene per conquistare una sorta di autenticità sospirata, procedendo lungo un sentiero di avvicinamento reciproco.
Crivelli accoglie e consolida questo aspetto, facendone un valore aggiunto di originalità e sottesa modernità. Per una concezione registica che affida al movimento la forza trainante dell’azione è naturale che la riconsiderazione dei rapporti spaziali diventi un punto di interesse, sviluppato con intelligente coerenza. Ecco, allora, che sin dall’inizio la costruzione dei movimenti di Sulpice e Marie viene incentrata su un meccanismo di perfetto rispecchiamento, evidente nel primo duetto (“Au bruit de la guerre”) e replicato nella scena della lezione di canto del secondo atto (lì il rispecchiamento non è soltanto gestuale, ma diventa vocale non appena Sulpice ripropone il refrain del reggimento, prontamente ripreso da Marie). Se è comprensibile che i soldati si muovano tutti insieme, assecondando con effetti meccanici la scansione dei ritmi marziali, le dinamiche più interessanti sono proprio quelle che coinvolgono i due protagonisti. Infatti, fra Tonio e Marie si svolge un balletto di timidi avvicinamenti e allontanamenti che cerca di eliminare la distanza – spaziale, nonché culturale – che sussiste tra i due (non dimentichiamo che Tonio è un contadino tirolese, mentre Marie è la vivandiera del reggimento francese). La separazione alla fine del primo atto annulla quanto ottenuto fino a quel momento, tanto che nella parte conclusiva i due innamorati ritornano nelle rispettive sfere spaziali, ma con uno scambio di identità culturali (Tonio ufficiale del reggimento francese, Marie riconosciuta quale membro di una nobile famiglia tedesca), cancellando ogni speranza di contatto fisico. Anche la marchesa di Berkenfield è sottoposta a questo processo, indirizzandosi ad un altro soggetto (Sulpice) al quale rivela la verità sulla giovane Marie (figlia, e non nipote). La rivelazione avviene sul canapè del salone del palazzo ed è improntata ad un’intimità fisica che fa sorgere legittimi dubbi sulle intenzioni della nobildonna – peraltro non nuova a interessi nei confronti di uomini in divisa – nei confronti del bel sergente.
Il punto culminante di questo processo si realizza nel terzetto del secondo atto, “Tous les trois réunis”. In questo caso sono il contenuto del testo e l’organizzazione della linea melodica ad alludere al ricongiungimento dei tre personaggi, una fusione che è anche concreta, come dimostrano i vivaci movimenti dei rispettivi interpreti. Quest’ultimi suggellano nel terzetto un affiatamento di cui danno prova nei singoli momenti dell’azione, ma che per la struttura dell’opera emergono sempre per così dire in forma ‘binaria’, ovvero nell’interazione di coppia. Soltanto nel terzetto si verifica questa atipica unione fra tre personaggi, ancor più inconsueta se si considera che i due innamorati, pur ritrovandosi dopo una separazione, non hanno modo di vivere in forma privata la gioia per il nuovo incontro. In ogni caso Tonio sa bene che l’amore per Marie deve includere il buon Sulpice, una consapevolezza che si ricollega a quanto detto sul rispecchiamento fra il sergente e la bella vivandiera.
Procedendo per ordine di apparizione, è Vincenzo Taormina a dare per primo significativo impulso alla buona riuscita dello spettacolo. Il baritono palermitano si distingue per un timbro caldo, macchiato di un’insospettata nota di malinconia, con voce proiettata e fraseggio curato. Come già ne La traviata del 2013, la maestosità di Taormina risalta a confronto della minuta Desirée Rancatore. La cantante sfoggia il consueto armamentario di virtù vocali, piegandole ancora una volta a scopi espressivi. Nel complesso, rispetto al passato, si nota una dizione più chiara e maggiore omogeneità nei diversi registri. Lo scotto da pagare è però la sottrazione di nitidezza ai sovracuti, che risultano meno cristallini se confrontati ai miracoli di perfezione degli anni passati. Quello che il soprano palermitano perde da un lato, lo recupera tuttavia in credibilità del personaggio, curando la partecipazione emotiva con lodevole concentrazione.
Quanto detto sulla distanza fra i due protagonisti si riflette nella scelta interpretativa della Rancatore, che all’inizio disegna una Marie scanzonata e un po’ superficiale, con atteggiamenti goffamente mascolini, opposti ai toni sentimentali di Celso Albelo. La differenza appare chiara nel primo duetto: se Tonio è già immerso nel sentimento amoroso, Marie ne è ancora distante e ripete la melodia del tenore privandola del calore che poco prima l’aveva caratterizzata. Il processo di cambiamento emerge, inoltre, dal confronto tra le due arie elegiache della protagonista, rispettivamente “Il faut partir” (primo atto) e “Par le rang et par l’opulence” (secondo atto). Nella prima la tristezza giunge in modo così improvviso da sublimarsi in un’esecuzione più attenta al piano tecnico che a quello espressivo (e di fatto la Rancatore realizza filati perfetti, con straordinaria tenuta di voce). Al contrario nel secondo atto il soprano tiene conto della maturazione del dolore e del fatto che ormai faccia parte dell’animo del personaggio. Di conseguenza realizza un’aria un po’ meno convincente sul lato tecnico, ma che subito va a segno sul piano dell’intensità e commozione. Il successivo “Salut à la France” ristabilisce il tono spensierato che domina l’opera, analogamente a quanto avviene nella celebre lezione di canto, dove la Rancatore dà prova di trascinante vis comica, rivelandosi estremamente naturale nei tentativi di finta stonatura e passando senza tentennamenti attraverso le colorature che caratterizzano il brano. Come spesso accade con i personaggi maschili, il Tonio di Celso Albelo è meno sfaccettato e rimane sostanzialmente invariato nel corso dell’azione. Il tenore spagnolo conferma quella dose di immediata simpatia di cui fa sfoggio nelle sue interpretazioni, associandola a una correttezza vocale abbastanza matura. Per chiarezza e apertura di suono è questo il repertorio in cui sembra muoversi con più agio, sebbene lo scoglio dei celebri nove Do venga superato con un riassestamento tecnico un po’ innaturale.
Guidati dall’elegante bacchetta di Benjamin Pionnier, gli altri interpreti meritano tutti di essere nominati per bravura di recitazione e naturalezza di movimenti, partendo dall’ottimo Hortensius di Paolo Orecchia (interprete sempre apprezzato nelle diverse produzioni del Teatro Massimo) al Notaire di Pietro Arcidiacono, fino al Caporal Emanuele Cordaro e al Paysan Alfio Marletta. Pure in ruolo il bravo Maître de ballet Giuseppe Bonanno, impegnato in un settecentesco minuetto di fronte a due spettatrici di eccezione: la marchesa di Francesca Franci, spigliata e dal timbro corposo, e l’irresistibile attore palermitano Filippo Luna alias duchessa di Crakentorp, ruolo reinventato nella funzione en travesti. Piena soddisfazione anche per la sezione maschile del Coro del Teatro Massimo che (ormai è appurato) quando si diverte sembra dare il meglio di sé, riuscendo nell’arduo compito di dar voce ad un solo personaggio, benché collettivo. In anticipo di 70 anni, Donizetti crea un gruppo di rudi uomini legati a una ingenua fanciulla, alla quale non vogliono rinunciare, ma che al momento opportuno sanno di dover affidare all’innamorato che più la merita, cosa che avverrà tale e quale ne La fanciulla del West. Ma lì il ‘lieto fine’ produrrà una frattura dolorosa e irrecuperabile che giustamente La fille du régiment non può né vuole attuare. Repliche sino al 24 settembre. Foto Lannino/Studio Camera