Parigi, Opéra:”La forza del destino”

Parigi, Opéra National, Stagione Lirica 2011/2012
“LA FORZA DEL DESTINO”
Melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma Don Alvaro o La fuerza del sino di Angel Perez de Saavedra.
Musica di Giuseppe Verdi
Il marchese di Calatrava MARIO LUPERI
Donna Leonora VIOLETA URMANA
Don Carlo di Vargas VLADIMIR STOYANOV
Don Alvaro MARCELO ALVAREZ
Preziosilla NADIA KRASTEVA
Padre guardiano KWANGCHUL YOUN
Fra Melitone NICOLA ALAIMO
Curra NONA JAVAKHIDZE
Un alcade CHRISTOPHE FEL
Mastro Trabuco RODOLPHE BRIAND
Un chirurgo FRANCOIS LIS
Coro e Orchestra dell’Opéra National de Paris
Direttore Philippe Jordan
Maestro del Coro Patrick Marie Aubert
Regia Jean-Claude Auvray
Scene Alain Chambon
Costumi Maria Chiara Donato
Luci Laurent Castaingt
Coreografia Terry John Bates
Nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro Liceu di Barcellona
Parigi, 20 novembre 2011
Questa produzione de La Forza del Destino si apre direttamente nella grandiosa e caldamente illuminata sala da pranzo del Marchese di Calatrava, una scenografia di grande effetto creata da  Alain Chambon per questa scena di un delitto,  che da il via all’intero intreccio dell’opera. Dopo che la tragica fatalità porta alla morte di Calatrava  per mano di Alvaro, l’intera parete della sala da pranzo crolla! Ciò che sembrava essere un muro, completo di dipinti e riccamente decorata, si rivela essere un fondale dipintol. Quando cade,  il senso di rassicurante  vita domestica di cui Leonora possa aver goduto (anche se ci sarebbe da dubitarne vista la rapidità della maledizione di suo padre prima di morire) si disperde come un mandala sotto i colpi del vento. A questo punto ascoltiamo la famosa Overture, a introduzione del secondo atto.
Questa scelta di mettere in scena il primo atto come prologo prima dell’Overture ha sicuramente una sua logica, sia drammatica che musicale. Incorporata nell’azione drammatica, l’overture parla per sé stessa, con il senso di urgenza delle ultime notizie di un telegiornale. Ogni nota è stata cristallina. Philippe Jordan è davvero un grande direttore e l’orchestra dell’Opéra di Parigi ci ha messo un impegno e una passione totali, evitando qualsiasi cliché, liberando questo lavoro dalle catene di una tradizione abusata. I suoi spunti hanno permesso agli ottoni di esprimersi con un fraseggio di incredibile vocalità. Verdi ne sarebbe stato soddisfatto.
Da questo punto in poi, non saremo più nell’atmosfera confortante di una casa. Tutti i protagonisti diventano estranei, anche spesso per loro stessi.  Vagano alla ricerca del perdono o della vendetta sullo sfondo della guerra e di una società sconvolta. Questo è il destino e stranamente si associa anche una di due poltrone che apparivano nel  primo atto e che continua ad apparire durante tutta l’opera, come se fosse alla ricerca della sua “compagna”.
Violeta Urmana, nel ruolo di Leonora, evidenzia molti aspetti forti di questo ambito ruolo drammatico. Riesce in bellissimi, fluttuanti pianissimi col suo registro acuto, mentre quello centrale è equilibrato e capace di fini sfumature, senza forzare la voce di petto non è mai forzata. Le sfugge ancora  la piena ampiezza della potenza, poiché quando urge cantare a piena voce, i suoi acuti suonano forzati. Quasi certamente questo è lo scotto che ha pagato nel suo passaggio da mezzosoprano a soprano drammatico. Me Pellegrina ed orfana è stata molto toccante, ma denotava già questo disagio. Madre, pietosa Vergine è stata, delle tre, l’aria che quella che ha riscosso il maggior successo. Pace mio Dio  è stato comunque un altro momento carico di pathos e  con un bel controllo vocale.  Anche in questo caso, la grande musicalità di questa cantante, non è bastata a evitare che il “fortissimo” della sua maledizione finale implodesse.
Nadia Krasteva, (Preziosilla), ha deluso. Scenicamente molto bella, specie nel secondo costume, ha mancato per sicurezza vocale, capacità di fraseggio e incertezze ritmiche.  L’insicurezza del suo Rataplan ha creato una  specie di anticlimax alla fine del terzo atto.  L’imponente  basso Mario Luperi, è stato un autorevole Calatrava. Il basso Kwangchul Youn, nel ruolo ieratico del Padre Guardiano, ha cantato con grande musicalità. La voce però non sempre è ben controllata e frequentemente afflitta da un  fastidioso vibrato. Nicola Alaimo è stato un perfetto Melitone. L’unico italiano del cast, ha fatto valere la sua perfetta aderenza al testo alla quale ha unito una vocalità emessa con grande naturalezza e variettà di colori.  Il tenore Marcelo Alvarez, nel ruolo di Alvaro, si è perfettamente calato nella vocalità verdiana: grande varietà di colori, un uso espressivo e controllatissimo del registro acuto. La sua grande scena, La vita è inferno all’infelice, è stata accolta con una vera esplosione di applausi.  Un successo meritato, in virtù di un frasggio meravigliosamente espressivo e una linea di canto controllata e comunque carica di passione. Raffinatissimo il  passaggio in La bemolle minore.
Il baritono Vladimir Stoyanov, è stato un Carlo altrettanto ammirevole. Il suo fraseggio in Urna fatale è stato perfettamente cesellato e sicuro nella ritmica nell’intonazione. La parte finale dell’aria, la vigorosa E salvo! Oh gioia!, è stata in parte sabotata dalla discesa di un fondale che all’improvviso ha fatto sembrare la sua voce meno risonante.  Un sipario che preparava  una breve rassegna di notizie flash sugli avvenimenti dell’Italia risorgimentale. Ad esempio: alcuni italiani che trasformavano lo slogan “Viva la Guerra” dipinto su un muro in un “Viva VERDI”. Il famoso riferimento a Vittorio Emanuele Re d’Italia non è stato però colto dalla maggior parte del pubblico parigino.  I duetti di Alvaro e Carlo sono stati i punti più alti di questa produzione. Sul piano strettamente visivo, il loro confronto all’alba è stato molto emozionante anche grazie all’orizzonte chiaroscuro che si parava alle loro spalle. Mentre Alvaro e Carlo si sfidavano come due  tori furiosi. Il direttore Philippe Jordan sembrava un torero, brandendo la sua bacchetta come una cappa, incitava l’orchestra e i cantanti a un crescendo di vigore e violenza.
La regia di Jean-Claude Auvray ha introdotto molti elementi per rendere quanto mai varia la sua visione di quest’opera piuttosto complessa e dall’incedere talvolta poco vitale. Ad esempio, il già citato sipario del Prologo, o una grande icona di Cristo, quasi un deus ex-machina, o  nel terzo atto, un tableaux che  sembrava un dipinto pastorale di Goya.  Fondamentale quindi l’apporto delle secene create da Alain Chambon e le belle luci  di Laurent Castaingt.  Nel complesso, uno spettacolo di rilievo che si va brillantemente ad aggiungere all’offerta teatrale di questa stagione dell’Opéra di Parigi.
Foto di Andrea Messana – Opéra National de Paris