Richard Strauss (1864 – 1949) – 11 “Ariadne auf Naxos” (1912 – 1916)

Richard Strauss (Monaco di Baviera 1864 – Garmisch-Partenkirchen 1949)
Ariadne auf Naxos (Arianna a Nasso) op. 60, opera in un atto con prologo su libretto di Hugo von von Hofmannsthal.
Prima rappresentazione: Opera di Stoccarda, 25 ottobre 1912 (prima versione); Staatsoper di Vienna, 3 ottobre 1916 (seconda versione)
Erano passati pochi mesi dalla prima del Rosenkavalier, avvenuta a Dresda il 26 gennaio 1911, che Strauss si mostrava impaziente di rimettersi a lavoro per una nuova opera. Così scriveva infatti ad Hofmannsthal il 17 marzo 1911:
“Sono impaziente di sapere ciò che ha da raccontarmi dello Steinerne Herz e della cosetta di Molière. Non dimentichi che per l’estate non ho lavoro. Scrivere sinfonie non mi diverte più. Spero che sia sano e alacre al lavoro” (Hugo von Hofmannsthal-Richard Strauss, Epistolario, Adelphi, Milano, 1953, p. 120)
Il teatro aveva ormai conquistato Strauss che, preso quasi da una forma di febbre creativa, non vedeva l’ora di rimettersi al lavoro sfruttando soprattutto i mesi estivi per lui spesso fecondi. Hofmannsthal, contento certamente per questa nuova collaborazione, rispose 3 giorni dopo proponendo a Strauss 2 progetti diversi. Nella lettera si legge:
“Ove si voglia ancora fare insieme qualcosa (intendo qualcosa di importante, prescindendo completamente dall’opera di mezz’ora, per piccola orchestra da camera, che è quasi pronta nella mia mente, denominata Arianna auf Naxos, un misto di figure eroico-mitologiche in abbigliamento del Settecento, con crinoline e pennacchi di struzzo, e di figure della commedia dell’arte, Arlecchini, Scaramucci, che introducono una componente buffonesca sempre intrecciata con la componente eroica) – allora, ove si voglia fare insieme ancora qualcosa di importante, dovrebbe essere una trama vigorosa e varia, in cui i particolari del libretto abbiano meno peso. Mi si sta delineando alla fantasia qualcosa di ben preciso, qualcosa che mi incanta e che certamente realizzerò; resta poi da decidere tra noi se sarà per la musica o solo un lavoro a grande spettacolo con accompagnamento musicale. È una fiaba di incantesimi in cui si fronteggiano due uomini e due donne, per una delle quali dovrebbe servire da modello Sua moglie, con ogni discrezione […] il tutto mi si presenta agli occhi con vera forza e mi disturba perfino nel lavoro e ha completamente spinto da parte l’altro progetto, Das steinerne Herz, essendo tanto più vivo e più lieto”. (ivi, pp. 120-121)
Dei due progetti il primo ad essere realizzato fu quello dell’Arianna auf Naxos, sebbene Strauss sembrasse all’inizio maggiormente interessato all’altro che, poi, sarebbe diventato La donna senz’ombra. A tale proposito sembra risolutiva una lettera di Hofmannsthal il quale immaginava la Arianna auf Naxos come una forma di appendice ad una riduzione librettistica in due atti del Bourgeois gentilhomme di Molière. Il drammaturgo scriveva a Strauss il 15 maggio 1911:
“Ora però cambia la canzone: ho il Molière. Io avevo sempre pensato a qualcuno dei suoi lavori meno noti, e invece a Parigi mi è balenato quanto perfettamente il Bourgeois gentilhomme si presti per innestarvi un divertissement operistico. Ha 5 atti che posso restringere senza alcuna fatica a 2, lascio via la scena turca […], e con la scena turca cade naturalmente tutto l’intreccio secondario, cadono i personaggi della figlia di Cléante, di Covielle, più di un terzo del lavoro. Il divertissement Arianna auf Naxos sarà eseguito dopo il diner davanti a Jourdain, al Conte e all’incerta Marchesa, con brevi commenti qua e là degli spettatori, e conclude tutto il lavoro. Il manifesto viene così:

Der Bürger als Edelmann
Commedia con danze di Molière nella antica traduzione di Bierling (1751), adattata da Hugo von von Hofmannsthal.
Personaggi….
A chiusura della seconda parte:
Divertissement:
Ariadne auf Naxos (Musica di Richard Strauss) (Ivi, pp. 124-125)

Nelle intenzioni di Hofmannsthal, dunque, Ariadne auf Naxos doveva essere una sorta di appendice ad una riduzione in due atti della comédie-ballet di Molière, per la quale nel 1670 Lully aveva composto delle musiche di scena, e che era stata tradotta in tedesco da Konrad Bierling in una mescolanza di parti recitate ed altre musicali che, secondo il librettista, dovevano essere inserite anche all’interno della commedia recitata. Strauss, per questa parte iniziale, avrebbe dovuto scrivere, infatti, come indicato da Hofmannsthal sempre nella lettera già citata, dei piccoli balletti, che dovrebbero essere brevissimi. Per questo lavoro l’affiatamento tra il compositore e il suo librettista fu tale da coinvolgere, nella fase di elaborazione dell’opera, anche il regista Reinhardt, come si evince da questo breve biglietto non datato, ma presumibilmente risalente a un periodo posteriore al 20 maggio 1911: “Ecco appena un abbozzo dell’adattamento in due atti, ancora senza tagli, affinché Lei possa orientarsi. Il fatto che la commedia non abbia la sua pointe, come Ella giustamente ha notato, torna proprio a nostro vantaggio dell’innesto del nostro divertissement. Difficilmente si potrebbe attaccare un’opera a una commedia che si concluda bene e con effetto. L’epilogo l’ho discusso con Reinhardt, e tutto sarà tornito in modo eccellente dal punto di vista scenico, con un cerimoniale di grande divertimento” (Ivi, p. 128).
Strauss, da parte sua, aveva già in mente la tipologia e l’ordine dei pezzi musicali da inserire nell’opera, dando, in una lettera del 20 maggio,dei suggerimenti per la redazione del testo poetico delle arie di agilità:
“Riguardo alla forma delle famose arie d’agilità si faccia cantare dalla Kurz: Sonnambula, Lucia, l’aria dal Pré-aux-Clercs di Hérold, Gilda, e i rondò di Mozart” (Ivi, p. 129).
L’opera, la cui composizione fu iniziata alla fine di maggio del 1911, come si evince da una lettera di Strauss nella quale il compositore afferma di avere l’ouverture, le prime danze e qualche altra cosa in appunti (ivi, p. 132), fu completata il 21 luglio 1912, ma non vide le scene prima del 25 ottobre dello stesso anno alla Kleines Haus del Königliches Hoftheater di Stoccarda. La prima fu ritardata da tutta una serie di problemi inerenti sia la scelta del teatro, che, per le caratteristiche dell’opera, avrebbe dovuto avere delle dimensioni contenute, sia la presenza o meno di Reinhardt, voluto a tutti i costi da Hofmannsthal a differenza di Strauss più disponibile verso altre soluzioni. L’unico teatro, disposto ad accogliere non solo Reinhardt, ma anche la compagnia del suo Deutsches Theater, fu quello di Stoccarda dove l’opera andò in scena sotto la direzione di Strauss con Maria Jeritza (Arianna), Herman Jadlowker (Bacchus) e Selma Kurz (Zerbinetta) ottenendo un discreto successo, per nulla paragonabile a quello del Rosenkavalier.

Il pubblico, probabilmente, aveva percepito come noiosa la commedia di Hofmannsthal che rimase deluso tanto da proporre a Strauss un rifacimento dell’opera. Il compositore, inizialmente poco incline ad apportare delle modifiche (In ogni caso non credo si giustifichi il Suo desiderio che la seconda versione sia considerata l’unica e definitiva. Per me la prima versione è giusta, e la seconda un espediente), cercò sempre di minimizzare l’atteggiamento del pubblico e in una lettera del 15 dicembre 1913 scrisse al suo librettista:

“Non è il caso di mandar tutto al diavolo quando si legge che il pubblico dell’incantevole commedia musicale di Wolf-Ferrari e Batka si è squisitamente dilettato per tutta la serata, mentre con il nostro breve Molière, in cui Ella davvero ha tenuto soltanto ciò che è divertente e caratteristico, si annoia a morte e non vede l’ora che finalmente cominci l’opera? Bisogna sorbirsi tutto questo? Non ha nessuno fra i Suoi amici, Schnitzler o Bahr o chiunque sia, che dica una buona volta una parolina energica e di vasta eco che la faccia finita con la leggenda del Bourgeois noioso? Una leggenda che si è creata e diffusa con capacità di suggestione in tutto il mondo per la banalissima circostanza che alla prima esecuzione di Stoccarda, a causa di 2 intervalli di 50 minuti ciascuno, dovuti esclusivamente al ricevimento del re, il pubblico dovette aspettare 3 ore prima di poter ascoltare l’opera del compositore Strauss tanto a lungo attesa e sentì questa impazienza come noia per la commedia di Molière- Hofmannsthal” (ivi, p. 260).
Nonostante le perplessità inizialmente manifestate, Strauss decise di assecondare il progetto del suo librettista e tra il mese di aprile e il 20 giugno del 1916 l’opera fu completata e in questa seconda versione fu rappresentata il 3 ottobre 1916 a Vienna sotto la direzione di Franz Schalk con Maria Jeritza (Arianna), Selma Kurz (Zerbinetta), Béla von Környey (Bacchus).

L’opera
Il prologo
L’opera è aperta da un breve, scorrevole ed elegante preludio nel quale Strauss cercò di fare una sintesi tra le sue due sezioni piuttosto diverse: il Prologo ambientato nella Vienna del XVIII sec. e la vera e propria opera caratterizzata da un’azione mitologica. Il preludio si configura, quindi, come un pot-pourri dei motivi principali dell’opera della quale non disegna la trama, impossibile da ricostruire in una breve pagina orchestrale soprattutto se si considera il carattere eterogeneo delle due parti che la compongono, ma ne presenta i personaggi. Esso si apre con un tema che rappresenta, in modo quasi autobiografico e nello stesso tempo eroico, la figura del compositore la cui personalità appare delineata da due motivi contrastanti: il primo di essi, che per l’uso dei ritmi puntati ricorda quello del Don Quixotte, è l’espressione, grazie al suo profilo ascendente, dello slancio passionale del compositore intento a perseguire i suoi ideali artistici, mentre il secondo, discendente, sembra mostrare lo scacco di queste aspirazioni e la conseguente delusione.
Dalle profonde sonorità dei corni e dei fagotti emerge il tema che introduce l’ingresso di Bacco, mentre, subito dopo, gli archi intonano un cullante tema in terzine che ritornerà nel momento in cui Arianna sta per passare nell’aldilà e a cui si sovrappone un tema discendente che nell’opera sarà intonato da Bacco.
Dopo questa parte iniziale, nella quale vengono presentati i personaggi seri dell’opera, il preludio passa a delineare la figura dell’unico personaggio comico, Zerbinetta, che fa da trait d’union tra il prologo e l’opera, in quanto presente in entrambi; qui la donna è rappresentata con il tema principale della farsa L’infedele Zerbina. È questa una brevissima parentesi, in quanto il tema del passo di Bacco die Höhle deiner Schmerzen / zieh ich zur tiefsten Lust um dich und mich, tratto dall’ultima scena dell’opera, ricorda al pubblico che, nella parte mitologica, sta assistendo a un dramma di amore e morte. Infine, quasi ad alleggerire l’atmosfera, sono introdotti da Strauss il tema del balletto delle maschere e quello del rondò di Zerbinetta.
Già nella prima scena appare evidente il carattere metateatrale dell’opera, dal momento che il Maggiordomo e il Maestro di musica, affaccendati nei preparativi per una rappresentazione operistica che dovrà aver luogo nella casa del più ricco signore di Vienna, parlano delle modalità con cui si deve svolgere la rappresentazione. In particolare il Maggiordomo, che si esprime esclusivamente recitando (Womit kann ich dienen? / In che posso servire?), afferma l’intenzione del suo signore di voler far rappresentare, insieme all’opera, una pantomima-buffa, ipotesi che il Maestro di Musica rifiuta con forza. Sordo alle proteste del Maestro di Musica, il Maggiordomo  impone la volontà del suo padrone la cui forza consiste nel detenere il potere economico al quale l’arte sembra assoggettarsi in un contesto ironico accentuato anche dalla prosaicità della parte di questo personaggio, interamente recitata, a cui si contrappone quella del Maestro di Musica che dà vita ad un recitativo accompagnato. In questa parte, che dovrebbe rappresentare le aspirazioni dell’arte, l’ironia di Strauss si esercita attraverso la riproposizione in orchestra del tema della farsa L’infedele Zerbina con il quale il pubblico ha imparato già a familiarizzare nel preludio.
Subito dopo entra in scena il compositore (Lieber Freund! Verschaffen Sie mir die Geigen / Caro mio, mandatemi qui i violini), la cui giovinezza è resa vocalmente dalla scelta di Strauss di affidare la parte a un soprano (en travesti). Il suo esordio, musicalmente caratterizzato con il tema iniziale del preludio che viene sottoposto a delle rielaborazioni nella parte orchestrale, mostra immediatamente l’entusiasmo giovanile del ragazzo, la cui opera deve essere eseguita. Il compositore, dopo essersi lamentato del fatto che i musicisti stiano pranzando a un quarto d’ora dall’inizio dell’Arianna, cerca, intonando un passo dell’aria di Bacco, il tenore per provare ancora una volta questo pezzo ottenendo un secco rifiuto. Giunge Zerbinetta (Erst nach der Oper kommen wir daran / Sol dopo «Arianna» toccherà a noi) la quale, sempre in una scrittura da recitativo accompagnato, si lamenta del fatto che non sarà facile per loro far ridere quei baroni dopo aver sbadigliato con l’Arianna. In realtà l’intervento di Zerbinetta offre lo spunto per un momento autoironico costituito dalle parole del Maestro di Musica che, presa in disparte la donna, le dice:
“Sie werden leichtes Spiel haben, Mademoiselle. Die Oper ist langweilig über die Begriffe, und was die Einfälle anlangt, so steckt in meinem linken Schuhabsatz mehr Melodie als in dieser ganzen »Arianna auf Naxos”. (Sarà ben facil cosa per Lei, Signorina. – Questa «Arianna» è un sonnifero quale io non so dirle; e quanto al succo, alle idee, ne’ tacchi de’ miei scarpini v’è assai più melodia di quella che non v’abbia nell’«Arianna» tutta intera!).
Il Compositore, avendo appreso che alla sua Arianna seguirà una farsa, si mostra inorridito, mentre l’orchestra ironizza su questo suo sentimento con un tremolo degli archi, sostenuti dai timpani, su una settima diminuita, accordo romantico per eccellenza particolarmente idoneo a rappresentare i momenti di tensione, ma che qui risulta ironico in quanto rapportato al contesto in cui viene inserito. L’orrore del compositore esplode in un lungo monologo (Ich mag mich nicht beruhigen / Pe’l Cielo, non vo’ calmarmi) accompagnato dall’orchestra che esegue alcuni temi della seconda parte della sua opera in un gioco ironico. Durante il monologo il Compositore si mette anche ad improvvisare, accompagnato da un’orchestra il cui organico è ridotto ad una compagine cameristica, una parte del testo della sua opera (Du, Venus’ Sohn – gibst süßen Lohn / Cupido, assai – piacer ne dài) su una scrittura lirica di ascendenza tardo-romantica. Questo tema sarà tagliato nell’Opera che il Compositore sarà costretto ad accorciare per dare spazio alla farsa. Ancora una volta si può leggere una critica, non troppo velata, nei confronti del pubblico che non comprenderebbe la vera arte preferendo il facile divertimento di una farsa. L’autoironia di Strauss sull’Arianna prosegue nelle parole del Maestro di ballo (Im Gegenteil. / O, niente affatto) che, rispondendo a Zerbinetta, la quale, accompagnata dal pianoforte, avrebbe voluto dare il ballo prima dell’opera, caldeggia la scelta di rappresentare l’Arianna dopo il pranzo e, quindi, prima del ballo in modo che, fatto un sonnellino, gli invitati possano mettersi subito dopo a danzare leggeri. Ancora una volta l’orchestra partecipa allo spirito ironico che informa il prologo accompagnando il maestro di ballo con un’arietta di danza dalla struttura tripartita (A-B-A1). I preparativi per l’imminente rappresentazione di Arianna vengono interrotti dall’intervento dei timpani che, riprendendo, in modo ironico e in una forma rielaborata, il celeberrimo passo dei timpani collocato ad apertura di Also sprach Zarathustra, annuncia l’ingresso del Maggiordomo latore delle decisioni del padrone di casa, quasi novello Zarathustra. Sempre in forma recitata l’uomo annuncia un nuovo cambiamento di programma, disposto dal Conte che ha deciso di far rappresentare prima la farsa L’infedele Zerbinetta e, dopo, l’Arianna contemporaneamente al ballo. Le parole del Maggiordomo creano sorpresa e sgomento negli artisti e soprattutto nel compositore che vede la sua opera ridimensionata, mentre ci si interroga su come si possa rappresentare contemporaneamente una pantomima danzata e un’opera lirica. Accompagnato dal tema che lo caratterizza, il compositore, inorridito, vorrebbe andar via, ma viene trattenuto dal Maestro di Musica il quale gli ricorda che avrebbero perso il compenso di 50 ducati, marcando, ancora una volta, l’amara ironia di Strauss e di Hofmannsthal contro un’arte che, soggetta alle leggi del mercato e del vile denaro, si prostituisce. Il Maestro di Ballo, inoltre, afferma che è necessario apportare dei tagli alla partitura e suggerisce al Maestro di musica di fare comprendere al giovane compositore che è preferibile farla eseguire con dei tagli piuttosto che non farla eseguire affatto. Si decide di chiamare Zerbinetta che, in quanto maestra nell’improvvisazione, è giudicata particolarmente idonea ad operare i tagli, mentre le liti tra i cantanti sulle parti da tagliare costituiscono una nuova occasione per ironizzare sull’asservimento dell’opera lirica ai cantanti. Zerbinetta conosciuta la trama dell’opera, vorrebbe sostituire il finale tragico, la morte di Arianna, con un lieto fine in cui la donna s’innamorerebbe di un altro giovane, ma la sua proposta è nettamente rifiutata dal compositore. Qui Strauss, per caratterizzare i due personaggi, costruisce due mondi musicali diversi e contrastanti, di cui quello del compositore appare pervaso di lirismo, mentre quello di Zerbinetta è brillante, ironico, come si addice ad una commediante; la loro diversa caratterizzazione viene marcata anche dalle scelte strumentali dal momento che il compositore è accompagnato dai nobili archi, dall’arpa, dagli ottoni e dall’Harmonium, mentre Zerbinetta dal pianoforte. Diversa è la funzione dei legni che, invece, accompagnano ora l’uno ora l’altra senza caratterizzare specificamente uno di loro. I loro due mondi, pur così diversi e contrastanti all’inizio, alla fine di questo “dialogo”, sembrano incontrarsi nell’amore che sboccia tra i due personaggi. Questo incontro si svolge anche sul piano musicale nel lirico a solo di Zerbinetta (Ein Augenblick ist wenig – ein Blick ist viel. / l’attimo, un breve lampo; lo sguardo, eterno!) accompagnato da un tessuto orchestrale nel quale emerge la grande maestria di Strauss nel contrappunto e nell’orchestrazione con gli archi divisi. In realtà sembra che Strauss e Hofmannsthal abbiano voluto affermare, in questo passo, l’unico autenticamente serio del Prologo, come l’opera d’arte sia la sintesi dell’ispirazione nobile dell’artista e del mestiere impersonato da Zerbinetta la quale, da vera commediante dell’arte, è maestra in quell’improvvisazione che si acquisisce con il mestiere appunto. Questo momento di incanto è interrotto da un accordo di re minore da cui scaturisce un rapido disegno del pianoforte che annuncia l’arrivo del Maestro di Musica il quale richiama tutti all’ordine:
“An Ihre Plätze, meine Damen und Herren! Arianna! Zerbinetta! Scaramuccio, Harlekin! Auf die Szene, wenn ich bitten darf!” (Ai loro posti, Signore e Signori! Arianna, Zerbinetta, Scaramuccia, Arlecchino! Presto, in iscena!… Via!… S’affrettino!)
La Primadonna non vorrebbe salire sul palcoscenico insieme a Zerbinetta, ma è convinta dal Maestro di Musica che le fa notare come solo in tal modo potrà risaltare quell’abisso che c’è tra la sua arte e quella della commediante. Il Compositore, accompagnato dai suoi temi, inneggia alla musica, all’arte e alla vita mostrando un atteggiamento ottimistico che prima aveva del tutto perduto, ma che presto si tramuta in sdegno quando vede le maschere della commedia dell’arte pronte a recitare nella sua opera. Il Compositore, vittima di un equivoco a causa del quale avrebbe acconsentito a questo turpe connubio, se la prende con il Maestro di Musica che gli rinfaccia di esser stato lui a permetterlo, mentre il Prologo si conclude in modo brillante.

L’Opera

L’Opera inizia con una classica ouverture italiana dalla struttura bipartita (Andante-Allegro), il cui Andante iniziale, basato su due elementi tematici, dei quali il primo, esposto dagli archi, è costituito dal tema su cui si basa il lamento di Arianna, mentre il secondo, introdotto dai legni, richiama quello del Compositore, è maggiormente sviluppato rispetto all’Allegro, di cui protagonista è un tema agitato che richiama ancora una volta quello del compositore.
Su un tema derivato dall’ouverture la Naiade e la Driade (Schläft sie? / Dorme?), alle quali si unisce Echo, contemplano Arianna; la figlia del re di Creta è triste perché è stata abbandonata nell’isola di Nasso da Teseo, da lei aiutato ad uccidere il Minotauro. La Naiade, la Driade ed Echo danno vita ad un trio elaborato dal punto di vista contrappuntistico ed aperto da un vocalizzo di carattere madrigalesco (Ach, wir sind es eingewöhnet / Ah, quai lacrime ella asconde). Accompagnata da una viola e dall’Harmonium, Arianna inizia il suo lamento (Wo war ich? tot? und lebe, lebe wieder / Ov’ero? Morta? E vivo? Son rinata?) che, dal punto di vista formale, è una sorta di contaminatio tra l’aria col da capo barocca e la scena ed aria dell’opera dell’Ottocento modificata con l’originale intervento di Arlecchino. Il lamento si apre con una scrittura musicale caratterizzata dall’alternanza del tritono ascendente con il semitono ora ascendente ora discendente che presenta un carattere lamentoso. Al canto lamentoso di Arianna si conforma anche un personaggio comico come Arlecchino (Wie jung und schön und maßlos traurig! / Ell’è giovine, bella e molto triste!) che partecipa al dolore della donna insieme a Zerbinetta, Brighella e Truffaldino. Il corno, prima, e il violoncello raddoppiato dal fagotto, dopo, introducono, con il tema di Teseo ed Arianna, il vero e proprio monologo (Ein Schönes war, hieß Theseus-Arianna / Un solo cuore fu «Teseo-Arianna!) dalla struttura tripartita A-B-A1 con una coda, di cui la sezione centrale, che corrisponde nel testo alle parole Ich will vergessen! (Io vo’ obliare), musicalmente è una citazione della sezione in Allegro dell’ouverture. Arianna, in questo monologo, che in certi passi assume contorni deliranti, cerca l’oblio e soprattutto un ritorno alla fanciullezza perduta. All’interno del monologo si inserisce l’aria di Arlecchino (Lieben, Hassen, Hoffen, Zagen / Odio, amor, speranza e tema!), un piccolo gioiello musicale dalla vaga forma del rondò e caratterizzato da una melodia semplicissima dalla struttura fraseologica simmetrica. Con le parole Es gibt ein Reich, wo alles rein ist / Es hat auch einen Namen: Totenreich (Un Regno, v’ha, divino e puro / ed ha un suo nome austero e sacro: l’Érebo.) inizia l’ultima parte del monologo nella quale, in un crescendo di esaltazione, la donna invoca la liberazione dalle pene che solo la morte può concederle.
Segue il cosiddetto intermezzo dei comici (Die Dame gibt mit trübem Sinn / Sich allzusehr der Trauer hin / La Dama è triste; e troppo, ahimè, in braccio al pianto, ormai si diè) che si apre con un pezzo d’insieme, un settecentesco quartetto formato da Brighella, Scaramuccia, Arlecchino e Truffaldino, nel quale sono commentate le pene prodotte dall’amore. Musicalmente il quartetto, dopo una sezione iniziale di carattere omoritmico, si sviluppa nella parte centrale secondo la forma del canone con Brighella che introduce un tema già utilizzato da Strauss nel prologo. Nel corso del quartetto interviene, con un secondo tema di carattere lirico, anche Zerbinetta protagonista del successivo Recitativo ed Aria (Großmächtige Prinzessin, wer verstünde nicht / O, fiera Principessa, chi non vede), unico vero e proprio pezzo chiuso concepito secondo le strutture formali tradizionali dell’opera e di conseguenza l’unico brano che ha goduto di una certa fortuna anche in sede concertistica. Durante il recitativo, inizialmente secco, in quanto sostenuto dal pianoforte che svolge la funzione del clavicembalo, e poi, accompagnato quando incominciano ad intervenire gli altri strumenti dell’orchestra, la donna si rivolge ad Arianna, ricordandole che l’amore è stato la causa di tante delusioni e anche lei non è rimasta immune. In realtà l’amore per Zerbinetta è un puro gioco di seduzione e tradimenti, come si apprende nella vera e propria aria (So war es mit Pagliazzo / Così fu con Pagliaccio), formalmente una cavatina ed aria settecentesca, è introdotta da una cadenza virtuosistica in cui l’orchestra tace e lascia la scena alla donna. La prima è costruita su un tema semplice di vaga ascendenza mozartiana, mentre la seconda si conclude con un Rondò (Als ein Gott kam jeder gegangen / Quale un Dio ciascun incedeva) basato su un tema di carattere viennese. Un breve recitativo, nel quale Arlecchino e Zerbinetta commentano il comportamento di Arianna, conduce al quartetto (Eine Störrische zu trösten / Consolare una ritrosa) il cui carattere viennese è evidente nella scelta di costruire tutto il brano in 6/8, tempo che può essere interpretato sia come un doppio 3/8 dando l’impressione di una valzer veloce, o come un lento 3/4. Le maschere, in quest’occasione, espongono una meditazione piuttosto leggera sul tema dell’amore.
Quest’atmosfera leggera cede il posto al dramma che viene annunciato da uno squillo di tromba la cui funzione è quella d’introdurre l’ultima parte dell’opera; qui Eco, Naiade e Driade annunciano l’arrivo di Bacco del quale narrano l’origine divina e le peripezie della sua vita fino all’arrivo nell’isola di Circe. In questo passo, tra i vari temi che si odono in orchestra, emerge il tema di Bacco, il cui ingresso (Circe, kannst du mich hören? / Circe, puoi, dunque udirmi?) da tenore eroico sullo squillo della tromba, contraddice le caratteristiche vocali che ci si sarebbe attese da una divinità ancora fanciullesca. Strauss sembra esercitare una certa ironia su questo personaggio e soprattutto sulla tradizione wagneriana dei tenori eroici. Il dio, accompagnato dallo squillo di tromba già udito all’inizio di quest’ultima parte dell’opera, si rivolge a Circe sulla quale celebra il suo trionfo, essendo riuscito a sfuggire ai suoi incantesimi. Al suo canto si unisce prima quello di Arianna e poi quello del trio (Naiade, Driade ed Eco) che, in una scrittura semplice da berceuse e sostanzialmente omoritmica, lodano la dolcezza del dio che, per niente dolce e leggiadro, interviene ancora una volta con le stimme del tenore eroico. Arianna, che crede Bacco messaggero di morte, si rivolge a lui (O Todesbote! süß ist deine Stimme! / Funereo Messo! Dolce hai, tu, la voce!) insistendo sulla dolcezza della voce del dio che naturalmente stride con le caratteristiche vocali con le quali Strauss ha tratteggiato il personaggio. La donna prega Bacco di volerla condurre nel regno dei morti con una solennità caratterizzata da valori larghi nella parte orchestrale dove è possibile notare anche una scrittura omoritmica quasi da corale, ma ha un sussulto, quando, avendo visto il suo volto, lo scambia per Teseo. Subito dopo, Arianna comprende che non si tratta di Teseo, ma continua a crederlo messaggero di morte (Nein! nein! es ist der schöne stille Gott! No, no! Il bello Iddio silente egli è); il dio, da parte sua, sorpreso per la presenza di una donna su un’isola deserta, teme di trovarsi di nuovo di fronte a Circe (Du schönes Wesen? Bist du die Göttin dieser Insel? / Sublime Forma! Sei la Dea, tu, di questo loco?). Il lungo duetto, a cui danno vita Bacco e Arianna, si trasforma in una forma di commedia degli equivoci, in quanto la donna crede Bacco il messaggero della morte e questi non comprende quale sia la vera identità di Arianna. In realtà Bacco sembra rimanere sordo alle parole di Arianna alla quale si rivolge dicendo: Wie? kennest du mich denn? Hast du vordem von mir gewußt? (Che? Sai tu ch’io mi sia? Or qui d’un nome strano m’accogliesti!), mentre il violoncello intona un tema che diventerà protagonista nel duetto e alla fine si configurerà con quello dell’esaltazione e morte. Arianna chiede al dio di essere trasportata agli Inferi, mentre tra i due incomincia a nascere un’attrazione reciproca che porta la donna quasi a dimenticare Teseo per Bacco con il quale dà vita ad un duetto d’amore di intenso lirismo (Gibts kein Hinüber? Sind wir schon drüben? / Non àvvi l’Al di là? Giunti noi siamo?), mentre un baldacchino scende lentamente dall’alto sui due e li nasconde nell’apoteosi finale a cui partecipa anche l’orchestra.
La versione del 1912
Notevolmente diversa dalla versione del 1916, quella del 1912 aveva, come già accennato in precedenza, una struttura molto particolare con una Comédie-Ballet, Der Bürger als Edelmann ridotta nell’edizione in ascolto a dei monologhi recitati da Monsieur Jourdain che servono a collegare le varie musiche di scena. Nella versione originale, dopo una settecentesca ouverture formata da tre episodi: uno toccatistico che funge da refrain; uno pomposo, nel quale le trombe sostenute dai corni espongono il tema di Jourdain, e, infine, uno più tenero con un ritmo di siciliana, il Maestro di Musica e il Maestro di Ballo, a cui si unisce, poco dopo, il padrone di casa annunciato da uno dei temi dell’ouverture (Auftritt des Jourdain), discutono delle loro rispettive arti. Il Maestro di musica presenta al padrone di casa non solo il compositore dell’Ariadne auf Naxos, opera che dovrà essere rappresentata quella sera stessa nella casa del ricco borghese, ma anche i cantanti, tra cui quello che interpreterà la parte di Echo; questi canta l’aria Du, Venus, Sohn, il cui tema è già stato utilizzato nell’ouverture e che Strauss riprenderà in un’aria del Compositore nella versione del 1916. Jourdain non sembra particolarmente colpito dalla musica di quest’aria che egli giudica noiosa e, per rimarcare i suoi gusti musicali, canta una banale aria popolare da lui conosciuta (Ich galubete, mein Schätzchen). Il Maestro di Musica, allora chiede alla Naiade e alla Driade di eseguire un duetto (Kenst du ewig nichts als Kälte), il cui stile mostra evidenti legami con i duetti della Comèdie-Ballet.
La discussione si sposta sulla danza e Jourdain si rivolge al Maestro di Ballo che vorrebbe fare eseguire il divertissement L’infedele Zerbinetta e i suoi quattro amanti. Jourdain, tuttavia, vuole che si esegua un Minuetto per il quale Strauss avrebbe voluto riprendere quello scritto da Lully per la pièce di Molière, ma che decise di scartare a favore di un minuetto per due flauti che egli aveva composto per un balletto, Kythère, lasciato incompiuto. Mentre Jourdain sta facendo la sua lezione di ballo, giunge, annunciato da un ironico brano di carattere marziale (Szene des Fechtmeisters), di cui protagonista è il pianoforte con passi di carattere virtuosistico, il Maestro d’armi. Dopo entra anche il sarto, accompagnato da una stilizzata Gavotte, a cui seguono, sempre all’interno dello stesso brano, una Polonaise e una breve sezione di transizione prima della ripresa della Gavotta e dalla Polonaise. Nel frattempo giungono la moglie di Jourdain e la sua serva che, mentre si prendono gioco del suo abbigliamento, sono interrotte dall’arrivo di Dorante venuto apparentemente per rimborsare a Jourdain un’ingente somma di denaro avuta in prestito. L’uomo, che in realtà era venuto a chiedere un ulteriore prestito, parla della bellezza della Marchesa Dorimena, in onore della quale era stata organizzata quella serata. Il primo atto si conclude con l’orchestra che esegue di nuovo l’ouverture.
Il secondo atto si apre con un preludio, il cui tema, Andante, Elegante e grazioso, accompagna Dorante che corteggia Dorimena; su due accordi lunghi e tenuti (due triadi, una di do maggiore e l’altra di si maggiore) si apre il sipario che scopre Jourdain non ancora pronto. La donna, che appare imbarazzata per le avances ricevute da Dorante, viene riverita in modo maldestro e goffo da Jourdain rientrato sulla scena. All’annuncio che la cena è pronta l’orchestra intona una musica di carattere parodistico. Questa scena fu suggerita da Reinhardt ad Hofmannsthal proprio per consentire al compositore di costruire una parodia su brandi d’opera di altri compositori; nelle battute iniziali è inserita una Grande Marcia che ricorda in modo ironico quella del Profeta di Meyerbeer, mentre in corrispondenza del primo piatto, un salmone del Reno, appare citato un passo dell’Oro del Reno. Per il secondo piatto, un cosciotto d’agnello, e dei piccioni Strauss cita dei passi tratti dai suoi lavori e in particolar modo un tema del suo Don Quixotte, nel quale emerge la voce del violoncello solista, e un altro del Rosenkavalier. Non manca, infine, una parodia del Brindisi della Traviata di Verdi, mentre l’ultimo piatto è un’omelette surprise, dove la sorpresa è data da un ragazzo della cucina che improvvisa una danza selvaggia ed erotica a simboleggiare la passione di Dorante per Dorimena. Alla fine della cena la moglie di Jourdain, irritata, accusa Dorimena di voler sedurre suo marito e questa, profondamente offesa, abbandona la tavola, mentre Jourdain chiama i suoi servi senza sapere quali ordini impartire loro. Secondo le intenzioni di Hofmannsthal la pièce avrebbe dovuto concludersi qui, ma questa conclusione apparve debole a Strauss che pretese alla fine una scena di collegamento. È qui, quindi, che si inserisce la scena in cui Jourdain ordina che l’Opera e la commedia vengano rappresentate contemporaneamente.
Per quanto riguarda l’Opera non ci sono sostanziali differenze tanto più che in questa registrazione sono state tagliate le interruzioni, eliminate anche nella versione del 1916, fatte da Jourdain durante il lamento di Arianna da lui ritenuto troppo noioso. Molto diversa è nella versione del 1912 anche l’aria di Zerbinetta dal momento che comprende, oltre a dei metateatrali a parte con il direttore d’orchestra nei quali la donna si prende gioco delle convenzioni operistiche, 39 battute nella parte centrale e 40 nella parte finale, che furono sostituite da Strauss con una coda più breve. Nella versione del 1912 si potevano, inoltre, ascoltare una seconda lunga aria di Zerbinetta, con la quale la donna, dopo l’intervento di Bacco, cerca in un linguaggio stravagante di rivelare ad Arianna la vera identità del dio, e un interludio orchestrale che, invece, accompagnava la vera e propria apparizione di Bacco davanti ad Arianna. Infine l’ultima differenza riguarda il finale dell’opera, dove, nella versione del 1912, i commedianti ritornano sulla scena per concludere in modo lieto la rappresentazione. Jourdain, che si è addormentato, resta solo comprendendo di essere lontano da quella condizione nobiliare che non gli appartiene per nascita e per avere la quale sarebbe pronto a dare tutti i suoi averi, mentre un tema affidato alle trombe conclude l’opera.