Richard Strauss (1864 – 1949) – 17: “Friedenstag” (1938)

Richard Strauss (Monaco di Baviera 1864 – Garmisch-Partenkirchen 1949)
Friedenstag” (Giorno di pace) op. 81, Opera in un atto su libretto di Joseph Gregor
Prima rappresentazione: Monaco, Staatsoper, 24 luglio 1938

Nonostante la convinzione di Strauss che l’opera fosse un genere del tutto superato, il tarlo del teatro continuava a roderlo tanto che, già durante la composizione di Die Schweigsame Frau, cominciò a cercare, insieme con Zweig, un nuovo soggetto. Strauss, che aveva avuto modo di apprezzare le qualità di Zweig proprio in occasione della composizione di Die Schweigsame Frau riteneva di aver trovato nel drammaturgo di origine ebraica un nuovo Hofmannsthal. Zweig, da parte sua, onorato ed entusiasta di andare incontro alle richieste del grande compositore tedesco, agli inizi degli anni ’30, nel pieno della collaborazione per Die Schweigsame Frau, gli aveva proposto ben 18 soggetti, in genere commedie, tra cui spiccano una Mirandolina, tratta dalla Locandiera di Goldoni, la Calandria dall’omonimo lavoro di Bernardo Dovizi da Bibiena, l’Anfitrione ispirato all’omonimo lavoro di Kleist e L’ebrea di Toledo tratta dall’omonimo Vega-Grillparzer oltre all’ambizioso progetto di riprendere il libretto dell’abate Casti, Prima la musica, poi la parola. La scelta, infine, sembrò ricadere su un dramma militare, 24 Oktober 1648, il cui scenario, in tre quadri, fu inviato da Zweig a Strauss il 21 agosto 1934. Era questo un periodo felice per il drammaturgo le cui opere potevano essere ancora vendute, come egli stesso ricordò nel suo scritto autobiografico, Il mondo di ieri:
“Subito dopo l’incendio del Reichstag dissi al mio editore che i miei libri in Germania sarebbero stati ben presto un affare finito. Non dimenticherò mai la sua sorpresa e la sua protesta «Chi dovrebbe proibire i suoi libri» mi disse allora nel 1933. « Lei non ha mai scritto una parola contro la Germania, né mai si è immischiato di politica» È chiaro: tutti gli orrori, come i roghi di libri, le gazzarre attorno alla berlina, che pochi mesi dopo eran tutti reali, apparivano un mese dopo la salita al potere di Hitler, ed anche a persone di ampie vedute, eventualità inconcepibili […].Sino a quando non vi fu pericolo di prigione o di campo di concentramento, i miei libri, nel 1933 e nel 1934, vennero venduti malgrado ogni difficoltà quasi come prima. Ci volle il grandioso decreto «a protezione del popolo tedesco», in cui si dichiarava delitto la stampa, la vendita e la diffusione dei nostri libri, per staccare da noi con la violenza i milioni di tedeschi, i quali ancora oggi preferiscono legger noi ed accompagnare fedelmente l’opera nostra che non subirsi certi scrittori improvvisamente gonfiati, i poeti «del sangue e della terra»”.
Le già ricordate vicissitudini, che seguirono la prima di Die Schweigsame Frau, costrinsero Zweig e Strauss ad interrompere i rapporti nonostante il compositore continuasse a mantenere una relazione epistolare con il suo librettista il quale, però, non volendo lavorare in segreto, gli suggerì di rivolgersi a dei poeti ariani. Alla fine riuscì quasi ad imporre a Strauss il nome di Joseph Gregor che sarebbe diventato il suo collaboratore anche per le sue opere successive. Già al primo incontro con Gregor, avvenuto il 7 luglio 1935, Strauss impose le sue idee al suo nuovo collaboratore pretendendo per la nuova opera, che avrebbe dovuto sviluppare lo scenario approntato da Zweig, una forma di glorificazione della pace. Il 24 ottobre 1648 corrispondeva al giorno in cui fu firmata la pace di Westfalia ponendo fine alla Guerra dei trent’anni, il primo conflitto che coinvolse quasi tutte le potenze europee eccezion fatta per la Russia e l’Inghilterra. Lo stesso Gregor raccontò le modalità in cui si svolse la loro collaborazione:
“Nei primi giorni del luglio 1935 la sceneggiatura del Friedenstag era pronta; comprendeva la disperazione nella città assediata e, nel cuore del comandante, il più alto sentimento del dovere, l’obbligo a non cedere dalla sua postazione, a qualunque costo. Il contrasto fra il suo stato d’animo e quello di tutta la città si ritrova, a un livello più basso, tra il marito e la moglie; è lei che sostiene l’ideale dell’Intesa, ma un profondo amore coniugale li avvicina, malgrado le divergenze d’opinione […]. Ho lavorato al testo del Friedenstag durante l’estate e l’autunno del ’35, in collaborazione con il Maestro, a Garmisch […]. Il nostro accordo sul soggetto delle parti in prosa del Friedenstag è stato completo”.
Zweig, tuttavia, continuò a collaborare nell’ombra al progetto intervenendo in modo più concreto sulla stesura del libretto e sulla scena dei due comandanti come è dimostrato anche dalla pubblicazione dell’epistolario intrattenuto tra Zweig e Gregor nel 1991. Ultimato il libretto, Strauss fu particolarmente rapido nella composizione dell’opera che, già pronta nel mese di gennaio 1936, dovette attendere due anni prima che potesse vedere le scene; essa fu rappresentata, infatti, per la prima volta, a Monaco il 24 luglio 1938, tra applausi di stima e fischi, sotto la direzione di Clemens Krauss, con Hans Hotter (comandante della città assediata), Viorica Ursuleac (Maria), a cui l’opera fu dedicata, Georg Hann (sergente maggiore), Julius Patzak (Caporale). L’opera, il cui messaggio pacifista era in stridente contrasto con l’aggressività militare nazista, dopo 98 repliche fu proibita in tutti i teatri tedeschi dal regime che nel frattempo aveva compreso l’inopportunità di una sua rappresentazione. In Italia fu rappresentata a Venezia nel 1940 sotto la direzione di Vittorio Gui in una versione metrica in italiano prima di sparire dai cartelloni teatrali nel dopoguerra eccezion fatta per due riprese a Monaco nel 1966 e nel 1988 in forma di concerto e al Teatro Massimo Bellini di Catania nel 1991.

L’opera

Formalmente una cantata, in quanto quasi del tutto priva di azione, il Friedenstag si svolge nella fortezza di una città tedesca cattolica assediata dai protestanti dell’Holstein il 24 ottobre 1648. Un tema, armonicamente instabile caratterizzato da quinte diminuite, che rappresenta l’incertezza indotta dalla guerra, e un altro tema puntato militaresco dipingono un efficace affresco dell’ambiente nel quale si svolge la parte iniziale dell’opera nella quale un soldato semplice informa il sergente maggiore che il nemico ha appena incendiato una fattoria. Nel frattempo giunge un soldato piemontese che ha varcato le linee nemiche per portare un messaggio dell’imperatore; quasi a marcare la speranza della pace, il soldato intona una canzone, La rosa che è un bel fiore, il cui testo sarebbe stato tratto, secondo quanto affermato dallo stesso Gregor, da un canto popolare udito nel Sud Tirolo. La struttura melodica del brano, estremamente semplice e regolare, apre uno squarcio di luce nella cupa atmosfera di questa parte iniziale dell’opera. Gli altri militari tedeschi fanno della facile ironia sul giovane piemontese che, a loro giudizio, non avrebbe mai conosciuto la guerra. Gli altri soldati, svegliatisi, sognano in realtà quella pace che non hanno mai conosciuto in un coro piuttosto convenzionale che comunque sembra non toccare la pace interiore del soldato piemontese il quale continua a cantare. Intanto si fa sempre più vicino un coro fuori scena; è il popolo che, affamato, chiede il pane tra temi marziali e rulli di timpani in una scrittura cupa a cui contribuisce anche un’armonia, per nulla condotta secondo i principi tradizionali, ma capace di evocare un’atmosfera tesa che cresce fino al parossismo. Temendo una sommossa, il sergente maggiore fa chiudere la porta e ordina ai soldati di puntare i fucili, ma in quel momento sulle note del tema iniziale costituito dalle quinte diminuite discendenti un ufficiale annuncia l’arrivo di una delegazione capeggiata dal Borgomastro e da un prelato. Una lugubre marcia funebre, il cui tema è esposto dai violoncelli e dalle viole su inquietanti colpi dei timpani, accompagna il popolo che prorompe, in una scrittura armonica instabile, nel grido Hunger (Fame). Interviene, allora, il comandante della fortezza che dall’alto di una scala, stringendo al petto un documento, domina la situazione con autorità. L’uomo decide di ricevere la delegazione formata dal Borgomastro e dal Prelato i quali, in una scrittura liricamente implorante, gli chiedono di consegnare la cittadella al nemico per evitare ulteriori sofferenze alla popolazione. Il Comandante oppone un netto rifiuto alle richieste della delegazione e in quel momento, accompagnato da un tema di carattere marziale, arriva dal fronte un ufficiale ferito che informa il comandante sulla consistenza delle munizioni a disposizione del suo reparto e sulla necessità di un rifornimento per poter resistere al nemico. Dopo aver opposto un netto rifiuto a questa richiesta, il comandante legge il documento che stringeva in petto in tono solenne e accompagnato dai timbri scuri degli ottoni; si tratta di una dispaccio con il quale l’Imperatore ordina di non abbandonare la città qualunque cosa accada. La lettura del dispaccio suscita profonda agitazione in una donna che maledice la guerra e nel popolo il quale, con tono implorante e in una scrittura corale che assume contorni solenni e quasi sacri, chiede al comandante di tornare indietro sulle sue decisioni. Questi, inizialmente, sembra propenso ad accogliere le richieste del popolo, ma alla fine, sempre accompagnato da ritmi marziali e dal lugubre tema della marcia funebre, chiede ai presenti di pazientare fino a mezzogiorno e promette loro di attendere il segnale per poter aprire la porta della città. Appena il popolo si allontana, riconoscente e speranzoso nella prossima fine della guerra, il Comandante, costretto dal dispaccio imperiale a non abbandonare al nemico la città, manifesta ai suoi sottoposti l’intenzione di chiudersi all’interno della fortezza e di farla esplodere. Diverse sono le reazioni e se il Sergente maggiore, il Comandante dell’artiglieria e la Sentinella si mostrano propensi a seguire il loro Comandante nel gesto suicida, di diverso avviso sono il Moschettiere e il Cornista che vorrebbero andar via. In una scrittura ancora una volta lugubre per la ripresa del tema della Marcia funebre il Comandante ordina di preparare la polvere da sparo.
La seconda parte di questo atto unico si apre con l’intervento pacificatore della moglie Maria, la quale, oppressa dalla situazione angosciante della cittadella, in un lungo monologo, dopo aver meditato sulla freddezza del marito che la trascura, perché preso dal suo dovere di soldato, si lascia cullare, in una scrittura di tenero lirismo, dai ricordi del passato e dal sogno di un avvenire migliore in cui possa tornare a regnare la pace. Con l’arrivo del Comandante ha inizio il lungo duetto nel quale la donna scongiura il marito a desistere dal suo proposito suicida, ma, di fronte all’atteggiamento risoluto dell’uomo che intende compiere il proprio dovere fino in fondo, decide di restargli accanto e di morire insieme a lui, nonostante questi cerchi di dissuaderla. In questa scena simbolicamente è celebrato il trionfo dell’amore coniugale sulla guerra e ciò appare evidente nel breve interludio orchestrale che, introdotto da Strauss alla fine del duetto, ripresenta una buona parte dei Leitmotiv sin qui esposti, ma trasfigurati in un trionfo di luce che sembra affermare la vittoria dell’amore sulla morte e sulla guerra.
Alla fine dell’interludio il ritorno di un’atmosfera lugubre fa intendere che sta per attuarsi la volontà suicida del Comandante, ma all’improvviso tre colpi di cannone introducono il lungo scioglimento finale costruito musicalmente come una preparazione al conclusivo inno di giubilo. Il Comandante, temendo un attacco nemico, ordina ai soldati di piazzarsi ai loro posti, ma intorno aleggia un’atmosfera tranquilla annunciata anche dal suono delle campane. In effetti le truppe dell’Holstein si stanno avvicinando, ma con delle bandiere bianche in segno di pace, come riferito dall’Ufficiale e giunge anche il Borgomastro con la sua delegazione felice per la pace testé siglata. In orchestra si sente una marcia gioiosa che contribuisce a creare quell’atmosfera di festa per la pace conclusa e accompagna l’ingresso sulla scena del capitano dell’Holstein che, sempre accompagnato dal tema della marcia, annuncia l’armistizio appena siglato. Questi dà la mano in segno di pace al Comandante il quale reagisce ponendo mano alla spada non volendo fare mai la pace con un eretico. Tra i due uomini si frappone la moglie con un nuovo intervento pacificatore, questa volta, risolutivo che conduce allo splendido “concertato” finale, pagina di rara bellezza e caratterizzata da una raffinata scrittura contrappuntistica nella quale il coro glorifica la pace e finalmente anche i due Comandanti cantano all’unisono in un ideale segno di riappacificazione e di comunione d’intenti. Protagonista di questo finale è il coro che intona un diatonico e trionfale inno di giubilo per la pace ricomposta e, rappresentando il popolo, desideroso di pace, sembra ricordarne al Reich il valore in un momento difficile della storia del vecchio continente alle prese con la crisi dei Sudeti e dell’Ansschluss e ormai sull’orlo del baratro per l’imminente Seconda Guerra Mondiale.