Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia: Concerto del Coro della Cappella Sistina

Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Stagione da camera 2016/17
Coro della Cappella Sistina
Direttore Mons. Massimo Palombella
Giovanni Pierluigi da Palestrina: “Nos Autem Gloriari”, “Christus factus est pro nobis”(Canto gregoriano); “Missa Papae Marcelli”;  “Ave Maria”.
Roma, 9 novembre 2016
La Cappella Musicale Pontificia, detta anche Sistina, oltre ad essere tra le istituzioni corali più antiche del mondo, ha la caratteristica unica di essere il coro del Papa. Presente fin dai primi secoli della storia della Chiesa, dopo varie vicissitudini fu riorganizzata da papa Sisto IV nel 1471 e da allora, in omaggio al pontefice e poiché solitamente il coro cantava nell’omonima cappella, è comunemente nota come “Cappella Sistina”.  Come scrive mons Palombella nell’interessante saggio di presentazione del concerto “nel  XVI secolo le Celebrazioni del Papa non si svolgevano nella basilica di San Pietro ma usualmente in Cappella Sistina perché l’attuale Basilica Vaticana era ancora  in costruzione. Il cantare in Cappella Sistina obbligava necessariamente alla ricerca di una sonorità di più intima percezione. La grande emotività di una massa sonora che canta in voce per riempire di suono le volte di una Basilica era sostituita dalla raffinata percezione del testo, dalla resa espressiva ed emotiva della parola attraverso il suono, dalle relazioni dialettiche emergenti dal linguaggio contrappuntistico inteso come componente intellettuale mossa dagli affetti”. A questo si aggiunsero le indicazioni emerse dal Concilio di Trento che, in riposta alle istanze presentate dalla riforma luterana in tema di un maggior avvicinamento del popolo alla liturgia, volle espressamente sottolineare la necessità di attenersi a due aspetti fondamentali  della musica sacra: la soppressione dei temi derivanti dalle canzoni profane che alteravano la dimensione mistica e spirituale della religiosità del culto e, soprattutto, l’importanza della chiarezza del testo la cui comprensione era resa difficile dalle eccesive fioriture della scrittura contrappuntistica. Oltre al suo principale impegno liturgico, la Cappella Sistina svolge regolarmente un’intensa attività concertistica allo scopo di promuovere la conoscenza della parola di Dio, l’evangelizzazione ed il dialogo ecumenico attraverso l’arte e la cultura per ricercare dei percorsi di unità del mondo cristiano attraverso recenti esibizioni con Cori luterani, anglicani ed ortodossi le quali oltre ad aver costituito l’occasione di un proficuo confronto artistico hanno felicemente e significativamente  posto l’accento anche per  ascoltatori non esperti sul fatto che siano molti di più gli aspetti che uniscono che non quelli che dividono la cristianità. In quest’ottica nascono questo primo concerto della Cappella Musicale Pontificia per la stagione da camera dell’Accademia di Santa Cecilia e probabilmente la scelta del programma. La Missa Papae Marcelli infatti oltre ad essere la messa polifonica più conosciuta di Giovanni Pierluigi da Palestrina, composta durante la lunga pausa di riflessione dei lavori del Concilio di Trento, avrebbe infatti secondo la tradizione contribuito a convincere  il Concilio del fatto che fosse possibile trovare una via di espressione artistica la quale, pur nell’ambito della polifonia, salvaguardasse e anzi privilegiasse la comprensione del testo in risposta al disappunto espresso in proposito da Papa Marcello II dopo le celebrazioni del venerdì santo del 1555. Dall’esecuzione diretta dal maestro mons Massimo Palombella è emersa infatti con estrema chiarezza la raffinatezza della scrittura contrappuntistica unita ad una facile intelligibilità del testo tale praticamente da non richiederne la lettura nel programma di sala. Magnifici l’uso delle messe di voce e la tavolozza dei colori trovati per le varie parti dell’Ordinario della Messa. Di particolare presa emotiva e tale da restare impresso della memoria  il suono aereo, trasfigurato e metafisico dell’Agnus Dei. L’acustica della sala Sinopoli nella quale si è svolto il concerto forse un po’ più asciutta di quella nelle quali questo repertorio viene usualmente eseguito, ha viceversa posto in evidenza l’intonazione adamantina del coro e l’espressione del testo liturgico resa con sobria e misurata intensità per tutto l’arco dell’esecuzione. All’inizio del concerto il maestro ha invitato a non applaudire fra le varie parti per non interrompere il percorso di concentrazione artistica e spirituale nel quale il pubblico è stato condotto in maniera amichevole e scevra da accademismi. Giusta anche la lunghezza del programma al cui termine gli spettatori hanno calorosamente applaudito.  In tempi di relativismo culturale un plauso va senza dubbio tributato a questa proposta artistica che oltre ad essere oggettivamente godibile e piacevole, permette di far conoscere meglio una illustre tradizione di secoli anche al di fuori dell’ambito strettamente liturgico, in linea con le indicazioni in tema date dal Concilio Vaticano II. Per concludere vogliamo ricordare la citazione di Mahler usata dal Santo Padre al termine degli esercizi spirituali con la Curia Romana: “la tradizione è la conservazione del fuoco, non l’adorazione delle ceneri”.