Roma, Teatro dell’Opera: “Il viaggio a Reims”

Teatro dell’Opera di Roma Stagione Lirica 2016-17
“IL VIAGGIO A REIMS”
Dramma giocoso in un atto libretto Di Luigi Balocchi
Musica di Gioacchino Rossini
Corinna MARIANGELA SICILIA
La Marchesa Melibea  ANNA GORYACHCOVA
La Contessa di Folleville MARIA GRAZIA SCHIAVO
Madama Cortese FRANCESCA DOTTO
IL Cavalier Belfiore JUAN FRANCISCO GATELL
Il Conte di Liebenskoff  PIETRO ADAINI
Lord Sidney ADRIAN SAMPETREAN
Don Profondo NICOLA ULIVIERI
Il Barone di Trombonok BRUNO DE SIMONE
Don Alvaro SIMONE DEL SAVIO
Don Prudenzio VINCENZO NIZZARDO
Don Luigino ENRICO IVIGLIA
Delia CATERINA DI TONNO
Maddalena GAIA PETRONE
Modestina ERIKA BERETTI*
Zeffirino/Gelsomino CHRISTIAN COLLIA
Antonio DAVIDE GIANGREGORIO
*dal progetto “Fabbrica”- Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera
Direttore e Fortepiano Stefano Montanari
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Allestimento De Nationale Opera di Amsterdam
Roma, 18 giugno 2017
Il Viaggio a Reims, ossia L’Albergo del Giglio d’Oro, è una cantata celebrativa composta da Rossini in occasione dell’incoronazione di Carlo X, fratello minore di Luigi XVI e sovrano che incarnò forse meglio di ogni altro gli ideali della restaurazione. Sostenitore della destra reazionaria e dell’ultrarealismo più intransigente, tentò di cancellare le tracce e gli effetti della rivoluzione avvenuta circa quaranta anni prima e poi della tempesta napoleonica anche attraverso il ripristino di alcune tradizioni di origine medioevale quali la cerimonia della guarigione o taumaturgia reale e per l’appunto la ripresa dell’usanza di incoronare i sovrani di Francia nella cattedrale di Reims dopo che Napoleone dopo aver condotto in catene il Papa a Parigi per l’Incoronazione a Notre Dame si era posato la corona sul capo con le proprie mani. Rossini si trovò ad esordire a Parigi proprio con questo pezzo d’occasione, per il quale poté disporre di un’ottima compagnia di canto e che gli fruttò un notevole successo. Creduta perduta per moltissimi decenni, la partitura è stata recuperata sul finire degli anni settanta presso la biblioteca del Conservatorio di S Cecilia e resa fruibile grazie al lavoro della musicologa Janet Johnson coadiuvata da Philip Gosset, al quale è dedicata in memoriam questa serie di recite romane. L’allestimento proposto dal Teatro dell’Opera di Roma è una ripresa dello spettacolo già andato in scena ad Amsterdam per la regia di Damiano Michieletto il quale, per la gioia dei suoi ammiratori e l’esecrazione dei suoi detrattori, ambienta l’inconsistente vicenda del libretto della cantata non già nel previsto albergo della stazione balneare di Plombières ritrovo dell’aristocrazia europea che nelle intenzioni dovrebbe tributare omaggio al nuovo monarca incoronato, ma in una galleria di arte moderna, la Golden Lilium Gallery, forse americana chissà.., nella quale i personaggi dei quadri prendono vita, immancabile anche in questa occasione fra le altre l’ormai irrinunciabile torva fisionomia di Frida Kahlo, mischiandosi ai personaggi dell’opera, ai visitatori e al personale di detta galleria in una ricerca di fusione tra arte e vita. L’opera nonostante sia una cantata, viene rappresentata divisa in due parti la prima delle quali molto lunga e nonostante l’assoluta bellezza della musica, si deve riconoscere che vivacizzare un testo nel quale succede poco o nulla, sicuramente non è compito facile. I personaggi sono tutti completamente reinventati, inutile ricercare in essi raffinatezze o piglio aristocratico, o la sottile volontà di ridicolizzare le varie identità nazionali oppure l’ostinata ricerca di solennità del tempo della Restaurazione. Intuire anche solo alla lontana nell’aulico canto di Corinna sostenuto dall’arpa, le ragioni del perché canti “Come sul Tebro e a Solima, Foriera di vittoria, Simbol di pace e gloria, La croce splenderà” è assolutamente impossibile. Ciò detto, lo spettacolo risulta gradevole e a tratti divertente con numerose trovate alcune delle quali interessanti come il raddoppio nel quadro e in due giovani visitatori della mostra del litigio tra la marchesa Melibea ed il conte di Libenskof, l’innamoramento per il quadro di Lord Sydney declassato a restauratore. Altre cose ci sono sembrate di un gusto più vicino all’avanspettacolo come l’asta costruita sull’aria di Don Profondo o la rapina subita dal visitatore che resta in mutande nella galleria, corricchiando per il palcoscenico coprendosi con le mani con falsa ed ammiccante pudicizia. Nulla di scandaloso e sicuramente solo l’intenzione per altro molto riuscita di far ridere il pubblico, ma se è vero che un bel giovanotto in mutande piace sempre e mette allegria, è altrettanto vero che con la sottile raffinatezza del clima creativo di Rossini c’entra un po’poco. Splendido e davvero emozionante il finale nel quale tutti i personaggi in un gigantesco tableau vivant si muovono a rallentatore sulle note della lunga aria di Corinna eseguita integralmente e inneggiante alla gloria di Carlo X con un effetto in crescendo che alla fine riproduce con un tocco di autentica maestria anche dal mero punto di vista tecnico, la grande tela di Francois Gérard che raffigura l’incoronazione del sovrano. Ottime le luci di Alessandro Carletti, belli i costumi di Carla Teti e le scene di Paolo Fantin. Ciò che lascia perplessi in questo genere di operazioni è l’assoluta incongruenza tra quanto previsto dal libretto e descritto dalla musica, quanto viene narrato nel riassunto dell’opera e negli interessantissimi saggi proposti nel programma di sala in vendita per il pubblico e quanto poi invece viene realizzato sulla scena che, indipendentemente da giudizi di valore, configura semplicemente per molti aspetti un altro spettacolo. Appare bizzarro che volendo far cultura si proponga ad uno spettatore che acquista il programma di sala e che probabilmente non ha ben presente il soggetto de Il Viaggio a Reims che, va detto a sua difesa non è esattamente uno dei titoli più conosciuti e rappresentati del teatro ottocentesco, la possibilità di decifrare lo spettacolo e divertirsi attraverso la lettura del racconto di quello che sarebbe dovuta essere la vicenda nelle intenzioni originali del librettista e del compositore e che è assolutamente altro da quanto poi vedrà sulla scena. Si ha più l’impressione di trovarsi di fronte ad un tentativo di riempire anche talvolta con buoni risultati un qualche cosa che si ritiene vuoto e sotto sotto forse un po’ noioso che non ad una ricerca volta ad individuare nuovi percorsi di lettura attraverso un lavoro di analisi del testo e delle fonti. E veniamo finalmente alla parte musicale dello spettacolo. Un po’ roboante e fracassone l’universo sonoro costruito dal direttore Stefano Montanari il quale, sorvolando sul gesto di infilarsi la bacchetta nel dietro della maglietta aderente che indossava, in più di una occasione si è trovato a coprire i cantanti. Francamente inutile spingere le sonorità o i tempi oltre il limite specialmente se non si dispone di voci adeguatamente proiettate per mantenere un volume adeguato nella coloratura o nel sillabato veloce. Buona la prova del coro diretto da Roberto Gabbiani. Diverse luci e qualche ombra nel nutrito cast pensato per gli artisti di prima grandezza di cui Rossini poté disporre a suo tempo. Spicca la Corinna di Mariangela Sicilia per musicalità, bellezza timbrica e fantasia di fraseggio. Come pure molto bravo e assai simpatico Juan Francisco Gatell nel ruolo del cavalier Belfiore. Ottimo pure il Barone di Trombonok di Bruno De Simone per dizione, spessore vocale, appropriatezza stilistica e irresistibile vis teatrale. Discreti la Marchesa Melibea di Anna Goryachova, la Contessa di Folleville di Maria Grazia Schiavo e il Don Alvaro di Simone del Savio. Interessante il lord Sidney di Adrian Sampetrean e corretto e simpatico il don Profondo di Nicola Ulivieri. Francamente mediocri la madama Cortese di Francesca Dotto e il conte di Libenskof di Pietro Adaini. Tutti molto bravi e funzionali i numerosi interpreti delle parti minori fra i quali vogliamo ricordare Erika Beretti quale Modestina, selezionata dal progetto “Fabbrica” del Teatro dell’Opera di Roma. Alla fine lunghi e calorosi applausi per tutti per uno spettacolo piacevole nonostante una prima parte davvero lunga. Foto Yasuko Kageyama