Roma, Teatro dell’Opera:”I Due Foscari”

Teatro Dell’Opera di Roma, Stagione di Opere e Balletti 2012- 2013
“I DUE FOSCARI”
Tragedia lirica in tre atti, libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Francesco Foscari LUCA SALSI
Jacopo Foscari  FRANCESCO MELI
Lucrezia Contarini TATIANA SERJAN
Jacopo Loredano LUCA DALL’AMICO
Barbarigo ANTONELLO CERON
Pisana ASUDE KARAYAVUZ
Fante del Consiglio dei Dieci SAVERIO FIORE
Servo del Doge DONATO DI GIOIA
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Riccardo Muti
Regia Werner Herzog
Scene e costumi Maurizio Balò
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Luci Vincenzo Raponi
Nuovo Allestimento
Roma, 8 marzo 2013
Nei soggetti naturalmente tristi, se non si è ben cauti si finisce col fare un mortorio, come, per modo di esempio, i Foscari, che hanno una tinta, un colore troppo uniforme dal principio alla fine.”
Lo spettacolo, andato in scena a Roma al Teatro dell’Opera in un allestimento nuovo, è stato affidato alla regia di Werner Herzog. La vicenda viene collocata in una scarna e spoglia Venezia rinascimentale neanche particolarmente elegante dal punto di vista estetico, ma questo è un fatto di gusto squisitamente personale, in uno spazio sempre chiuso e privo di orizzonti, dove la tinta dominante è un perenne grigio e nel quale cumuli di neve nelle stanze di palazzo ducale e stalattiti di ghiaccio pendenti dovrebbero significare, da quanto si legge nell’intervista al regista pubblicata nel programma di sala, il gelo della vita e una sorta di congelamento sociale ed emotivo nato dal contrasto insanabile e dalla assoluta separatezza tra la sfera della ragion di stato, della politica e delle leggi e quella personale, degli affetti e della dramma privato. L’opera già di per se uniforme nella tinta, come ebbe a scriverne anche l’autore nel suo scritto riportato all’inizio, viene dipinta di grigio dall’inizio alla fine nelle scene ed finanche nei costumi disegnati da Maurizio Balò e davvero bellissimi, con la sola eccezione delle maschere tenute in mano dal coro e dal gruppo di saltimbanchi che all’inizio del terzo atto si agitano sulla scena anche durante l’aria del tenore. Buone, sebbene un po’ a buon mercato, alcune idee come il coro che volge le spalle a Jacopo nel momento dell’addio a testimoniare il disinteresse del popolo per le vicende politiche e personali della famiglia Foscari, ma per esempio è risultata assolutamente inerte e priva di vitalità teatrale la realizzazione del bellissimo e potenzialmente intenso finale secondo. Anche la recitazione, indipendentemente dalle capacità dei cantanti e dalla loro individuale gestualità, è stata improntata a sottolineare la staticità e l’isolamento fisico di ciascun personaggio, contribuendo in molti momenti ad abbassare sensibilmente la resa della tensione emotiva. E’ certo che non si può pensare di assistere sempre a rappresentazioni fondate sul’iconografia ottocentesca e nel caso specifico sulle comunque non disprezzabili tavolozze cromatiche di Hayez o Delacroix o, peggio, basate sugli stereotipi di una Venezia da cartolina. Altre letture e nuove strade vanno certamente esplorate, però la monotonia non crediamo che sia una soluzione che possa funzionare. Forse prima di sentenziare in merito alla qualità teatrale del dramma di Verdi Piave o di vantarsi di esprimere il proprio fastidio ad assistere a spettacoli operistici “ molto meglio andare allo stadio o a giocare a pallone”, come si legge sempre nell’intervista al regista pubblicata nel programma di sala e nella quale fa bella mostra di se la riproduzione di due manifesti di suoi celebri film che però riteniamo che nulla abbiano a che vedere con Giuseppe Verdi o con i Foscari, crediamo che sarebbe meglio, e si badi bene lo scriviamo con simpatia, usare la modestia dei grandi e riflettere quantomeno su come non perpetuarne gli errori, se mai ve ne sono.
Ciò premesso, la serata è stata piacevole ed interessante dal punto di vista musicale anche perché l’opera, sia pure con alcuni dei limiti identificati anche dall’autore e prima ricordati, è davvero splendida e godibile. Magnifica la direzione di Riccardo Muti, sempre attenta a evidenziare la cantabilità dei vari temi musicali, i colori, il respiro delle pause e il ritmo di danza che pervade la partitura. Ottima la prova dell’orchestra per nitore e qualità del suono e ugualmente bravissimo il coro. E veniamo agli interpreti. Jacopo Foscari era impersonato dal tenore Francesco Meli che dopo le primissime frasi del primo recitativo ha trovato per tutta la sera una cifra interpretativa di altissimo livello sotto il profilo musicale e teatrale. Il suo bellissimo timbro vocale sapientemente fuso con i colori dell’orchestra cercati dal maestro Muti, ha saputo rendere appieno il senso e la commozione di ogni frase e di ogni situazione che il suo bel personaggio era chiamato ad esprimere, con partecipazione misurata ma intensa, raccogliendo il maggior successo della serata. Del ruolo di Lucrezia Contarini il soprano Tatiana Serjan dalla voce sicura e tecnicamente impeccabile, ha sottolineato prevalentemente il lato volitivo e potremmo dire risorgimentale del personaggio, mancando forse un po’ di quella composta nobiltà che si vorrebbe in una figlia di una delle dodici famiglie apostoliche del patriziato della Serenissima. Tuttavia si è trattato nel complesso di una interpretazione di ottimo livello, alla quale il pubblico ha tributato applausi calorosi. Bravissimo Luca Dall’Amico nella breve, ingrata ma teatralmente importante parte di Loredano, sempre concentrato, efficace ed espressivo quando presente in scena ed autorevole vocalmente. Validi e funzionali nei rispettivi ruoli Antonello Ceron, Asude Karayavuz, Saverio Fiore e Donato Di Gioia.
Resta in ultimo il Doge di Luca Salsi. Dirne male è oggettivamente impossibile, però, sinceramente, anche dirne bene. Peso vocale adeguato, buona pronuncia, musicalmente preciso. Quella che è mancata al suo Francesco Foscari a nostro giudizio è stata la capacità di rendere la profondità della parola scenica, di riempire il palcoscenico in modo espressivo anche nei momenti di silenzio e, in sintesi, di restituire la complessità e la dolente nobiltà del personaggio, lasciando dopo l’ascolto un che di irrisolto e di interlocutorio. Come sempre interessante il programma di sala approntato, anche se sarebbe stata utile un’analisi delle non molte incisioni discografiche di questa opera che meriterebbe una maggiore diffusione sia per la sua bellezza sia per l’importanza avuta dalla vicenda storica in essa narrata nell’immaginario iconografico, cinematografico e letterario degli ultimi due secoli. Foto Lelli e Masotti © Teatro dell’Opera