Rovigo, Teatro Sociale: “Il Trovatore”

Teatro Sociale di Rovigo, Stagione lirica 2014-15
“IL TROVATORE”
Dramma in quattro parti, libretto di Salvatore Cammarano dal dramma El trovador di Antonio Garcìa Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna ARIS ARGIRIS
Leonora RACHELE STANISCI
Azucena ANNA MARIA CHIURI
Manrico LUIS CHAPA
Ferrando SEUNG PIL CHOI
Ines LUCIANA PANSA
Ruiz NICOLA PAMIO
Orchestra Regionale Filarmonica Veneta
Coro Lirico Veneto
Direttore Balázs Kocsár
Maestro del Coro Giorgio Mazzuccato
Regia, scene, luci Paolo Panizza
Costumi Valerio Maggioni
forniti da Sartoria Arianna di Corridonia (MC)
Rovigo, 30 Novembre 2014

Dei tre capolavori della “trilogia popolare” Il Trovatore è certamente l’opera che conobbe il maggior successo alla sua prima rappresentazione, il 19 gennaio 1853. Nonostante la trama grottesca e gran-guignol, tutta buchi e incongruenze, Il trovatore ha dalla sua una tale immediatezza nel linguaggio musicale che questo primato non può certo stupirci. Un gobbo buffone è il protagonista di Rigoletto, una prostituta d’alto bordo è La Traviata e una zingara è il motore delle intricate vicende de “Il trovatore”. Una decisa svolta rispetto alla precedente tradizione di nobildonne ed eteree damigelle. È proprio Azucena, una formidabile zingara ormai vecchia e demente, la vera protagonista di quest’opera astrusa e contemporaneamente semplicissima. Così, quando Azucena funziona, si finisce per chiudere un occhio sugli eventuali difetti della rappresentazione.
E in effetti è davvero eccellente la prestazione di Anna Maria Chiuri un’Azucena di rara bravura, convincente e completamente nel ruolo sia vocalmente che scenicamente. La voce si dispiega con facilità dal registro grave al centrale, con brillanti incursioni in acuto; la Chiuri sovrasta l’orchestra e, quando è in scena, la domina con la sua presenza spettrale e potente. Oltre che filologico, il suo fraseggio è teso e ben calibrato; di certo la Chiuri non lascia mai cadere l’attenzione. Lo “Stride la vampa” è preciso negli abbellimenti e perfettamente intonato; molto bene anche il duetto col “figlio adottivo” Manrico, Luis Chapa, che ha un’ottima pronuncia ma talvolta risulta un po’ insicuro nell’intonazione. Scenicamente ha poco sia del nobile cavaliere che del trovatore gitano, lo vediamo spesso aggirarsi per il palco armeggiando malamente con una spada. Il timbro è certamente molto caldo e dolce, il fraseggio ben curato. Nonostante “La Pira” fosse ancora un po’ spenta, in generale la sua performance convince il pubblico, che gli dedica calorosi applausi a scena aperta.
Rachele Stanisci, Leonora, se non fosse per la gradevole presenza scenica risulterebbe alquanto fuori ruolo; vocalmente i problemi non tardano ad emergere: ad un “Tacea la notte placida! portato in fondo faticosamente si accosta una cabaletta in cui diversi passaggi di agilità vengono aggirati con espedienti piuttosto maldestri. I passaggi di registro sono risolti con brusche frenate dinamiche, che tendono a rompere il fraseggio, e sapersi giostrare adeguatamente con pianissimi e filati non è sufficiente a reggere la parte. Un peccato, dal momento che il colore della voce, sotto la patina di qualche evidente problema di tenuta, è davvero molto bello. Scenicamente credibile, la Stanisci risulta comunque efficace nelle scene d’assieme. Molto bene il Conte di Luna, Aris Argiris, tempestato di applausi sul Balen del suo sorriso: qualche suono resta indietro ma l’artista è in ottima forma e realizza una buona performance vocale e interpretativa. Il suo Conte è adeguatamente tormentato e crudele, la voce è in tono e i cambi di registro efficaci. Argiris fraseggia con sicurezza, rispettando la generosa linea verdiana.Il Ferrando di Seung Pil Choi è scenicamente dotato, l’intonazione è buona; la voce talvolta teme i volumi orchestrali e registriamo qualche lieve difetto di pronuncia, ma la sua rimane indubbiamente una buona performance. Ines, Luciana Pansa, compensa l’emissione un po’ nasale con una discreta presenza scenica e la buona pronuncia, oltre che per l’ottima intonazione. Nicola Pamio è un Ruiz in ordine e molto espressivo. Davvero buone le idee del Direttore Balázs Kocsár, che sceglie dei tempi assolutamente filologici – nonostante in qualche caso gli interpreti stentino a seguirlo – e guida l’ottima Orchestra Regionale Filarmonica Veneta in una performance di sicuro successo, sempre intensa e brillante. Il suo gesto non è né troppo minimalista né troppo invadente e Kocsár si conquista l’affetto di orchestra e pubblico in sala. Ottima la prova del Coro (istruito da Giorgio Mazzuccato), sempre puntuale e efficace anche nei momenti più rischiosi; il “Coro dell’incudine” è sempre di grande effetto, ma non è l’unico momento in cui le sezioni emergono con precisione mirabile.  Di bell’impatto visivo i costumi curati da Valerio Maggioni, calibrati sul contesto piuttosto tradizionale della scenografia di Paolo Panizza: una torre e due scalinate trasformate di volta in volta in un particolare sfondo della complessa vicenda. L’idea non sarà particolarmente originale, ma è comunque efficace (è pur vero che qualche guizzo meno trito non avrebbe guastato). Nella prima parte effettivamente il contesto del racconto di Ferrando è piuttosto rispondente alle aspettative di un pubblico paludato, ma i momenti più “gitani” risultano piuttosto stereotipati; il rischio di smorzare la tensione del racconto di Azucena è palpabile, ma in ogni caso il meccanismo è rapido e funzionale al contesto, relativamente intimo, del Teatro Sociale. Buona l’affluenza del pubblico pomeridiano, che saluta tutti gli interpreti (particolarmente Anna Maria Chiuri) con calorosissimi applausi. Foto Leonardo Battaglini