Santa Fe Opera Festival 2013:”Oscar”

Santa Fe, New Mexico, Opera Festival 2013 
“OSCAR”
Opera in due atti di Theodore Morrison e John Cox.
Musica di Theodore Morrison
Prima esecuzione assoluta
Oscar Wilde DAVID DANIELS
Ada Leverson HEIDI STOBER
Frank Harris WILLIAM BURDEN
Lord Alfred “Bosie” Douglas REED LUPLAU
Walt Whitman DWAYNE CROFT
Mr. Justice Sir Alfred Wills/Henry B. Isaacson KEVIN BURDETTE
Detectives/Prison Warders AARON PEGRAM, BENJAMIN SIEVERDING
Infirmary Patients DAVID BLALOCK, CHRISTIAN SANDERS
Hotel Managers/Warder Thomas Martin RICARDO RIVERA
Chaplain CHRISTIAN SANDERS
Bailiff  YONI ROSE
Jury Foreman REUBEN LILLIE
Legatt  PATRICK GUETTI
Orchestra e Coro del Santa Fe Opera Festival
Direttore  Evan Rogister
Regia Kevin Newbury 
Scenografie David Korins
Costumi David C. Woolard 
Coreografie Seán Curran
Santa Fe, 9 agosto 2013
L’ultima delle cinque produzioni che hanno fatto parte del programma del Santa Fe Opera Festival 2013 è stata Oscar di Theodore Morrison, il primo lavoro lirico di questo compositore 75enne che vede le scena. L’Opera Company di Philadelphia, che ha cooprodotto Oscar, lo ha messo in cartellone nel 2015.
Purtroppo, l’inesperienza teatrale di Morrison è evidente, in particolare nel libretto scritto  in colloborazione con John Cox. Determinati a trasformare il commediografo irlandese Oscar Wilde non solo in un mero martire ma anche un eroe tragico — e, quindi, né più, né meno un santo  — Morrison e Cox sfidano l’accuratezza storica e la pazienza del pubblico. Nel momento in cui si arriva al finale, in cui Wilde viene accolto nell’Immortalità da un coro di angioletti biondi vestiti di tuniche bianche, ho dovuto trattenermi dallo scoppiare a ridere — il che non credo che sia la reazione che i creatori desideravano suscitare nel pubblico.
In un momento in cui tutti, da Putin al Papa fino al Presidente degli Stati Uniti, contribuiscono a mantenere viva la lotta per i diritti dei gay sulle prime pagine, Oscar è certamente d’attualità e il suo protagonista, il controtenore David Daniels, ha dato il suo contributo alla causa ufficializzando pubblicamente, poco dopo la prima, il suo legame con quello che è il suo partner da tanto tempo, il direttore d’orchestra Scott Walters. Ma ciò rende, alla fine dei conti, Daniels un miglior esempio da seguire rispetto a Wilde: un uomo sposato, padre di due bambini che negò la propria omosessualità e non portò mai avanti la “missione” che il protagonista di Morrison fa sua alla fine di quest’opera. In ogni caso, il fin troppo umano Wilde traballa vistosamente sul piedistallo sul quale Morrison e Cox lo hanno posto.
Wilde è l’unico controtenore nella partitura di Morrison, a sottolineare la sua diversità. Nel ruolo di protagonista, Daniels canta con forza e duttilità, se non con tutta la brillantezza vocale che lo ha distinto  agli inizi della sua carriera. In quanto attore, egli eccelle anche nelle molte sequenze in cui Wilde si limita ad ascoltare gli altri, come fa in una scena particolarmente lunga nel secondo atto, in cui altri due prigionieri condividono con lui le loro storie.
Wilde è sul palco per quasi tutta la durata dell’opera che si mostra alquanto impegnativa e nella quale Daniels non si risparmia: danza perfino, in alcune sequenze, con lo spirito del suo giovane amante, Lord Alfred “Bosie” Douglas. Dato che il vero Bosie volò via dal Regno Unito durante il processo e la prigionia di Wilde, il ballerino Reed Luplau, sulle coregrafie di Seán Curran, lo ritrae in varie forme; per la maggior parte del tempo, il personaggio suona un po’ come una versione maldestra del  Tadzio di Morte a Venezia di Britten.
Se Daniels non riesce a rendere la qualità più celebrata di Wilde, il suo umorismo, è perché il libretto non non lo permette affatto. In qualche modo, Morrison e Cox hanno scritto un’opera su Oscar Wilde che contiene un solo aforisma — nonstante abbiano citato liberamente le loro fonti. Infatti, l’intera opera sembra malinterpretare ciò che Wilde intendeva col titolo della sua commedia più famosa, The Importance of Being Earnest: in questo caso, tutto è troppo serio. Il secondo atto mostra Wilde nella prigione di Reading Gaol, mentre impara ad essere compassionevole (e santo). Nel corso dell’azione scenica, Wilde diventa sempre meno personaggio e sempre più icona.
Molto più solido è il primo atto, ambientato per lo più nella nursery della casa della scrittrice Ada Leverson (il soprano Heidi Stober). Una scena realistica, quasi banale, in cui lei e lo scrittore Frank Harris (il tenore William Burden) danno consigli a Wilde contrasta con quella seguente, in cui i giocattoli della nursery mettono in scena il processo a Wild per “atti osceni”. Il giudice (il basso-baritono Kevin Burdette) diventa un pupazzo a molla e la culla dei bambini diventa il banco degli imputati. Questa scena è il punto pià alto di tutta l’opera: la satira qui è acuta, la messinscena di Kevin Newbury gustosa e il debito nei confronti di Brecht appare chiaro.  Ma tutte queste eccellenti qualità scompaiono non appena il secondo atto inizia.
In Oscar, il fantasma di Walt Whitman funge da narratore, un po’ come  Che Guevara in Evita di Lloyd-Webber. Almeno, in questo caso, il nostro narratore ha davvero incontrato il protagonista, ma questo Whitman si fa portatore di quelle informazioni accessorie che sarebbe meglio lasciare alle note del programma e nemmeno il bravo Dwayne Croft riesce a far qualcosa per ravvivare il suo personaggio. Non si capisce perché Whitman sia presente nell’intreccio e perché, lui che era tanto diverso quanto Wilde, venga interpretato da un baritono e non da un altro controtenore.
La concertazione di Evan Rogister è elegante e rispettosa delle ambizioni musicali di Morrison, fornisce una lettura coerente di una partitura che troppo spesso introduce temi che poi non si sviluppano. Nella sua musica sempre tonale e sempre emotivamente appropriata, si sentono le influenze di compositori diversi fra loro: da Bach e Stravinskij, e l’orchestrazione di Morrison fa molto per tener vivo l’interesse dell’ascoltatore, anche nel drammaticamente inerte secondo atto. Ciò che non si sente è invece un’indicazione sul perché qualcuno (ancor più uno dei Teatri più prestigiosi degli Stati Uniti) si sia preoccupato di produrre quest’opera dalle lodevoli intenzioni, ma assolutamente sbagliata. Senza le debolezze umane e l’ironia, questo Oscar è qualcosa che il vero Wilde non è mai e poi mai stato: noioso. Foto Ken Howard