Sassari:”Cavalleria rusticana”

Sassari, Ente Concerti Marialisa De Carolis, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2013
“CAVALLERIA RUSTICANA”
Melodramma in un atto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci dal dramma di Giovanni Verga.
Edizione a cura di Giacomo Zani. Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali – Milano
Musica di Pietro Mascagni
Santuzza TAISIYA ERMOLAEVA
Lola MARGHERITA ROTONDI
Turiddu RUDY PARK
Alfio MARCELLO LIPPI
Lucia ELENA ZILIO
Orchestra e Coro dell´Ente Concerti “Marialisa de Carolis”
Direttore Francesco Cilluffo
Maestro del Coro Antonio Costa
Regia Alessio Pizzech
Scene Michele Ricciarini
Costumi Cristina Aceti
Luci Valerio Alfieri
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Goldoni di Livorno, in coproduzione con il Teatro del Giglio di Lucca, il Teatro Verdi di Pisa e il Teatro Comunale ´L. Pavarotti´ di Modena
Sassari, 25 ottobre 2013

E arrivò la Cavalleria… La settantesima stagione lirica dell’Ente Concerti Marialisa de Carolis prosegue presentando nel Nuovo Teatro Comunale di Sassari, come secondo titolo in programma, il capolavoro di Mascagni, icona del verismo musicale in Italia e modello dell’evoluzione, o involuzione secondo i punti di vista, degli stilemi drammaturgici e vocali che inaugureranno il nuovo secolo. L’allestimento, che non prevede il classico abbinamento a Pagliacci di Leoncavallo o a qualche altro atto unico, è del teatro Goldoni di Livorno in coproduzione con i teatri di Lucca, Pisa e Modena.
Com’è adesso ascoltare Cavalleria Rusticana? La stragrande maggioranza del pubblico ha perso da tempo quasi tutte le competenze per assistere consapevolmente a un melodramma, ma l’elementare vicenda così vicina alla cronaca d’ogni tempo, l’estrema sintesi con il classicissimo rispetto dell’unità di luogo, tempo e azione, la facilità nell’immedesimazione con personaggi reali appartenenti a classi sociali sicuramente più vicine alla realtà quotidiana, continuano a decretare un successo praticamente infallibile per l’opera finale del melodramma ottocentesco.
E la musica è bella, talvolta bellissima, con novità armoniche, formali e coloristiche troppo spesso trascurate rispetto alla facilità dell’invenzione melodica e alla grossolanità di certi effetti. Da tempo comunque esiste un filone interpretativo che ha riscoperto pienamente i preziosismi della partitura e la possibilità di realizzazioni che ripuliscano la presunta “tradizione” da tanti orpelli oleografici e dal vociare truculento tra il baccano orchestrale.Sicuramente era questa l’intenzione per la produzione sassarese, ma il risultato generale è stato nel complesso contradditorio.
Il regista Alessio Pizzech immagina una Sicilia deformata in un’ottica “espressionista di matrice tedesca” sicuramente anti tradizionale e di conseguenza trasporta la vicenda forse tra gli anni venti e trenta, anche se i costumi di Cristina Aceti appaiono cronologicamente indeterminati, all’epoca della fine del movimento estetico che cavalcò la Grande guerra. In sé l’idea è discutibile ma comunque originale: l’espressionismo nasce proprio come movimento anti naturalistico e di rottura verso un recente passato teso all’oggettivismo e al realismo. Immaginare quindi una realizzazione del genere per un’opera che incarna proprio il verismo musicale, almeno in Italia, è stimolante quanto bizzarro. Michele Ricciarini costruisce una scenografia dove la piazza del paese è un angusto spazio delimitato da luoghi deputati in rovina: la chiesa, la locanda e tutte le strutture sono ridotte a scheletri simbolici di una comunità in decadenza su cui si staglia la figura isolata e dolente della protagonista. L’impostazione è interessante, l’effetto visivo un po’ meno: l’aspetto poco rifinito dell’insieme non riesce mai veramente a convincere, pur con i tagli di luce variamente direzionati di Valerio Alfieri. Un materasso centrale, un po’ abusato come simbolismo generatore, ospita alcune scene e nasconde il coltello fatale.
Anche la recitazione viene impostata in senso anti realistico, ma il risultato è piuttosto discontinuo: Santuzza e Mamma Lucia ci credono e la applicano coscienziosamente, ma il risultato è una gestualità enfatica e retorica sempre sopra le righe. Gli uomini sono molto più impacciati e goffi, ottenendo talvolta effetti di comicità involontaria che strappano più di un sorrisino in sala. Lola e il popolo, rappresentato dal coro, alternano alcuni tentativi di movimenti controllati con il più classico campionario oleografico delle situazioni: pacche sulle spalle, ammiccamenti, parlottamenti vari. Sicuramente c’è stato poco tempo per trovare una maggiore coerenza nella recitazione e ne soffre proprio un’idea anche coraggiosa che avrebbe avuto però bisogno di un rigore assoluto. Appaiono tra l’altro di dubbio gusto le controscene realizzate con Santuzza durante i due grandi momenti strumentali; ma mentre la prima sul preludio può essere funzionale a creare una centralità nell’opera della figura femminile, la seconda, con una sorta di Santuzza bambina-angelo che interagisce con la protagonista, è francamente superflua e disturba la bella esecuzione del celebre Intermezzo.
Il contrasto c’è anche con l’esecuzione musicale che tende invece a inserirsi nell’alveo del verismo più tradizionale e abusato.
Il giovane direttore Francesco Cilluffo tende a preferire le tinte forti alla cura delle sfumature e non è raro sentire, specie nelle chiuse, qualche sfilacciamento. L’agogica dal preludio appare un po’ nervosa e serrata e infatti proprio nel primo coro un evidente incidente dovuto alla fretta consiglia alla ripresa del passaggio un tempo vistosamente più prudente. Comunque, dopo l’inizio incerto, e col salire della temperatura drammatica, il direttore ha saputo condurre dignitosamente la buona orchestra dell’ente tra le varie insidie della partitura. Anche la coppia dei protagonisti soddisfa nel bene e nel male i luoghi comuni su Cavalleria: due vocione belle grandi che tendono a poche sfumature appiattendo il canto su dinamiche troppo spesso forzate e con un fraseggio poco rifinito. Con delle differenze: il Turiddu di Rudy Park canta già la Siciliana iniziale ignorando qualunque dinamica inferiore al forte. A parte il rispetto di ciò che è stato scritto dall’autore, che ha tutte le dinamiche dal piano al fortissimo nell’esempio, il rigido risultato ha poco a che fare ovviamente con la sensualità del testo. Solo l’addio alla madre trova alla fine degli accenti espressivamente convincenti grazie alla sicurezza nel registro acuto. 
Anche Taisiya Ermolaeva disegna una Santuzza vocalmente solida e tendente a una condotta dinamica poco variata; però grazie alla recitazione e a un pathos espressivo innegabile riesce a costruire un personaggio credibile nell’ambito di uno spettacolo che scommette tutto sulla protagonista. Le sue intenzioni musicali sono talvolta interessanti ma sarebbe necessaria comunque una migliore dizione e articolazione della parola, almeno nel registro centrale, per la definizione del ruolo.
L’Alfio di Marcello Lippi nella situazione è evidentemente inadeguato: la figura antagonista è notevolmente a mal partito sia per peso vocale sia per emissione; se consideriamo poi l’evidente impaccio scenico, è chiaro che manca uno dei perni fondamentali che rendono credibile lo sviluppo drammaturgico.Un’intensa Lucia è ben interpretata da Elena Zilio, sempre precisa nei suoi interventi e con una vocalità adeguata al ruolo, e anche la Lola di Margherita Rotondi svolge professionalmente il suo compito. Buona la prestazione del coro dell’Ente, preparato da Antonio Costa che, alle prese con alcuni dei brani iconici dell’opera, supera bene le scomode tessiture vocali e le insidie della partitura. Deliziato dalle melodie riconoscibili, colpito dall’aumento dei decibel, soddisfatto della durata da fiction televisiva, il pubblico ha mediamente decretato un successo molto più caloroso rispetto al Falstaff d’apertura, persino con generiche e ripetute richieste di bis. Di che? Gentile pubblico, il bis si chiede alla fine del pezzo che si desidera riascoltare, non al termine dell’opera…Foto Sebastiano Piras