Milano, Teatro alla Scala: un Macbeth “a spicchi”

Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2012/2013
“MACBETH”
Melodramma in quattro atti, libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei, dall’omonima tragedia di William Shakespeare
Musica di Giuseppe Verdi
Macbeth FRANCO VASSALLO
Banco ŠTEFAN KOCÁN
Lady Macbeth LUCRECIA GARCIA
Dama EMILIA BERTONCELLO
Macduff STEFANO SECCO
Malcolm ANTONIO CORIANÒ
Medico GIANLUCA BURATTO
Domestico ERNESTO PANARIELLO
Sicario LUCIANO ANDREOLI
Prima apparizione LORENZO TEDONE
Seconda apparizione BEATRICE FASANO
Terza apparizione LUCILLA AMERINI
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Valery Gergiev
Maestro del Coro Bruno Casoni
Regia Giorgio Barberio Corsetti
Scene Giorgio Barberio Corsetti e Cristian Taraborrelli
Costumi Cristian Taraborrelli e Angela Buscemi
Luci Fabrice Kebour
Coreografia Raphaëlle Boitel
Video design Fabio Massimo Iaquone e Luca Attili
Milano, 28 marzo 2013

Si conclude con una serie di fischi e urla di malcontento la prima rappresentazione di “Macbeth”o sul grande palcoscenico milanese. L’opera, così tanto voluta dal giovane Giuseppe Verdi, non ha quasi mai raggiunto il grado di sublimità a cui il compositore e i librettisti F.M. Piave e A. Maffei avevano tanto aspirato. Complici di questa disfatta il duo Gergiev-Corsetti che questa volta, a differenza della maestosa “Turandot” dell’Aprile 2011, non sono stati in grado di soddisfare le aspettative del pubblico scaligero. Il sipario si apre sulle note cupe del preludio scoprendo una scenografia fredda e stilizzata: due grossi muri semicircolari simili a “spicchi” di una grande arena girano su stessi sintetizzando l’idea di interno ed esterno e facendo così da scena a tutta l’opera. Il tutto è ambientato, per citare le parole del regista, “in un tempo presente ma inventato”, in una dimensione temporale ipoteticamente vicina alla nostra. Il risultato di questi spazi irregolari alla De Chirico induce ad un senso di distaccamento che forse non era nelle intenzioni verdiane e tantomeno shakespeariane. Le streghe, prime ad apparire, simili ad uno sciame di mosche, vestite di stracci, hanno un aspetto quasi ripugnante; le loro prime battute “Che faceste? Dite su!…Ho sgozzato un verro” danno subito idea dell’intento del compositore, splendidamente riuscito, di incarnare in loro le forze maligne dell’animo umano. Esse, con i loro presagi, solleticando l’ambizione di Macbeth e della sua Lady, sono altrettanto protagoniste e artefici della tragedia che si abbatterà sulla stirpe regale.
Entrano il protagonista e Banco, rispettivamente Franco Vassallo e Štefan Kocán; il primo, che debutta il ruolo, attacca la sua frase “Giorno non vidi mai si fiero e bello!” con voce piena e profonda lasciando un po’ in ombra il basso che si riscatterà egregiamente nel secondo atto con la famosa aria “Come dal ciel precipita”.
Nella scena successiva compare il grande personaggio femminile, Lady Macbeth, inizialmente burattinaia dell’insicuro marito poi vittima delle sue nefaste azioni. Per questo ruolo Verdi avrebbe voluto una voce “aspra, soffocata, cupa” nell’ intento di “servire meglio il poeta che il maestro”, intento non pienamente raggiunto dal soprano venezuelano Lucrecia Garcia che legge le parole giunte dal marito con spiccato accento sudamericano e con poco guizzo interpretativo. Durante la sua aria smaniosa di potere scopriamo un timbro tagliente e asprigno, una vocalità che si presta bene alla scrittura ibrida verdiana ma che non eccelle, risultando un po’ approssimativa nelle agilità.
Tutta la vicenda è scandita da proiezioni su sfondo che raffigurano talvolta volti dei personaggi, talvolta rivoli di pittura colorata che simboleggiano lo stato d’animo dei protagonisti. E’ così che Corsetti accompagna i momenti intrisi di drammaticità e di conflitto interiore, come quello che vede protagonista Macbeth nell’indecisione di uccidere il Re Duncan o quello ancor più significativo del Sonnambulismo di Lady. (L’entrata sfarzosa della vittima dalla platea seguita da una ripresa in stile televisivo ci ricorda molto, forse troppo, il caro e vecchio Viaggio a Reims).
I momenti di vero lirismo verdiano sono affidati al Coro, magistrale come sempre, che riesce, nonostante qualche imprecisione del direttore ad essere ad un altissimo livello artistico. Da notare il coro delle streghe di inizio terzo atto affiancato da acrobati e ballerine che volteggiando senza sosta, quasi posseduti da forze demoniache, invocano gli spiriti sinistri.
La scena, carica di esoterismo, è di grande effetto scenico e proietta l’ascoltatore nelle viscere del dramma attirando la sua attenzione tra fumi, apparizioni e movimenti inconsulti. Anche Macbeth ne rimane sconvolto svenendo alla vista dei grandi volti dei legittimi successori al trono, in questo allestimento sostituti dalle sconcertanti facce dei nostri storici dittatori proiettate sullo sfondo.
Il quarto ed ultimo atto si apre con una scena che riporta alla memoria i vecchi film sulla desolazione della guerra; i profughi sono disposti in ordine rispettoso e camminano lentamente oscillando come corpi senz’anima per ottenere un pasto. L’ atmosfera di oppressione e di sconforto è ben rispettata dalla regia e affermata dalla musica di Verdi che voleva dare una “pittura caratteristica, sublime, patetica della miseria della Scozia”. Ricordiamo che la versione di questo coro non è la prima, ovvero quella del 1847, che ne denotava il carattere risorgimentale, bensì la rivisitazione dello stesso autore del 1865 che risulta più adatto alla scena avendo dei connotati dolenti e sofferti. Da un angolo si avvicina Macduff, interpretato dalla bella voce di Stefano Secco, che affronta la sua romanza “Ah la paterna mano” con calore sentimentale e profonda espressione malinconica, l’esibizione più precisa e convincente della serata.
La scena del Sonnambulismo, culmine strutturale del melodramma, è uno dei momenti più curati dal compositore sia per la raffinatezza musicale che per i gesti scenici. Verdi infatti si raccomanda che questi siano minimi, ridotti all’osso; i passi lenti, quasi impercettibili, gli occhi fermi, il viso immobile stanno a rappresentare la fissità intrisa di significato. La Garcia, tradizionalmente di bianco vestita, deve così affrontare il momento espressivo e vocale più impegnativo dell’opera non riuscendo però pienamente nell’intento tanto da capitolare in uno stridulo re bemolle conclusivo. Anche la voce di Vassallo al finale sembra piuttosto stanca e l’opera si conclude, come predetto dalle streghe, con l’incoronazione del legittimo Re Malcolm, Antonio Corianò, circondato dai suoi soldati approssimativamente mascherati da alberi.
Il sipario si chiude tra i timidi applausi del pubblico; la sensazione è che questo “Macbeth” sia musicalmente poco curato e registicamente debole. Pare che il maestro Gergiev, impegnato al teatro Mariinskj di S. Pietroburgo, si sia dedicato al lavoro orchestrale e all’ insieme soltanto in occasione della prova generale rigorosamente chiusa; tale insicurezza traspare in diversi punti di asincronia tra orchestra e voci. I cantanti non si presentano individualmente agli applausi, forse intimoriti dalla freddezza degli spettatori e soprattutto dalle contestazioni esplose all’uscita del direttore e della squadra di Corsetti. Tutto sommato, ci si aspettava qualcosa di più. Chissà se Pier Giorgio Morandi, per 10 anni primo oboe scaligero, che condurrà l’opera il 13 aprile, sarà in grado di entrare in sintonia con l’orchestra e di ridare all’opera quel grado di sublimità che il melodramma di Verdi si merita. Foto Brescia & Amisano per Teatro alla Scala