Christa Ludwig (1928-2021): un ritratto

Christa Ludwig (Berlino, 16 marzo 1928 – 24 aprile 2021)
Si ascolta Christa Ludwig con la più profonda meraviglia. La voce giunge come un opulento dono di natura, una forza elementare accoppiato con una tecnica formidabile. Nei lieder di Brahms o di Mahler è un violoncello, il suo colore brunito brilla di colori profondi e ricchi, una morbidezza che “canta” sempre. Il suo fraseggio è prezioso, ampio, generoso come di un archetto attraverso corde tese. Come Kundry e Fricka di Wagner, come Octavian o il Compositore in Strauss, per citare solo alcuni dei suoi celebri ruoli, lei occupa la musica, tutto il suo corpo segue il vibrante meccanismo del suono, come la linea struttura dello strumento a corde.
Christa Ludwig è nata nella musica, suo padre, Anton Ludwig viennese, dirigeva una scuola musicale ad Aaachen, dove la sua famiglia si era trasferita da Berlino. Sua madre, Eugenie Besalla, cantò sotto Herbert Von Karajan negli anni ’40 ed alla fine divenne la maestra di sua figlia. La Besalla aveva rovinato la sua voce cantando ruoli sbagliati, passando dalla sua naturale  tessitura di mezzosoprano  a quella di soprano e fu costretta ad abbandonare la carriera a quarant’anni. È interessante che anche Christa Ludwig inizialmente passò attraverso un identica fase volendo affrontare ruoli come Leonore del “Fidelio”, Ariadne in “Ariadne auf Naxos”, la Moglie del Tintore in “Die Frau ohne schatten”, la Marescialla  del “Rosenkavalier” e Lady Macbeth e fu sempre tentata dalla trappola di Isolde e Brunnhilde, finché non fu spinta a  un maggior equilibrio nelle scelte dalla madre e della leggendaria Zinka Milanov.
Apparì sulle scene fin dall’età di tre anni ed afferma che, per quanto indietro possa spingere i suoi ricordi, conosceva a memoria le parti di Azucena e Ulrica interpretate da sua madre. A 18 anni fece il suo debutto professionale a Francoforte per 100 marchi e una libbra di caffè. Era subito dopo la Seconda Guerra Mondiale è l’opera “Die Fledermaus”, di Johann Strauss in cui cantò la parte del Principe Orlofsky. Dopo cinque anni si trasferì a Darmstad con un repertorio che comprendeva Octavian, Ulrica, il Compositore in “Ariadne”, Dorabella in “Così fan tutte”, Carmen. A partire dal 1954 si trasferì ad Hannover ed Amburgo, aggiungendo al suo repertorio le parti di  Eboli del “Don Carlo” , Amneris nell’Aida e Marie  nel “Wozzeck”.
Un anno più tardi giunse il suo debutto al festival di Salisburgo. Lei alternava le parti en “travestì”  (Cherubino, Octavian, Compositore, Hansel) con un amplissimo repertorio come Brangäne, Ortrud, Kundry, Rosina (“Il barbiere di Siviglia”) ed anche Carmen. La stagione 1959-60 la portò in America come Dorabella a Chicago e al Metropolitan come Cherubino, Octavian, Amneris e Brangäne. Più tardi sarebbero giunte altre memorabili interpretazioni come Waltraute (“Götterdammerung”) Charlotte (“Werther”), Lady Macbeth e Clitemnestra (“Elektra”).

Dopo anni sul palcoscenico dell’opera, la Ludwig cominciò a dedicarsi maggiormente all’attività concertistica. Per anni aveva diviso a metà le sue attività tra opere e concerti, ma dopo tutta la tensione e la fatica – e la routine – del palcoscenico, cominciò a indirizzare il suo canto verso la musica da concerto.  Il leggendario Walter Legge varò la sua carriera discografica, affiancandola spesso con la sua celebre moglie Elisabeth Schwarzkopf. Come rifletteva più tardi la Ludwig: “Mi ha insegnato come far brillare la parola sole e come fare sbocciare la parola fiore “. Lei gli dà credito di aver formato è cambiato il suo modo di vivere, plasmandola artisticamente. “Per mezzo suo,” diceva, “ho imparato a sapere il significato di un lavoro duro, a migliorare il suono della mia voce, ad interpretare”. Fu Böhm, che la scoprì ad Hannover, ad ingaggiarla poi per Vienna, e la loro collaborazione si estese da Salisburgo a New York.
Sulla scena Christa Ludwig emana un fascino fatto di semplicità ed  immediatezza, totalmente privo di superficialità o manierismo. La sua voce sgorga dal cuore, come una forza primordiale che parla profondamente, riccamente, intensamente, nel modo più umano possibile. Citando Mahler è una “madre terra” dei cantanti. (Robert M.Jacobson – “Gente dell’Opera” – Foto Christian Steiner)