Firenze, 81° Maggio Musicale Fiorentino: “Cardillac”

Teatro del Maggio Musicale Fiorentino – 81° Maggio Musicale Fiorentino
CARDILLAC
Opera in tre atti a quattro scene
Libretto di Ferdinand Lion da Das Fräulein von Scuderi di E. T. A. Hoffmann
Musica di Paul Hindemith
Cardillac MARTIN GANTNER
La figlia GUN-BRIT BARKMIN
L’ufficiale II FERDINAND VON BOTHMER
Il commerciante d’oro PAVEL KUDINOV
Il cavaliere JOHANNES CHUM
La dama JENNIFER LARMORE
Il comandante della polizia militare ADRIANO GRAMIGNI
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Fabio Luisi
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Valerio Binasco
Assistente alla regia João Carvalho Aboim
Scene Guido Fiorato
Assistente alla scenografia Anna Varaldo
Costumi Gianluca Falaschi
Assistente costumista Anna Missaglia
Luci Pasquale Mari

Firenze, 15 maggio 2018

Il Maggio Musicale Fiorentino che si è appena aperto, l’ottantunesimo e più longevo festival italiano dedicato alla musica classica, è stato accompagnato dai suoi ideatori e organizzatori da una frase emblematica o, se vogliamo, da un motto: Dialoghi ai confini della libertà.
Si parla ovviamente della libertà dell’arte di attraversare le barriere spaziali, temporali e di appartenenza e di dialogare con tutti i possibili fruitori, invadendo la città con iniziative che spaziano in campi performativi diversi, mirate a coinvolgere un pubblico più vasto e di tipologia più eterogenea rispetto agli habitue di teatri e sale da concerto.
Ma il tema della libertà dell’artista si può declinare anche in modi diversi e adattarsi benissimo all’Opera inaugurale, Cardillac di Paul Hindemith, da almeno due punti di vista.
Prima di tutto perché Hindemith, per le sue scelte stilistiche ed estetiche, venne classificato dal Terzo Reich come autore di musica ‘degenerata’ e costretto all’esilio negli Stati Uniti; in secondo luogo perché Cardillac mette in scena una metafora tragica e violenta del rapporto tra l’artista e la sua opera; il rifiuto del protagonista di far circolare per il mondo i suoi capolavori e la rivendicazione della proprietà materiale dei prodotti del suo genio possono essere letti come un’affermazione della libertà dell’artista nei confronti del mercato, un diritto di tutelare la dignità del suo lavoro da una fruizione commerciale banalizzante.
Da un racconto di Hoffmann che precorre la letteratura “gialla” e “poliziesca”, Hindemith e il suo librettista ottengono un condensato che ne preserva gli aspetti più moderni e psicologicamente interessanti e che si incentra interamente sul protagonista Cardillac.
Cardillac è il più famoso orafo di Parigi, la cui genialità è unanimemente riconosciuta; improvvisamente la città viene sconvolta da una serie di morti misteriose. Si scopre che ogni omicidio è accompagnato dalla sottrazione di un preziosissimo gioiello, appena acquistato proprio dal famoso maestro.
Costui vive solo con la Figlia, nella dedizione assoluta alla sua arte, e, nel procedere dell’opera, manifesta un attaccamento morboso ai suoi lavori, che culmina con la visita del Re di Francia al suo atelier, durante la quale Cardillac perde il controllo all’idea di doversi separare da qualcuno dei suoi tesori; quando finalmente il Re e i cortigiani si allontanano senza aver fatto acquisti, Cardillac dichiara che non si sarebbe fatto scrupolo di uccidere il sovrano stesso per rientrare in possesso di una delle sue creazioni, rivelando di essere proprio lui il misterioso assassino.
Frattanto la Figlia è tormentata da un conflitto interiore, non sa decidere se seguire il suo innamorato, un ufficiale che le chiede di fuggire con lui, o rimanere con il padre, al quale è legata da un profondo affetto e che intuisce fragile e bisognoso della sua presenza.
Cardillac, al contrario, reagisce con indifferenza, rivendicando la consapevolezza della sua eccellenza creativa e le dice che può andarsene senza preoccuparsi per lui, che vive solo per la sua arte.
L’Ufficiale vede inizialmente Cardillac come un rivale, ma allo stesso tempo ne è sempre più affascinato; intuendo un legame tra l‘orafo e i delitti, acquista, quasi strappandola a viva forza dalle sue mani, una collana, paga e se ne va. Presto Cardillac lo raggiunge armato e lo aggredisce; nella colluttazione l’Ufficiale rimane solo leggermente ferito e decide di difendere Cardillac dalla polizia e dalla furia della folla, incolpando al suo posto il Commerciante d’oro che ha assistito al fatto.
Ma l’orgoglio dell’artista si ribella e, mentre viene festeggiato dalla folla sopraggiunta, Cardillac inizia a celebrare le gesta dell’assassino, a perorare la validità delle sue intenzioni fino ad accusarsi apertamente; la folla si scaglia su di lui in una vendetta collettiva e lo lascia a terra agonizzante.
L’Ufficiale, accorso con la Figlia, lo esalta come un eroe, come il vero vincitore e gli riconsegna la collana, che Cardillac bacia e stringe a sé, morendo.
Hindemith scrive l’opera nel 1926, allorché si avvicina alla Neue Sachlichkeit, della quale viene considerato esponente di punta in campo musicale.
Questa corrente, della Nuova Oggettività appunto, nata in Germania dopo la Prima guerra mondiale, si propone di emancipare le arti dai cascami tardoromantici ancora presenti nell’Espressionismo e di offrire un approccio oggettivo alla realtà, ovvero critico, analitico, non dominato dal vortice delle emozioni soggettive, con un ritorno a forme pure, a modalità espressive razionali e ad un linguaggio più largamente comprensibile, non strettamente legato alla singolarità dell’artista e della sua ispirazione.
Nella musica di Cardillac questo si traduce in un linguaggio politonale, nell’uso di frammenti melodici, classicamente armonizzati – chiude ad esempio l’opera un canonico accordo maggiore – che si susseguono, intervallati da dissonanze anche aspre e soprattutto nel recupero di una polifonia contrappuntistica che si rifà a Bach. Altre caratteristiche salienti della musica di quest’opera sono l’alternarsi di pagine in cui l’orchestra suona nella pienezza della sua sonorità a momenti in cui la scrittura diventa cameristica, di grande trasparenza, nonché l’amplissimo uso del coro, che configura la folla come un vero e proprio personaggio.
Fabio Luisi offre una grande prestazione, dirige con mano ferma e morbida, concerta ogni frase con precisione millimetrica, tenendo un passo teatrale spedito e coinvolgente, trasmettendo grande forza, ma anche nitore e leggibilità, indispensabili per rendere giustizia ad una musica che esprime violenza, solitudine, alienazione tramite una scrittura lucida e glaciale. L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino appare in forma magnifica, offre timbri cristallini e setosi, con una pulizia ancor più notevole nelle parentesi cameristiche di cui si diceva, in cui tutti i solisti brillano per bravura. Alla stessa altezza si rivela il Coro diretto da Lorenzo Fratini, ampiamente impegnato nel primo e nell’ultimo atto, sempre ammirevole per bellezza di suono, compattezza, flessibilità dinamica.
Martin Gantner è un ottimo protagonista, intenso e carismatico nella resa scenica, grazie anche a certe intuizioni registiche, ottimamente realizzate, mirate a caratterizzare il suo personaggio in maniera complessa: se Cardillac fosse spregevole, semplicemente un brutale assassino, tutto perderebbe credibilità. Gantner ha una voce baritonale sonora, non scura, ma limpida e penetrante, che gli permette di venire a capo del ruolo con sicurezza e autorità.
Gun-Brit Barkmin possiede uno strumento importante, corposo, rotondo, dal bel timbro e dal volume notevole, a suo agio sia nel registro medio-grave che negli acuti, luminosi e sicuri, gestito con padronanza tecnica e ottima musicalità; il personaggio della Figlia acquisisce potenza e pathos anche grazie alla figura imponente, ma giovanile e alla capacità di entrare nel ruolo con partecipazione e senza enfasi.
Ferdinand von Bothmer conferisce all’Ufficiale imponenza e autorità scenica e una voce tenorile sufficientemente sonora e usata con generosità; probabilmente il suo peso vocale non è il più idoneo alla scrittura drammaticheggiante, le salite all’acuto suonano a volte fisse e tendenti al bianco, ma nel complesso il personaggio risulta opportunamente incisivo, sia nella spavalderia militaresca che negli episodi più meditativi.
Il Cavaliere di Johannes Chum ha modi nobili e salottieri e una figura elegante, ma lo strumento tenorile è leggero, cosa che lo costringe a forzare per passare l’orchestra.
Jennifer Larmore presta il suo fascino e suoi mezzi vocali ancora saldi ad una Dama di grande prestigio.
Pavel Kudinov, nei panni del Commerciante d’oro, recita bene, il suo personaggio emerge vero e credibile anche se la sua voce giunge in platea a tratti, specie nel secondo atto.
Qui aprirei una parentesi. L’acustica di questo teatro presenta un problema per l’opera lirica: mentre il suono dell’orchestra corre ovunque nitido, presente, godibilissimo, le voci riescono a “passare” adeguatamente se il cantante si trova in posizione molto avanzata, a filo dell’arco scenico o più avanti, se invece è posizionato, per esigenze scenografiche e registiche, più indietro, il volume dell’orchestra acquista una preponderanza che, a meno di voci timbratissime e strapotenti, rende difficile dalla platea cogliere il canto nella sua completezza. Nel secondo atto di Cardillac, appunto, in cui la scenografia che riproduce la casa dell’orafo si trova arretrata di qualche metro nel boccascena, tutte le voci emergono con fatica e a tratti dal tessuto orchestrale, anche quando questo è particolarmente leggero. Fa eccezione la sola Gun-Brit Barkmin, dotata di uno strumento singolare per potenza e ricchezza, ed è un vero peccato.
Per finire con gli interpreti vocali, Adriano Gramigni è sicuro ed efficace nell’assolo del Comandante della polizia.
La messa in scena prevede una trasposizione cronologica dal XVII secolo agli anni 20 del Novecento, operazione lecita, ampiamente sdoganata e qui particolarmente felice, in quanto permette di accostare la musica ad immagini ad essa coeve, forme e costumi provenienti dalla medesima temperie culturale ed estetica; molto suggestiva è ad esempio la scena in cui il re e la sua corte, che irrompono nel secondo atto nella bottega di Cardillac, sembrano uscire da un quadro di George Grosz, anch’egli esponente di spicco della Neue Sachlichkeit, artista ‘degenerato’ inviso al regime e per questo esule negli Stati Uniti, come Hindemith.
Le scene di Guido Fiorato riproducono nel primo e nel terzo atto una periferia industriale, con possenti piloni d’acciaio, gelida, inospitale, di grande impatto; nel secondo tutta l’azione invece si svolge nella casa-bottega di Cardillac, riprodotta accuratamente in spaccato, piena di dettagli e soprammobili come una casa di bambole, divisa in due stanze dalle quali il protagonista e la Figlia, in una bellissima metafora, cantano il loro duetto senza nemmeno vedersi, separati da una porta chiusa.
I costumi di Gianluca Falaschi riproducono con precisione ed eleganza fogge degli anni 20-30, con aderenza ai personaggi e notevole bellezza visiva.
Molto efficaci sono le luci di Pasquale Mari taglienti, livide o di un violento colore sanguigno che rende angosciante l’aprirsi del sipario sulla scena fissa del terzo atto.
Valerio Binasco, attore e regista di prosa di lungo corso, debutta nella regia d’Opera e lo fa con discrezione, senza eccessi di protagonismo, ma con professionalità. È una regia più curata nei piccoli dettagli che appariscente per grandi idee, che ha la sua forza nei gesti, nella mimica, nella recitazione dei singoli interpreti, nella cura volta a dare un carattere ad ogni personaggio. Particolarmente interessante mi sembra la riuscita del protagonista, che come dicevo emerge in modo completo e sfaccettato, nell’orgoglio prometeico dell’artista, nella follia cieca dell’assassino, ma anche nell’umanità dell’amore mutilato nei confronti della figlia, apparendo figura ambigua ma coinvolgente, impossibile da liquidare come un “banale” serial killer.
Il pubblico, che riempie tre quarti del Teatro, è affascinato ed entusiasta; al termine Fabio Luisi riceve applausi lunghi e scroscianti, ma anche il Coro, l’Orchestra e gli interpreti sono festeggiati con calore.