Gaetano Donizetti (1797-1848): “Anna Bolena”

Tragedia lirica in due atti su testo di Felice Romani. Marta Torbidoni (Anna Bolena), Federico Benetti (Enrico VIII), Laura Polverelli (Giovanna Seymour), Moisés Marín García (Lord Riccardo Percy), Dionisos Tsantinis (Lord Rochefort), Martina Belli (Smeton), Carlo Allemano (Sir Hervey), Belcanto Chorus, Martino Faggiani (Maestro del coro), Europa Galante, Fabio Biondi (Direttore), Cesare Scarton (regia), Michele Della Cioppa (scene), Anna Biagiotti (costumi). Registrazione: Rieti, Teatro Flavio Vespasiano, settembre 2013. 1 DVD Dynamic 37687.
L’edizione dell’”Anna Bolena” donizettiana proposta a Rieti nel settembre 2013 non mancava di spunti di interesse. L’idea portata avanti da Fabio Biondi era quella di presentare un’edizione quanto più stilisticamente attendibile  e vicina alla ripresa milanese del 1840 esemplificando nella viva realtà del palcoscenico quel fenomeno tipico dell’opera ottocentesca italiana ovvero la mancanza di una forma definitiva e la sua tendenza a mutare proteicamente venendo incontro alle specifiche esigenze delle varie esecuzioni.
Per quanto questa versione milanese non abbia la coerenza d’insieme della versione originaria, alcuni aspetti degni di nota non mancano specie per quanto riguarda la tessitura della protagonista significativamente abbassata per venire incontro alla vocalità mezzosopranile di Amalia Schütz-Oldosi che viene quindi a modificare in modo significativo l’architettura dei rapporti vocali. Altri significativi adattamenti si riscontrano nella parte di Percy decisamente abbassata di tessitura rispetto all’originale pensato per gli stratosferici mezzi di Rubini e riportato alla vocalità più centrale di Giovanni Basadonna. Per il resto si tratta soprattutto di tagli fra cui si notano particolarmente l’aria di Smeton “Ah, parea che per incanto” e soprattutto quella di Giovanna del II “Per questa fiamma indomita”, taglio che non solo riduce in modo significativo il peso complessivo della Seymour ma crea non pochi problemi al tenore chiamato ad affrontare praticamente senza momenti di riposo il terzetto “Ambo morrete” e la pur sempre impervia “Vivi tu”.
Purtroppo alla prova dei fatti queste molte di queste promesse rimangono sulla carta anche perché Biondi è il primo ad andare contro alle sue stesse affermazioni. La constatazione della maggior credibilità drammaturgica di una Anna mezzosopranile, più matura e sofferta a confronto con la più giovane e liliale Giovanna è certamente condivisibile – e analoghi esperimenti in “Norma” hanno pienamente confermato la bontà di questa scelta – peccato però che poi nella rappresentazione Anna sia affidata ad un soprano sostanzialmente lirico e Giovanna ad un autentico mezzosoprano dalla voce decisamente brunita come Laura Polverelli di fatto spazzando via  le buone intenzioni espresse in linea teorica. Resta l’idea di affrontare l’opera con organici orchestrali e corali ridotti molto più prossimi a quella che doveva essere la prassi dell’epoca anche se l’Europa Galante tanto apprezzata nel repertorio barocco non mostra qui altrettanta idiomaticità stilistica. La direzione di Biondi manca poi di una visione unitaria e l’andamento risulta spesso fin troppo irregolare; se ben riusciti sono gli squarci più lirici e commossi – la maggior trasparenza orchestrale al riguardo non manca di suggestione – altrove tende a farsi prendere fin troppo la mano in accelerazioni improvvise e spesso eccessive che mettono in difficoltà i cantanti e contrastano con il clima più autentico di molti momenti. Buona la prova del Belcanto Chorus all’interno di una prospettiva quasi cameristica.
Anna Bolena” è però prima di tutto opera per grandi virtuosi, autentica vetrina del divismo belcantista tanto sul piano vocale quanto su quello della personalità e del carisma e la pur volenterosa compagnia di canto messa insieme per le recite reatine è manchevole su entrambi i fronti.
Nel ruolo della protagonista Marta Torbidoni ha voce timbricamente piacevole, di un bel colore morbido e flautato retto da interessanti doti di musicalità ma manca dello spessore vocale e della forza d’accento che Anna inevitabilmente vuole così che i grandi declamati mancano della forza necessaria – si senta quello introduttivo all’ultima scena – mentre momenti come “È segnata la mia sorte”, dove la voce di Anna dovrebbe essere l’elemento svettante su tutto l’insieme, la vedono perdersi. Una prova onesta  nella sua correttezza – fatto salvo qualche limite nelle discese al registro grave specie nel finale – ma il tutto segnato da un tono di anonima timidezza che è l’antitesi assoluta di quanto dovrebbe essere la primadonna belcantista.
Laura Polverelli è sicuramente l’elemento più compiuto del cast anche se i pesanti tagli cui è sottoposta la parte di Giovanna ne limitato non di poco la resa complessiva. La voce è meno fluida ma resta suggestiva per timbro e colore mentre sul piano interpretativo presenta un fraseggio vario, nobile, sempre pertinente. Moisés Marín García (Lord Riccardo Prcy) avrebbe un interessante senso dello stile e buone intenzioni interpretative al quale però non corrisponde la resa vocale: evidenti i limiti tecnici, l’emissione troppo insicura per potere dare una visione attendibile del personaggio. Deficienze vocali e tecniche ancora più marcate per il basso  Federico Benetti: non ha l’autorità né vocale né interpretativa per affrontare la parte di Enrico VIII. Buone al contrario le parti di fianco, Martina Belli (Smeton) voce di bel timbro e dispiace per i tagli che riducono drasticamente la sua parte, così come Carlo Allemano è un ottimo Hervey, vocalmente più presente di García e molto solido il Lord Rochefort di Dionisos Tsantinis.
Poco resta da aggiungere sulla regia di Cesare Scarton (con le scene di Michele Della Cioppa e i costumi Anna Biagiotti); si tratta di un spettacolo alquanto “minimalista” in cui le ragioni del risparmio sembrano averla fatta da padrone, dal momento che la scena è pressochè, pochi oggetti di arredo (un grande lampadario, una spinetta, qualche sedia) e  costumi di stampo tardo ‘800 alquanto anonimi; la regia ha una impronta didascalica con la sola idea – non riuscitissima – di far comparire Enrico e Giovanna in abiti nuziali prima  della cabaletta  “Coppia iniqua”.